Ddl Zan: l’uovo di Colombo c’è, ma Letta va dietro a Fedez

giovedì 6 maggio 2021


La soluzione alle controversie ed al ginepraio creato dal Ddl Zan c’è. È una soluzione semplice e liberale. Una specie di uovo di Colombo, che però non viene raccolta dal Partito Democratico di Enrico Letta che persegue fini ideologici e politici che nulla hanno a che fare con la repressione e la prevenzione dell’omotransfobia, la misoginia e altre discriminazioni.

La soluzione è quella di emendare l’articolo 61 del codice penale (l’aggravante per “motivi abietti o futili”) aggiungendovi un comma che appesantisca le pene quando si agisce “per determinare discriminazioni lesive della dignità e dell’uguaglianza della persona umana” (secondo la proposta dell’insigne costituzionalista Cesare Mirabelli) e contro le persone più deboli e svantaggiate od oggetto di dileggio per qualunque ragione “dalla disabilità fino all’orientamento sessuale” (secondo la recentissima proposta del presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama, il leghista Andrea Ostellari). Questa soluzione sarebbe l’uovo di Colombo, perché supererebbe tutte le varie obiezioni che, fatte salve le finalità generali della legge su cui c’è accordo unanime, sono state sollevate da vari giuristi, costituzionalisti, da ambienti liberali, conservatori, cattolici e anche da ambienti di sinistra e dalla maggior parte dei gruppi femministi italiani.

Una legge inutile

La prima obiezione al Ddl Zan manifestata da diversi ambienti riguarda la sua presunta necessità e urgenza e la sua stessa utilità. Benché la propaganda delle lobby gay parli di una presunta emergenza, secondo i rapporti annuali dell’Osce, i reati per omotransfobia repressi con le norme già esistenti sono stati in Italia nel 2014 solo 52, 27 nel 2015, 100 nel 2018, e nel 2019 sono stati 107 e non certo le migliaia e addirittura i milioni di casi, denunciati dalle lobby Lgbt. Non è vero poi che manchino in Italia le leggi per punire l’omotransfobia. Tali norme esistono già e su quelle basi vengono punite le violenze, le lesioni personali, le ingiurie, le diffamazioni e anche le discriminazioni. Lo dimostra, per esempio, il caso dell’avvocato Carlo Taormina, che è stato condannato ad una pesante ammenda semplicemente per avere detto che non avrebbe mai assunto nel suo studio legale un collaboratore gay.

Non c’è alcuna ragione quindi per creare, come prevede il Ddl Zan, alcune categoria particolari di persone che sarebbero titolari di una protezione speciale del codice penale. Alla stessa stregua, si potrebbero fare allora leggi per proteggere, per esempio, gli obesi e gli anziani dalle violenze, dalle vessazioni e dalle insolenze (più numerose di quanto si pensi) dei “magri” e dei “giovani”. Negli Usa, dove sono avanti con i tempi, si parla già di “body shaming” e di “gerontophobia”. E che dire delle contumelie che da decenni subisce la categoria dei carabinieri, veramente diffamati in varie barzellette e battute di spirito? Anche loro potrebbero sentirsi dimenticati e discriminati dal Ddl Zan.

La divisione in categorie giuridiche dei cittadini è contraria al principio liberale di eguaglianza giuridica di tutti i cittadini, oltre che al principio giuridico di generalità della norma. Molte categorie deboli rimarrebbero fuori da questa protezione e resterebbero discriminate, perché dimenticate. Si aprirà una corsa delle varie categorie dimenticate a vedersi riconosciuta la loro particolare discriminazione? La verità è che norme come quelle contenute nel Ddl Zan, perseguendo l’eguaglianza creano diseguaglianze e discriminazioni. C’è anche un altro pericolo: quello dell’uso improprio e calunnioso in giudizio di quelle speciali protezioni da parte di persone iper-protette, che potrebbero proclmarsi artatamente “vittime”: ci sono già stati vari casi e precedenti del genere in vari Paesi.

