Riforma dei tributi e delega legislativa

Lo scompiglio politico generato dal disegno di legge delega per la riforma tributaria ha riguardato specificamente il catasto, per tutte le conseguenze patrimoniali e fiscali sulla casa. I timori e i sospetti delle forze politiche apertamente avverse alla revisione della rendita immobiliare sono fondati. È da credere, inoltre, che gli uni e gli altri siano più o meno condivisi pure da alcune delle forze politiche che li hanno approvati pubblicamente. La delega, smentendo che il “riordino” degli estimi servirà a modificarne l’incidenza tributaria, compie un’excusatio non petita, aggravata dall’autorevolissima conferma dello stesso presidente del Consiglio. Se le case e i terreni edificabili avranno, dopo il ricalcolo, un valore maggiore, solo un ingenuo può credere che uno Stato affamato e indebitato rinunci a profittarne fiscalmente.

Per la parte relativa agli immobili, la delega dà mano libera al Governo della Repubblica (non questo o quel Governo, non questa o quella maggioranza). Anzi, gli fornisce il destro di tartassare con la scusa di dover rispettare i nuovi parametri di valutazione. La delega, pericolosamente e, forse, incostituzionalmente, ha una vastità e complessità tale da renderla impervia ed incomprensibile, mentre dovrebbe essere semplice e accessibile, soprattutto ai parlamentari che dovranno esaminarla e, speriamo, correggerla in favore dei contribuenti.  E qui bisogna richiamare l’articolo 76 della Costituzione, cioè l’architrave giuridico su cui poggia la delega: “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.

Scorrendo i dieci articoli del testo approvato dal Consiglio dei ministri, un testo che però, secondo la prassi invalsa nella Patria del diritto, può considerarsi una “bozza” aperta alle aggiunte e riformulazioni “post deliberazione” del Consiglio stesso, si resta perplessi se non sgomenti. La delega, il cui testo definitivo conosceremo quando sarà stampato il relativo disegno di legge presentato al Parlamento, conferisce al Governo il potere di emanare, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge, un numero impressionante di decreti legislativi per “la revisione del sistema fiscale”. Si tratta in realtà della riforma ab imis, dalle fondamenta, dell’ordinamento tributario e delle sue connessioni con la finanza pubblica.

Aspettiamo fiduciosi che venga un Ercole a compiere l’opera, la quale si presenta addirittura a formazione progressiva. Infatti “il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi di cui alla presente legge, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge e con le modalità di cui al presente articolo” (articolo 1.7). Inoltre: “Entro 12 mesi dalla scadenza del termine di cui all’articolo 1, comma 7, (i diciotto mesi, ndr) il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la codificazione delle disposizioni legislative vigenti per garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza del diritto nel sistema tributario, ivi inclusi l’accertamento, le sanzioni e la giustizia tributaria” (articolo 9.1). Infine, “entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1 (articolo 9, ndr), il Governo può adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto della procedura e dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo” (articolo 9.5).

Una delega siffatta non sembra rispettare il criterio del “tempo limitato” e suscita serie perplessità circa la conformità agli altri criteri costituzionali. Il parametro degli “oggetti definiti” può ritenersi soddisfatto dal momento che un’unica monumentale delega contempla indistintamente l’universo tributario in sé e in relazione agli equilibri di bilancio, all’ammontare delle entrate a fronte di una spesa impregiudicata? Né può essere accettato tranquillamente che la miriade di “principi e criteri direttivi”, di cui è disseminata la delega, soddisfi il modello costituzionale, se non altro perché la Costituzione pare proprio richiedere non già vaghi indirizzi ma concreti limiti alla potestà legislativa delegata.

Quando il richiedente la delega ha voluto essere preciso ha saputo esserlo. Per esempio, con la revisione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef. I decreti legislativi dovranno “prevedere la sostituzione dell’addizionale regionale all’Irpef con una sovraimposta sull’Irpef la cui aliquota di base può essere aumentata o diminuita dalle regioni entro limiti prefissati. La sostituzione deve garantire che con l’applicazione della nuova aliquota di base della sovraimposta le regioni nel loro complesso ottengano lo stesso gettito che avrebbero acquisito applicando l’aliquota di base dell’addizionale regionale all’Irpef stabilita dalla legge statale” (articolo 8). A quale scopo? Ovvio, “rafforzare gli elementi di responsabilizzazione e trasparenza della finanza locale, in attuazione dei principi del federalismo fiscale”. Bella roba! Tuttavia le Regioni, per comprarsi i voti, caricano l’addizionale massima sui redditi superiori a quelli dei loro elettori medi, che invece vengono sgravati dell’addizionale. Potranno continuare a farlo, in barba al diritto e alla giustizia

In conclusione e senza impertinenza vien da chiedersi se Mario Draghi l’abbia letta davvero e meditata da par suo questa delega. L’esigenza di far presto nel riformare pure il sistema fiscale non deve sopraffare la necessità di riformarla bene, questa Italia. A meno che il presidente del Consiglio abbia “esposto” la creatura per modo che sarà il brefotrofio a preoccuparsene, dopo che egli sarà asceso dove la sua santità lo ha predestinato.

Aggiornato il 15 ottobre 2021 alle ore 09:15