Dittatura o democrazia: quale regime migliore per una pandemia?

Quale regime è più efficace di fronte “all’applicazione politica” di una emergenza pandemica, la democrazia o la dittatura? I Paesi così detti “democratici”, sin dal debutto di questo percorso pandemico, hanno gestito l’emergenza stessa con modalità autoritarie, giustificate da uno “stato di emergenza” adottando, nei rispettivi Stati, le “modalità cinesi”, autoritarie di cultura, storia e consuetudini. È stata così generata, come reazione (prevenzione) sociale al Covid, una ibrida “soffocante variante cino-occidente”. Pertanto, le difficoltà di libertà di espressione, un mainstream impantanato nella monotonia comunicativa, un eccesso di verticalità burocratica del potere hanno sin da subito caratterizzato questo “percorso”.

Assistiamo da tempo, con una sconcertante “indifferenza sociale”, a una “cieca educazione all’obbedienza”. Il superamento del limite si è verificato al momento che articoli costituzionali, diritti conquistati con sacrifici e normative varie, sono stati trascurati, trasformando la “Legge” in un rettile che serpeggia tra imposizioni dal sapore anche anarcoide. Dunque, oggi ci troviamo immersi in una crisi globale che sta creando dei pericolosi, ma previsti, conflitti sociali. È vero che dando uno sguardo al Pianeta le aree dove vige una “pseudo-democrazia” sono poche, come è vero che sono poche le Nazioni dove i governi si succedono tramite elezioni, anche se più o meno manipolate. Per la maggior parte degli Stati del Pianeta i “governi” (sotto le varie forme) o sono statici o si avvicendano tramite “colpi di Stato”, dove vanno a governare quantomeno i più forti e i meglio organizzati, una sottospecie di giusnaturalismo.

Ricordo cosa accade, dal punto di vista delle alternanze al potere, in Africa, in Cina, in parti del Sud America, nell’area del Vicino Oriente, nell’area asiatica e euro-asiatica (Turchia), e anche in Russia, tanto per dare una macro-visione, dove le elezioni, quando si celebrano, sono apparenti. Qui i militari o i “politici” capi di Governo si succedono a fior di golpe. Quindi possiamo dire, secondo le “teorie della maggioranza”, che la “normalità” è in questi “sistemi” piuttosto che in altri dove la Democrazia viene usata come spocchiosa superiorità culturale, ovvero gli Stati “diversi” visti sotto il concetto della “transitologia” di Max Weber. Assistiamo così alla illusione dei regimi democratici sulla propria invulnerabilità e a un acceleramento del loro declino, con il rischio che l’intero modello liberale occidentale venga spazzato via.

Ma va detto che ormai anche “i sistemi minoritari” si stanno allineando, come è di prassi in certi periodi storici, ai processi governativi dove l’autoritarismo diventa una regola che lentamente penetra nella consapevolezza e nell’accettazione della società, rendendolo “normale”. Come ho scritto in altri articoli, le dittature non sono “incidenti sociali”, ma in certe fasi storiche, delle “necessità sociologiche” altrimenti non si sarebbero potute verificare contemporaneamente in molti Stati e non avrebbero goduto di enormi consensi. I regimi autoritari sono stati a lungo studiati esclusivamente dal punto di vista della repressione e spesso in modo grottesco. Negli ultimi vent’anni molte ricerche storico-sociali hanno dedicato studi puntando l’attenzione sulle modalità di legittimazione degli autoritarismi, in particolare, analizzando le regole di negoziazione del contratto sociale autoritario, che produce consenso, basandosi più sui risultati che sui processi e in particolare sullo sviluppo economico.

Ora siamo di fronte a una società che recepisce le imposizioni illogiche come un dogma. Immagino cosa sarebbe accaduto a cavallo degli anni ’70 del secolo scorso, con una collettività mentalmente effervescente, se si fosse tentato di imporre, per una motivazione dubbiosa, un “certificato verde” per lavorare. Probabilmente non sarebbe stato nemmeno proposto, ma il dato è che tali atteggiamenti “provenienti dall’alto” è possibili applicarli solo su una società “preparata” alla “dis-istruzione”, una società aggregata fisicamente, ma isolata mentalmente, una società dove, senza lavorare, si percepisce lo stesso reddito di chi ha lavorato per quaranta anni e oltre, una società dove la cultura è un fattore discriminante e dove, molto spesso, chi fa politica la usa con spirito “revanscista”, non avendo né successo né competenze nella “vita” fuori dalla politica.

Oggi il doping mediatico è la droga più devastante; giunge sul “mercato umano” dopo una costruita “tossicodipendenza da ignoranza” che ha annichilito il raziocinio, la critica e la cultura. Ora la “tossicodipendenza mentale” è aggravata dai sieri sperimentali che oltre ad avere azione curativa (non ben nota), hanno anche una azione psichica (nota)! Un sistema così strutturato, dal punto di vista sociologico, appare come una dipendenza che potrebbe essere l’ultima frontiera sul controllo umano, ma soprattutto un sistema ordito per dividere il popolo, ormai confuso, tra i pro “Green pass” e i “no green pass”, questi ultimi accomunati dal mainstream – erroneamente ma strategicamente – ai No vax.

Un voluto caos che, dividendo la società, rafforza la fragile forza di chi da questo caos trae l’illusione dell’onnipotenza. Riprendendo la domanda iniziale: l’autoritarismo non potrebbe in definitiva essere in grado di rispondere meglio alle crisi sanitarie, costruite o meno? Se la domanda è posta ora, la risposta può essere rassicurante: no, certo che no. Ma non senza qualche dubbio, visto che la Democrazia non è immortale.

Aggiornato il 20 ottobre 2021 alle ore 11:29