Reati di opinione

La seconda obiezione molto diffusa è che un’eventuale legge Zan creerebbe veri e propri reati di opinione. E questo è vero per varie ragioni. La prima è che essa introduce (all’articolo 2, comma d) per la prima volta una chiara penalizzazione della “propaganda delle idee” sostituendo e peggiorando, in senso illiberale, l’ambiguo testo dell’articolo 604 bis del codice penale (propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica religiosa) che sembra subordinare la propaganda (con un ambiguissimo “ovvero”) alla istigazione a delinquere. La propaganda, cioè la diffusione delle idee, dovrebbe essere sempre garantita e ammessa in un ordinamento giuridico liberale. E, infatti, la Costituzione italiana all’articolo 21 sancisce la libertà di espressione del pensiero per tutti i cittadini a prescindere da ogni specificazione e in particolare dalle sue opinioni. A meno che non si tratti, appunto, di istigazione a delinquere, che è tutt’altra cosa.

A creare reati di opinione contribuisce l’estrema vaghezza e onnicomprensività dei reati previsti dal Ddl Zan. Non è chiaro ed univoco cosa sia, infatti, l’atto discriminatorio e soprattutto l’incitamento alla discriminazione (spesso equivalente alla diffusione delle proprie idee), entrambi richiamati dalla legge. Essi sono concetti e fattispecie indeterminate ed estensibili ad libitum, tanto da lasciare un troppo ampio spazio all’interpretazione, e, quindi, all’arbitrio del giudice di merito. Questa vaghezza implica il rischio di fare diventare reati persino dire, scrivere e propagandare, per esempio, le ragioni contrarie al matrimonio gay ed all’adozione di bambini da parte di coppie gay; o sostenere pubblicamente che un bambino ha bisogno di un padre ed una madre sessualmente differenziati, che la “famiglia naturale” eterosessuale è l’unica famiglia protetta come tale dalla costituzione. Diventerebbe reato anche scrivere che la gestazione per altri (l’utero in affitto), usata da alcune coppie omosessuali (molto benestanti) genera un “assemblamento” internazionale di gameti ed una compravendita di bambini (tra l’altro “assemblati” in laboratorio).

I cattolici

In particolare, una eventuale legge Zan entrerebbe in conflitto con l’articolo 2 del Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica, articolo che garantisce a quest’ultima la “piena libertà” di “manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Ad un parroco potrebbe essere persino contestato come reato l’aver diffuso nello spazio pubblico alcuni brani dei testi sacri, tra cui il famoso “maschio e femmina (Dio) li creò”, che per i cattolici sono “parola di Dio”. I vescovi italiani (la Cei, Conferenza episcopale italiana) hanno protestato con due interventi, l’ultimo del 28 aprile scorso, ma hanno auspicato solo un “dialogo aperto e non pregiudiziale”. Insomma, la Chiesa, benché il Ddl Zan rischia di imporre il bavaglio anche a prelati e preti, non farà le barricate contro. Tuttavia, alcune organizzazioni cattoliche, come Family Day e Sos Ragazzi, hanno annunciato mobilitazioni di piazza. Vedremo.

L’articolo 4 un falso rimedio

In realtà il Ddl Zan all’articolo 4 crede di ovviare al pericolo di penalizzare le opinioni, ma la formulazione è molto ambigua e insufficiente, non riuscendo perciò ad evitare quel pericolo. L’articolo 4 del Ddl merita una citazione completa: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Il problema sta dal purché in poi: l’espressione “purché non idonee” è molto ambigua e debole. Già parlare di idee idonee o inidonee è molto ambiguo. Come si fa, poi, a dimostrare in giudizio l’idoneità o l’inidoneità di un’idea a provocare certi determinati effetti? La verità è che non si può usare il concetto di “idoneità” nella valutazione di unidea e soprattutto trasformare un’idea in un reato penale.

Il professor Mirabelli ha proposto di sostituire la seconda parte dell’articolo 4 con l’espressione “purché non dirette a determinare il concreto pericolo. Ma anche questa soluzione comporta un rischio di incertezza e di arbitrio del giudice, perché sembra chiamare in causa le intenzioni: come si fa, infatti, a determinare giuridicamente le intenzioni che si nascondono dietro le idee? Resta cioè il pericolo che il combinato disposto della vaghezza del testo e della conseguente arbitraria interpretazione del giudice finisca con il penalizzare semplici e legittime opinioni.

Ideologia di Stato

Ci sono poi state le controversie sugli aspetti ideologici del Ddl Zan, il quale all’articolo 1 definisce cosa debba intendersi per “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”.

