Insulti alla Meloni: la sinistra e il progressismo oscurantista

L’altro giorno il professor Giovanni Gozzini dell’Università di Siena ci ha deliziato con il suo illuminante verbo e – parlando di Giorgia Meloni o citando forse Jacques Prevert – ha sentenziato “allora cosa devo dire, una vacca, una scrofa... cosa devo dire per stigmatizzare il livello di ignoranza e presunzione?”.

La cosa più furba, in questo momento, sarebbe quella di fare gli indignati, strapparci le vesti e piagnucolare all’indirizzo del vile attacco alla donna, alla persona e al leader politico. Nulla di tutto ciò. Non ci interessano le condanne postume né tantomeno la solidarietà a scoppio ritardato. Molto più onesto ammettere che, se da un lato certi giudizi li conosciamo e ce li aspettiamo, dall’altro riteniamo che ognuno debba poter dire apertamente quello che pensa. Perché è bene che l’opinione pubblica ascolti certe pulsioni beduine e comprenda pienamente l’animo di questi cattivi maestri che nascondono la loro violenta e presuntuosa bestialità dietro a un titolo accademico. Inoltre, per coerenza, visto che non fummo teneri quando Laura Boldrini e Cecile Kyenge frignavano ogni giorno, invocando le manette contro i reati d’opinione, non lo saremo nemmeno oggi che potremmo metterci in poltrona con i pop-corn in mano ad assistere alla beatificazione di Santa Giorgia Meloni.

Ben vengano, dunque, i Giovanni Gozzini perché ci aiutano a capire molte cose. In primis il preconcetto: per una certa sinistra esiste la considerazione, la libertà, la democrazia solo a patto che tu stia dalla loro parte. In caso contrario ti becchi l’insulto (se va bene) perché sei fuori dal perimetro degli esseri umani. Il tanto sbandierato rispetto per le donne e tutti quegli ammennicoli perbenisti, con cui i cosiddetti progressisti ci hanno fatto lezione tenendo il ditino alzato, si fermano sull’uscio dell’appartenenza politica. Cosa è cambiato rispetto al celebre adagio “uccidere un fascista non è reato”? È cambiato solo il contesto: una volta c’erano le pistole mentre oggi c’è la discriminazione in politica, sul posto di lavoro, nel mondo della cultura. La sinistra predica da sempre contro il preconcetto, contro il razzismo ma si scopre ogni giorno sempre più intollerante verso gli altri e per giunta con l’aggravante dei futili motivi ideologici. Ed è proprio questo che trasudava la dotta dissertazione di Giovanni Gozzini: per l’esimio docente la variabile ideologica sottende una profonda inferiorità personale e culturale, che lo porta a presumere aprioristicamente che Giorgia Meloni sia una razzista, ignorante, fascista e violenta. Una incolta incapace di leggere un libro, una barbara senza nemmeno concederle il beneficio del dubbio. È così e basta. Per definizione e per implicita accettazione di tutti quelli che hanno diritto di parola. Questo progressismo oscurantista offende più delle schifose parole proferite.

Giovanni Gozzini va ringraziato perché ha avuto il coraggio, il candore, l’incoscienza, la spocchia, il senso di impunità utili ad avventurarsi in una serie di considerazioni pregne di livore. Cose che in molti pensano ma che in pochi esprimono in maniera così chiara, tranne che tra amici sotto l’ombrellone di Capalbio tra una tartina al caviale e una dissertazione su Karl Popper e la società aperta (perché la società deve essere aperta, perdindirindina, o no?). Per ore, dopo l’esternazione dell’esimio cattedratico, nessuno ha voluto solidarizzare con Giorgia Meloni. È dovuta intervenire la telefonata di Sergio Mattarella per sdoganare l’ultimo tabù e aprire il valzer dei salamelecchi e della solidarietà pelosa “perfino” a Giorgia Meloni e ai suoi amici topi di fogna. Solidarietà elargita, ovviamente, per gentile concessione da gente che parla di progressismo ma non ha nulla da invidiare agli Ayatollah.

Aggiornato il 24 febbraio 2021 alle ore 15:23