Cosa farà Mario Draghi?

martedì 28 settembre 2021


C’è una domanda di fondo che attraversa la politica italiana e probabilmente quella europea: cosa farà Mario Draghi quando il Parlamento sarà chiamato a eleggere il nuovo capo dello Stato? Sì, perché sarà lui, consigliato da una cerchia limitata di compagni di viaggio, a tirare le fila.

L’attuale, Sergio Mattarella, ha detto in tutte le salse di non essere disponibile ad un ulteriore mandato. Il sigillo alla sua scelta ha tentato di metterlo programmando, per il 16 dicembre, la visita di congedo al Sommo Pontefice. Insomma, pare voler dire: vado ad accomiatarmi perfino dal Papa, cos’altro devo fare per sollecitare la politica a considerare altre figure?

Le cose, si sa, talvolta prendono strade impreviste e dunque è possibile che pure Mattarella torni sui suoi passi e magari accetti, d’intesa con Draghi, un mandato limitato a portare il Paese alle elezioni della primavera del 2023. È improbabile, ma possibile, come tutte le cose della vita.

Se invece manterrà la sua determinazione, il cono di luce non potrà che spostarsi, appunto, sull’attuale inquilino di Palazzo Chigi. Cosa farà Draghi, allora? Se la candidatura al Quirinale si dovesse affacciare, l’esito della votazione sarebbe scontato. La candidatura sarebbe giocoforza concordata e “bruciarla” nelle urne di Montecitorio sarebbe scelta suicida, che la maggioranza dei votanti difficilmente farebbe.

Draghi, però, potrebbe fare anche un’altra scelta: non volere indossare i panni di notaio della Repubblica e chiedere di rimanere a Palazzo Chigi per terminare almeno la prima fase attuativa del Pnrr, quella dell’avvio, e mettere al sicuro tutte le riforme concordate con l’Unione. Se così fosse, lo scenario politico complessivo, italiano ed europeo, potrebbe subire una forte scossa.

Da noi, infatti, potrebbe iniziare a prendere corpo la costruzione di un nuovo partito, il “partito di Draghi”, magari non capeggiato direttamente da lui, ma da lui senz’altro animato. Un partito europeista e atlantista, dispirazione liberale, attento ai bisogni della “povera gente”, come diceva Giorgio La Pira, ma consapevole che lassistenzialismo di Stato, se eccessivo e mal governato, genera solo altra “povera gente”. Un partito in grado di raccogliere una parte dell’elettorato leghista e forzista, i calendiani e una parte dei renziani, i “coraggiosi” di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, lelettorato disperso in un pulviscolo di partiti d’ispirazione cristiana e poi una porzione di quello senza casa.

Se dovesse accadere qualcosa di questo genere, la politica italiana ne uscirebbe trasformata. E trasformata, come già detto, ne uscirebbe anche quella europea. Dopo l’abbandono dell’Unione da parte del Regno Unito, l’addio di Angela Merkel e la prossima, possibile sconfitta di Emmanuel Macron, Draghi, da Palazzo Chigi, potrebbe assumere un ruolo di primo piano per le politiche europee, ma anche aspirare alla carica di presidente della Commissione europea, da rinnovare nel 2024.

Per quanto è dato sapere, i progettisti al lavoro sono già molti e tanti sono gli operai disposti a sporcarsi le mani di calcina. Quelle che rimangono da capire sono le decisioni del presidente del Consiglio e poi, aspetto tutt’altro che secondario, le contromosse che opposizione e alcune forze di maggioranza potrebbero mettere in campo per ostacolare la realizzazione del progetto. Ancora poche settimane e capiremo.


di Alessandro Giovannini