Luciana Lamorgese: l’ordine regna a Babele

venerdì 17 settembre 2021


Mario Draghi è un fuoriclasse e nessuno lo mette in dubbio. Ma il fatto di esserlo reca come conseguenza che lo siano anche tutti i ministri del suo Governo? Certo che no. In politica non vale la proprietà transitiva. Se il cavallo Draghi è un purosangue non è detto che chi sta con lui nella scuderia governativa sia della stessa razza. Al contrario, nella stalla di Palazzo Chigi c’è più di un brocco che divide la greppia con il corsiero. Fare una graduatoria di chi sia più somaro non è elegante. Neppure cosa utile perché, alla fine della fiera, ci sarà un giudizio complessivo dell’opinione pubblica sull’operato dell’Esecutivo in relazione a tutti i dossier affrontati che avrà inevitabili riverberi sul voto per il rinnovo delle Camere. Tuttavia, vi sono circostanze nelle quali un giudizio sull’operato del singolo ministro non solo sia legittimo ma, talvolta, doveroso. Il pensiero va a Luciana Lamorgese, il ministro (tecnico) dell’Interno. Già al Viminale, con il Conte bis, la signora ministro si dice sia stata blindata per la riconferma nel ruolo nientepopodimeno che dall’inquilino del Colle.

Ad averceli i santi in paradiso. E lei, la signora Luciana, potentina di nascita e irpina di adozione, quei santi che fanno miracoli (sbagliati) li ha e se li tiene stretti. Scelta nei conciliaboli dell’alleanza demo-grillina per rappresentare l’anti-Matteo Salvini dopo la parentesi (breve) del leader leghista all’Interno con il “Conte I giallo-verde, Luciana Lamorgese è stata un assoluto fallimento: un disastro che si è abbattuto sul groppone già affaticato degli italiani. Di là dagli episodi specifici che le vengono contestati, il più grave dei quali quello relativo alla follia del rave party organizzato illegalmente quest’estate, in piena pandemia, nella campagna del viterbese e per il quale la ministra ha dato ieri l’altro in Parlamento giustificazioni risibili, c’è sul tavolo il problema del controllo dell’immigrazione clandestina dalle coste nordafricane che l’Italia del campione Draghi sta gestendo malissimo. Non ne facciamo una questione di pregiudizio ideologico: sono i numeri che fotografano il dramma che il Paese sta vivendo nel silenzio generale. Per la signora ministro è tutto regolare, tutto va bene. Non è che le sfiori il dubbio di aver dimenticato il senso dell’espressione culpa in vigilando? Non c’è proprio niente per cui avverta il dovere di una salutare autocritica?

Ma sapete com’è, certe parole scomode possiamo pronunciarle solo al riparo da occhi e orecchi indiscreti perché in tempi di omologazione al pensiero unico è severamente vietato raccontare la verità, soprattutto se lesiva della narrazione edulcorata di Governo delle meraviglie di cui si nutre la compagine che affianca Super-Mario. Stando ai dati forniti dal ministero dell’Interno, al 15 settembre vi sono stati 42.186 sbarchi di immigrati irregolari. Nel 2019 erano stati, in pari data, 6.236. Una differenza abissale. È complicato perfino calcolarne l’incremento in percentuale, tale è il divario numerico. Vi sembra normale una cosa del genere? A noi per niente. Qui non si tratta di fronteggiare l’invasione delle cavallette o chissà qualche altro flagello di Dio. Stare a guardare mentre il traffico di esseri umani dalle coste della Libia e dalla Tunisia prospera vergognosamente non è come piegarsi ai capricci di un Fato bizzarro: è assecondare una scelta gestionale e una visione politica del problema migratorio ben determinate. Entrambe riconducibili alla responsabilità di chi è a capo del ministero che vigila sulla sicurezza e sull’ordine pubblico nel Paese. Cioè: Luciana Lamorgese.

In un contesto normale un personaggio del genere avrebbe dovuto lasciare la poltrona da tempo. Ma da noi niente è normale. Così accade che in un Paese tenuto ostaggio dall’ideologia multiculturalista, largamente minoritaria tra la popolazione, una come la Lamorgese non può essere rispedita a casa ma deve essere tenuta al suo posto perché, diversamente, significherebbe darla vinta a Salvini e alla destra che quotidianamente ne denuncia l’inefficienza. Anche questo è il prezzo che noi tutti dobbiamo pagare per avere in campo l’uomo della Provvidenza, Mario Draghi, il Cristiano Ronaldo degli statisti circolanti in Europa.

Possiamo almeno dire che la permanenza nel ruolo di ministro dell’Interno di Luciana Lamorgese sia un’indecenza, senza per questo sentirci dare degli antipatriottici che remano contro l’interesse nazionale? E poi da chi? Da gente come quella che staziona nel Partito Democratico che, di andare contro le imprese e le famiglie italiane, soprattutto a Bruxelles, ha fatto la ragione sociale della propria “ditta”? Roba da matti.


di Cristofaro Sola