Lo sciocchezzaio linguistico di Rai e Pubblica amministrazione

martedì 23 febbraio 2021


Gli strafalcioni linguistici sono sempre esistiti, lo so benissimo. Tuttavia, oggi mi pare sia di moda non solo lasciarsi andare a strafalcioni di varia natura, ma anche ostentarli, metterli in mostra come si trattasse di un merito e non di semplice asineria. Ciò accade anche nelle reti Rai, che purtroppo dovrebbero avere a cuore l’uso e la diffusione di una buona lingua italiana. Facciamo alcuni esempi, pochi ma probanti. Giorni fa il Tg1 – non certo l’eco di Forlimpopoli – riferisce, per significarne la discesa sulla superficie di Marte, che la sonda americana di cui non ricordo il nome è “ammartata”: letteralmente. Si può impunemente dire e ripetere più volte una sciocchezza simile? Perché sciocchezza? Perché il ragionamento che induce a dirla è frutto di un misconoscimento grossolano della realtà delle cose. Chi dice una simile panzana ragiona, infatti, all’incirca come segue: siccome di un aereo che plani sulla terra si dice sia “atterrato”, per un altro oggetto volante – in questo caso una sonda americana – che plani su Marte, va detto – per uniformità morfologica – “ammartato”.

L’origine di tale modo di dire va forse ritrovata nell’uso del termine “allunaggio”, adoperato nel 1969, in occasione del primo sbarco sulla Luna. Va ricordato però, innanzitutto, che si trattava di un neologismo dotato di una sua eufonia – il che non lo fa certo diventare ammissibile – e che comunque esso fu censurato in diretta televisiva dal grande Enrico Medi, fisico ed astronomo. Questi, commentando per i telespettatori di Rai 1 tale impresa, disse chiaro e tondo che doveva dirsi correttamente “atterrare sulla Luna” e non già “allunare”. Dimostrando, con ciò, di essere comunque dotato delle capacità linguistiche di una persona di buona cultura generale, oltre che specialistica, caso oggi assai raro. Per continuare su questa grottesca linea di sviluppo linguistico, quando una sonda giungerà sulla superficie di Giove, diremo allora che è “aggiovata”; di Saturno, che è “assaturnata”; di Mercurio, che è “mercurizzata” e via di questo passo. E tuttavia mi assale un dubbio. Come diremo quando una sonda planerà su Phobos, satellite di Marte? Ovviamente, che essa è “phobizzata”; e come, se invece scendesse su Io, satellite di Giove? Forse che è “iizzata”?

L’ assoluta e ridicola follia di queste ultime conclusioni, che però sono in perfetta uniformità con “ammartare”, consente di capire l’assurdità di questo modo di non ragionare. A questi disinvolti dicitori, che parlano in una pubblica arena da uno studio televisivo, non passa neppure per la mente che quando si dice che un aereo è “atterrato” non si vuol dire che esso sia planato sul pianeta Terra – dove dovrebbe farlo, se non su tal pianeta – ma soltanto che esso ha toccato il suolo. Cioè, appunto, la terra, scendendo dal cielo.

Che poi il nostro bel pianeta sia stato dotato, in lingua italiana, di un nome proprio di battesimo ricalcato su quello del suolo – vale a dite “Terra” – non sposta di un millimetro quanto sopra ho sostenuto, trattandosi soltanto di un caso di “antonomasia”, attraverso il quale si vuol sottolineare che il nostro pianeta rappresenta per noi umani il suolo per antonomasia, per definizione insomma: tutto qui. Come quando si dice “il poeta”, volendo riferirsi a Dante, poeta per antonomasia, per definizione. Detto per inciso, in altre lingue (per esempio in inglese) esistono differenti vocaboli per indicare la terra come pianeta (earth), come suolo (land) e perfino come base, fondamento (ground): ma non in italiano. Nulla di più ma anche nulla di meno.

Ecco perché, qualunque sia il pianeta che si tocchi, Marte, Mercurio o Phobos, le sonde in lingua italiana si limitano sempre e soltanto ad “atterrare”, vale a dire a toccarne il suolo, la terra. Lo capiranno i geni che sono in realtà dei comici involontari del linguaggio? Ne dubito. Non si creda, comunque, che manchino altri esempi benemeriti della lingua italiana in altri settori, ove essa meriterebbe ben altra attenzione. Prendiamo l’ambito medico ed infermieristico. Oggi si stenterebbe a trovare un esponente di costoro che non dica che il paziente è “allettato” per significare che è degente a letto. Anche qui, la trasformazione di un sostantivo – “letto” – in un participio passato aggettivale – “allettato” – di un inesistente verbo, “allettare” (che invero esiste, ma in ben altro senso, quello di “lusingare”) rappresenta l’ennesima deficienza linguistica e mentale di molti parlanti. Seguitando sulla stessa linea, dovrebbe dirsi di un paziente che sia migliorato, tanto da potersi accomodare in poltrona, che costui è “appoltronato”; e se ancora migliorasse, per sua fortuna, che ormai, potendo stare a sedere, è “assediato” fino alla definitiva guarigione che lo vede “appiedato”, perché rimesso in piedi dalla capacità dei medici. Con una aggravante di tipo semantico non di poco conto. Infatti, in alcuni casi, gli aggettivi (o i participi passati) in tal guisa coniati esistono già di per sé, ma con un significato del tutto diverso. Infatti “allettato”, da “allettare”, significa “attratto, lusingato” (per esempio da false promesse); “assediato” significa circondato da ogni parte dai nemici; “appiedato” indica infine chi sia rimasto senza altro mezzo di locomozione se non i propri piedi. Da qui, confusione ed equivoci linguistici. Ma per gli ignoranti – che hanno il dominio assoluto sul linguaggio, in quanto soverchiante maggioranza – va bene così.

Non basta. In diversi aeroporti, campeggia in cima ad alcune porte un’insegna che reca “porta allarmata”. La prima volta che la lessi, a Fiumicino, parecchi anni or sono, non seppi contenere le risa che contagiarono altri viaggiatori ai quali chiesi di correre a tranquillizzare la porta, in modo che essa potesse cessare di essere allarmata, cioè preoccupata. Evidentemente, chi ha scritto quelle parole, imponendone l’uso per la carica che ricopre o la funzione che svolge e a cui nessuno ha osato mai obiettare, non conosce né l’inglese né l’italiano. Per questo traduce una dopo l’altra le parole in italiano – dall’inglese “door alarmed” – ma non il senso che si intende veicolare: porta dotata di sistema di allarme. Che dire poi ad un burocrate di una Asp (Azienda sanitaria provinciale) il quale affermi che il disabile è stato “istituzionalizzato”? Il verbo “istituzionalizzare” – di significato eminentemente giuridico – vuol dire “dare una forma giuridica” a qualcosa, ad una certa situazione, affrontare giuridicamente un problema. Ora, si può un tale significato predicare di un essere umano? Lascio a voi la risposta. Mi limito qui a chiudere, ricordando a chi li avesse dimenticati due emblematici versi di Alexander Pope: “Gli angeli esitano a posare il piede ove gli stolti si precipitano”.


di Vincenzo Vitale