Indagano tutti meno chi dovrebbero indagare

Si apprende dai giornali, senza alcuna sorpresa, che il dottor Paolo Storari – il pubblico ministero di Milano che, per reagire all’inerzia dei suoi capi, da lui ritenuta illegittima, ha portato i verbali dagli stessi secretati al dottor Piercamillo Davigo, allo scopo di cercare una qualche forma di protezione – sarebbe indagato per violazione del segreto da parte della Procura di Roma o di Milano a seconda del luogo di consumazione del reato).

Si apprende dai giornali, senza alcuna sorpresa, che Marcella Contrafatto – impiegata al Csm (Consiglio superiore della magistratura) e già segretaria di Davigo fino al suo pensionamento (nell’ottobre del 2020) – sarebbe indagata per concorso in violazione del segreto, in quanto sospettata di aver spedito i suddetti verbali, in forma anonima, ad alcuni quotidiani ai quali avrebbe pure segnalato la colpevole inerzia dei capi della Procura milanese.

Si apprende dai giornali, senza alcuna sorpresa, che ci potrebbero essere anche altri indagati, anche perché alcuni nomi sono filtrati, attraverso sapienti spifferi, nelle redazioni. Si apprende ancora dai giornali, questa volta con indicibile sorpresa, che Davigo – cioè colui che accettò di prendersi quei verbali e di ritenerli presso di sé, per poi parlarne, come lui afferma, a “chi di dovere” – non è indagato per nessun motivo e che sarà invece sentito come semplice persona informata sui fatti.

Ora, lungi da me l’idea che Davigo possa essere considerato colpevole di qualcosa, ma rimane certo che alcune domande bisogna pur farsele, davanti a questo uso spregiudicatamente privato degli strumenti giudiziari, per di più esibito pubblicamente. Innanzitutto va notato come sia necessario capire chi mai abbia dato quelle carte riservate alla Contrafatto, che certo non era per nulla in grado di procurarsele da sola, a quale scopo costei le abbia spedite in forma anonima ai giornali e se per caso qualcuno l’abbia indotta a farlo. In seconda battuta, bisogna capire perché Davigo abbia accettato di riceversele privatamente – e di privatamente detenerle – e perché, invece, non ne abbia subito investito il Csm, del quale egli era componente. Oppure, in alternativa, la Procura di Brescia, qualora avesse ritenuto che presso quella di Milano si fossero consumati dei reati, proprio attraverso l’inerzia mostrata dalla stessa.

Sono tutte verifiche necessarie allo scopo di diradare la fitta nebbia che ancora avvolge queste vicende tanto assurde quanto inquietanti. Tuttavia, si dà il caso che per effettuare tali verifiche, dal punto di vista logico e processuale, sembra necessario investigare anche sui comportamenti di Davigo, per il semplice motivo che questi rappresentano in certo modo lo snodo di passaggio determinante i comportamenti altrui, sia di Storari, sia della Contrafatto. Insomma, dal punto di vista fattuale, Davigo si ritrova al centro – quasi una cinghia di trasmissione – di un incrocio: da un lato, la condotta di Storari che gli consegna i verbali da lui accettati e ritenuti e, dall’altro lato, la condotta della Contrafatto alla quale forse lui ha consegnato i verbali (in quanto sua segretaria, che vale appunto destinataria dei segreti) e la quale, o di propria iniziativa, o su induzione di altri, li ha spediti anonimamente ai giornali.

Se così è in punto di fatto, una investigazione sulla condotta di Davigo appare necessaria proprio allo scopo di capire l’origine e lo scopo dei comportamenti degli altri due soggetti coinvolti in queste vicende. Eppure egli allo stato pare venga sentito soltanto quale persona informata sui fatti, mentre gli altri due sono indagati in senso proprio: il che sarebbe come dire che si vuol tirare il primo e l’ultimo anello di una catena, ma senza toccare l’anello che sta in mezzo.

Una pura assurdità! Tuttavia è quello che accade, in questa giostra, alla quale siam costretti ad assistere con sgomento, di uso spregiudicatamente privato degli strumenti giudiziari, nel cui ambito – come la cronaca dimostra – verbali, segreti, accuse, maldicenze, dossier, denunce vorticano da una Procura all’altra, da una sede istituzionale all’altra. Mentre la giustizia – cioè lo scopo ultimo dello Stato di diritto – agonizza non vista in un angolo buio, nella indifferenza dei più. I controllori hanno perso il controllo di se stessi e non si accorgono neppure dei pasticci che combinano, forse inebriati da una ingiustificata sensazione d’impunità.

E resterebbe ancora da chiedersi come mai Sebastiano Ardita e Davigo – esponenti della medesima corrente della magistratura ed insieme eletti al Csm – abbiano improvvisamente spezzato, credo nel marzo del 2020, un rapporto che sembrava assai solido e perfino inattaccabile; come mai in quelle carte secretate si è fatto capire che ci fosse scritto il nome di Ardita, il primo ad esser reso pubblico; come mai esse siano state ritrovate proprio nel computer della segretaria di Davigo. C’è qualcuno che vuol vederci chiaro oggi in Italia su questa brutta faccenda? Se c’è batta un colpo!

Aggiornato il 07 maggio 2021 alle ore 09:48