Per “sesso si intende il sesso biologico o anagrafico” dice il testo del Ddl, facendo sorgere varie polemiche per l’equivalenza giuridica affermata tra “sesso biologico” e “anagrafico”. La polemica appare più chiara se si pensa che per “genere” il testo del Ddl intende “qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso” e soprattutto se si pensa che per “identità di genere” si intende “lidentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Queste definizioni hanno portato molti ambienti liberali, conservatori e cattolici a denunciare il carattere ideologico dell’intero Ddl, che sembra orientato in realtà a fare dell’ideologia del gender (che separa nettamente il sesso biologico dal genere percepito e definito “identità di genere”) un’ideologia di Stato, tra l’altro in contrasto con le acquisizioni scientifiche in materia.

Le femministe e i trans

Dalle stesse definizioni menzionate sopra le femministe poi ne hanno tratto un attacco all’identità ed alle conquiste delle donne. “Se un transessuale, rimasto fisicamente maschio, può, sulla base di una sua semplice dichiarazione e di alcune manifestazioni esteriori, dichiararsi “donna” e farsi iscrivere all’anagrafe come donna, allora le donne biologicamente donne cosa sono? Una delle tante sfumature dell’arcobaleno Lgbtqi+?” chiedono polemicamente le femministe, osservando che in base ad una eventuale legge Zan un qualsiasi maschio, solo dichiarandosi donna all’anagrafe, potrà partecipare e facilmente battere le atlete nelle competizioni sportive, infiltrarsi nelle carceri (e nei conventi) femminili e usurpare le conquiste femminili, tra cui le quote rosa. Sono cose già successe in Usa e in Canada, dove è anche avvenuto che uno stesso individuo si sia dichiarato alternativamente donna e uomo, a seconda delle convenienze o del suo capriccio. Per questo le femministe italiane chiedono una modifica al Ddl Zan, introducendo un’identità di genere particolare e separata, la “transessualità”.

Pedagogia gender di Stato

Infine molti commentatori di vario orientamento hanno osservato che il Ddl prevede una vera e propria pedagogia ideologica di Stato che si farebbe propagatore dell’ideologia gender anche nelle scuole medie e persino in quelle elementari, dove persino bambini impuberi verrebbero esposti prematuramente a problematiche per loro incomprensibili. Infatti nelle scuole elementari e medie si dovrebbe invece, più ragionevolmente e semplicemente, insegnare la parità dignità di ogni essere umano a prescindere da ogni caratteristica specifica, lasciando le scelte sessuali al libero arbitrio ed all’esperienza libera degli adolescenti nel corso della crescita.

Insomma il Ddl Zan è un progetto confuso, illiberale, liberticida e ideologico che genera un ginepraio di controversie, contraddizioni e conflitti che dividono la società, la maggioranza di governo e alcune forze politiche al loro interno. Tuttavia c’è il rischio concreto che, nonostante tutto, esso venga approvato dal Senato (i numeri ci sono) e diventi legge dello Stato a tutti gli effetti. L’ultimo sondaggio di opinione di Nando Pagnoncelli mostra che i favorevoli all’approvazione siano il 49 per cento degli italiani, mentre i contrari sarebbero solo il 31 per cento. È il risultato della tiepidezza dei vescovi, ma anche di quella dei liberali, che mostrano difficoltà a mobilitarsi contro un attacco alla libertà di espressione e alla libertà di religione.

Letta e Fedez

La sinistra vuole approvare il Ddl Zan per ragioni sia identitarie, sia ideologiche e sia politiche. Tra queste ultime ragioni c’è forse anche l’intenzione di dividere la maggioranza di governo, provocando un’uscita della Lega ed una divisione di Forza Italia. Essa persegue tutto tranne la sua dichiarata volontà di proteggere gli omosessuali, i transessuali, le donne ed i disabili, che in Italia sono già protetti dalle leggi esistenti.

Eppure dal ginepraio e da ciascuna delle controversie, contraddizioni e conflitti che abbiamo illustrato sopra, si potrebbe uscire facilmente rinunciando all’approvazione del ddl Zan e approvando invece un semplice emendamento dell’articolo 61 del codice penale, per introdurre delle aggravanti aggiuntive per i reati contro tutte le persone per qualunque ragione svantaggiate, discriminate o vilipese a motivo delle loro fragilità. Si tratta di una soluzione che sarebbe il proverbiale “uovo di Colombo”. Ma Colombo di questi tempi non è più di moda. È molto più popolare il rapper Fedez che si dice abbia oltre 10 milioni di follower. Ed è per questo che il Pd di Letta, ormai ridotto a partito delle star dello spettacolo, degli influencer e dei rapper, gli va dietro con crescente irresponsabilità e liquidità. E lo preferisce di gran lunga all’uovo di Colombo.


di Lucio Leante