La assoluta impossibilità del Conte ter

mercoledì 27 gennaio 2021


Giuseppe Conte non ha alcuna possibilità di resuscitare un Governo ter da lui diretto. La ragione è molto semplice e di tutta evidenza. Per poter operare in modo appena normale, infatti, il Governo ha bisogno di una maggioranza che sia non solo numericamente affidabile, ma anche politicamente coesa, come ha ribadito giustamente il capo dello Stato, Sergio Mattarella, in varie occasioni. Ora, dopo aver formalizzato le sue dimissioni e dopo aver ricevuto da Mattarella un eventuale nuovo incarico, Conte si troverebbe nella medesima situazione di ieri, quando non aveva i numeri indispensabili e neppure l’adesione politica necessaria. E ciò per una ragione preponderante rispetto alle altre, vale a dire la presenza di Alfonso Bonafede quale ministro di Grazia e Giustizia accanto a Conte. Non si tratta per nulla di Bonafede in sé ovviamente – cioè di una questione personale – ma di ciò che egli rappresenta nell’orizzonte politico di riferimento, che è quello dei pentastellati. La cultura politica di costoro in realtà non esiste, essendo costituita da una infinità di coriandoli concettuali – o meglio pseudoconcettuali – nel cui mulinare perpetuo e bizzarro si trova tutto e il contrario di tutto (collettivismo, individualismo, dirigismo, libertarismo anarcoide).

Tuttavia, in tema di amministrazione della giustizia, i pentastellati sono tendenzialmente omogenei, nel verso di una concezione anti-liberale, totalitaria, sovietizzata, assolutistica e sostanzialmente sorda ad ogni esigenza dello Stato di diritto. Bonafede non è che l’espressione sintetizzata di tali pulsioni primordiali e barbariche gorgoglianti nel ventre grillino, pronto perciò ad abolire la prescrizione, a magnificare e diffondere il processo penale telematico, a ridurre le facoltà della difesa e possibilmente – come alcuni si augurano – ad abolire l’appello a favore degli imputati, in un crescendo rossiniano che – se abbandonato a se stesso – condurrebbe la povera Italia a superare di slancio le temibilissime prassi totalitarie della vecchia Unione Sovietica o dell’attuale Corea del Nord. Per questo, Bonefede rappresenta – lo sappia o no – la morte della giustizia, di ogni possibile giustizia. Propriamente, in questa luce e per questa ragione, Conte ha perso per via buona parte dei cosiddetti “responsabili” che si erano detti disponibili a votare pochi giorni fa a favore del suo Governo.

Lo hanno dichiarato senza infingimenti: in particolare, la senatrice Sandra Lonardo – moglie dell’ex ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella – dopo il trattamento riservato a sé (addirittura arrestata e poi scagionata del tutto dopo anni di calvario) e al marito, ha detto, comprensibilmente, che non avrebbe votato a favore della relazione che Bonafede avrebbe dovuto tenere in Parlamento sullo stato della giustizia. Ugualmente, altri senatori di area socialista e liberale. Per questo motivo, Conte è salito al Colle a dimettersi. E se ottenesse un nuovo incarico, per il medesimo motivo fallirebbe in modo irrimediabile. Infatti, Conte non è in grado di liberarsi di Bonafede, vessillifero della coscienza politica pentastellata, non avendone la forza politica. Anche perché deve tutto a lui, essendo stato il suo ex-allievo Bonafede a presentarlo a Beppe Grillo. Eppure Bonafede, e soltanto Bonafede, rappresenta la vera pietra dello scandalo che impedisce la formazione di una maggioranza stabile: non il Recovery plan, per quanto strampalato, come ribadisce Confindustria; non i servizi segreti, avendo già Conte delegato altri; non i cantieri chiusi che potrebbero aprire; ma solo Bonafede.

Prova ne sia che dal momento che Conte ha assoluto bisogno che Matteo Renzi torni in maggioranza allo scopo di garantire la necessaria coesione politica del sostegno da ottenere – senza raccattare senatori a destra e a manca – ha necessariamente anche bisogno di assecondarne le richieste, se non vuole cadere prima di sedersi di nuovo a Palazzo Chigi. Ora, come è noto, la prima delle richieste renziane – per nostra fortuna – è far fuori politicamente Bonafede, vale a dire operare per un cambiamento di rotta a 180 gradi nella politica per la giustizia messa in campo dal nuovo governo: come dire la restaurazione dei requisiti minimi dello Stato di diritto, al quale Bonafede e i pentastellati sono endemicamente allergici (ovviamente, fino a quando incapperanno loro medesimi nelle trappole giustizialiste che hanno contribuito a costruire). Insomma, per Conte, Bonafede costituisce un insormontabile ostacolo: non potrà mai liberarsene, perché ciò equivarrebbe a liberarsi dei pentastellati, cioè di coloro che lo sostengono come capo del Governo. Come segare il ramo dell’albero sul quale si sta seduti: da qui la assoluta impossibilità di un governo Conte ter.

Certo, a simili difficoltà andrebbe incontro anche un esecutivo a guida Dario Franceschini o Graziano Delrio, sia pure in modo più attenuato, in quanto nessuno dei due è tributario in modo diretto dei pentastellati circa il consenso di cui gode. Credo perciò che il solo che può arginare la figura di Bonafede, limitando la deriva verso una giustizia sempre più sovietizzata, è Luigi Di Maio, il quale, essendo emanazione originaria dei pentastellati, potrebbe aver titolo per mitigarne la sete del sangue verso ogni imputato, mettendosi in gioco personalmente. Cioè dirottando Bonafede, per esempio, agli Interni, dove farebbe meno danno senza però uscire di scena. In tal modo, forse, Italia Viva potrebbe rientrare in una maggioranza apparentemente coesa. Per ora. Ma fino a quando?


di Vincenzo Vitale