I coraggiosi al Colle e la fusione a freddo

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto i fondatori di Coraggio Italia, Luigi Brugnaro, Giovanni Toti, Gaetano Quagliariello e, in qualità di capogruppo, Marco Marin. Quella di lunedì è stata una visita di cortesia, niente di più. Costituito un nuovo gruppo parlamentare, galateo istituzionale vuole che i suoi promotori informino il capo dello Stato e lo rendano edotto delle scelte di politica governativa che intendono praticare. Un comportamento di altri tempi, si potrebbe dire, ma che fa piacere riscontrare ancora vivo, almeno in alcuni politici: le istituzioni si omaggiano sempre e sempre di persona, anche ai tempi di Twitter.

Coraggio Italia, come dichiarato da Brugnaro, non è ancora un partito. Ad oggi è una realtà parlamentare, ma in qualche settimana si evolverà in partito vero e proprio. Il tempo di redigere lo statuto, andare dal notaio e darne pubblicità. E poi arrivare sui territori.

Il fatto che i suoi fondatori siano saliti al Quirinale ha una valenza politica, però, che va oltre il galateo. In questo modo hanno reso plastica una scelta definita e definitiva: costituire una forza centrale, seppure rivolta a destra, liberale, d’ispirazione cristiana e popolare, radicata nell’atlantismo e nell’europeismo, riformatrice, pragmatica.

Niente di nuovo dal punto di vista ideologico, intendiamoci. Queste sono le basi sulle quali già si radicarono molti partiti nei decenni passati: dalla Democrazia Cristiana al Partito Socialista, da quello Liberale e Repubblicano al Partito Radicale, fino a Forza Italia. Ognuno di questi attinse da quelle basi alcune caratteristiche, alle quali ora Brugnaro & Co. intendono dare nuovo smalto e rinnovato vigore.

Un progetto coraggioso, appunto, ma che muove da un’esigenza diffusa. Mettendosi per strada e annusando l’aria, non può sfuggire il fatto che una porzione dell’elettorato sia alla ricerca di una forza ispirata, proprio, a quei valori. Valori sui quali si eresse, come detto, anche Forza Italia, la quale, con le capacità politiche del suo fondatore, Silvio Berlusconi, riuscì a sconfiggere la “macchina da guerra” della sinistra, dimostrando in questo modo come quei valori fossero condivisi dalla maggioranza silenziosa degli italiani. Oggi probabilmente è ancora così, però agli occhi di quella maggioranza non sembrano più adeguatamente vivificati, freschi e pungenti nell’azione. Di qui lo scoramento di una sua parte, un diffuso allontanamento dalla politica attiva, scelte di voto ispirate “al meno peggio”.

Del resto, è proprio per salvare gli ideali fondativi che in Forza Italia si discute da tempo di scissione e nuovo gruppo. Adesso che si va alla nascita di un partito che intende rianimare, proprio, quei valori, si tratterà di vedere se, oltre a chi il salto l’ha già fatto, altri parlamentari “pionieri del coraggio” approderanno al fucsia: da Mara Carfagna e Mariastella Gelmini a Renato Brunetta. Per ora, anche per gli incarichi governativi in corso, si sono limitati a mostrare la loro contrarietà al progetto berlusconiano di costituire un partito unico che porti a sintesi tutte le forze della destra e della destra centrista. Ma una scelta, prima o poi, dovranno farla e farla conoscere all’opinione pubblica.

Berlusconi, d’altra parte, non sembra affatto intenzionato a ritirare la proposta, che anzi rilancia continuamente. Intendiamoci: l’idea è intelligente, ma è tanto intelligente quanto oggettivamente irrealizzabile in tempi ragionevolmente brevi. Se è così, allora, perché proporre e riproporre con insistenza questa fusione a freddo, nonostante i mugugni e i dissensi interni, nonostante la contrarietà manifesta di Giorgia Meloni e lo zig-zag di Matteo Salvini? Che sia un modo per dissimulare la debolezza del momento e, per così dire, esorcizzare il pericolo che può arrivare dal nuovo partito?

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 24 giugno 2021 alle ore 09:39