Della intolleranza del pensiero unico in Italia e dei suoi rischi

martedì 2 novembre 2021


Che l’Italia sia da tempo immersa in una dittatura politico-sanitaria viene suffragato da significative prove, consistenti in diverse e ripetute manifestazioni di vera intolleranza manifestata nei confronti di chi, per vari motivi, non sia perfettamente allineato al mainstream dettato dal governo e dai cosiddetti esperti. Ne esistono molteplici esempi, ma qui mi limito solo ad alcuni che sono diversi nella fenomenologia ma identici nel loro significato: il pensiero critico, ovunque sia ritrovabile, va messo a tacere o comunque emarginato.

Primo episodio.

Nel maggio scorso, nel corso di una delle innumerevoli trasmissioni televisive dedicate al tema della pandemia (da due anni circa, ossessivamente, non si parla d’altro) il professor Paolo Bellavite, docente di discipline epidemiologiche presso l’Università di Verona, ha affermato che mentre a un ottantenne, già presumibilmente gravato da alcune patologie, consiglierebbe di sicuro il vaccino, non avrebbe la stessa sicurezza per un quarantenne, presumibilmente sano, in quanto esso non è stato ancora sufficientemente sperimentato nei suoi effetti a medio e a lungo termine e perciò lascerebbe la valutazione sul da farsi, caso per caso, al medico curante. Osservazioni di puro buon senso, direte voi. E tuttavia non in linea con il pensiero unico dominativo che oggi impera in Italia. Bellavite, colpevole di eresia, è stato infatti, dopo pochi giorni, sospeso dalla docenza dal rettore e si trova oggi a questionare giuridicamente con l’Università per questi motivi.

Secondo episodio. 

Una centralista del Cuptel, dipendente di una cooperativa che gestisce il centro di prenotazioni per l’Asl della Romagna, è stata licenziata dopo che, durante una telefonata, ha consigliato a una donna incinta di non vaccinarsi. Ne dà notizia il Resto del Carlino. Due mesi fa, una giovane donna di Faenza incinta ha chiamato il Cuptel per prenotare il vaccino ed ha espresso i propri timori alla centralinista. “Ricordo questa donna in gravidanza molto combattuta – ha raccontato la centralinista al giornale – che esprimeva il suo sfogo e le sue indecisioni sul vaccino, e io, forse peccando di ingenuità, mi sono lasciata sfuggire le parole Io se fossi in lei non lo farei. Ma alla fine le ho, comunque, prenotato la prima dose”.

Il marito della giovane donna ha denunciato il caso all’Asl Romagna che lo ha segnalato alla cooperativa. Dopo le verifiche del caso la donna è stata licenziata per giusta causa. “La situazione è stata gestita dai nostri legali che hanno preso questo provvedimento – ha detto Cristina Gallinucci, presidente della cooperativa Asso – in un periodo complicato come quello vaccinale, nessuno può permettersi di dare consigli senza avere le competenze necessarie” (Ansa). Insomma, dare un consiglio può essere pericolosissimo, divenendo addirittura una giusta causa di licenziamento: come poteva accadere sotto il Kgb di Beria, quando anche tra familiari stretti ci si guardava bene dal dare consigli (se non quello di prendere l’ombrello in caso di pioggia) per timore di essere denunciati alla potentissima polizia politica e finire di filato in Siberia.

Terzo episodio.

L’onorevole Lucia Ronzulli – operosa commissaria liquidatrice di ciò che rimane di Forza Italia – nel corso di una ennesima trasmissione televisiva del 21 ottobre ha affermato che coloro che hanno scelto di non vaccinarsi altro non sono che pericolosi “parassiti” della società. E ciò senza che nessuno dei conduttori o degli ospiti presenti osasse contestarle l’uso di questo linguaggio di evidente ascendenza nazista.

Quarto episodio.

Durante altra trasmissione televisiva, la Ronzulli – ancora lei ! – aggredisce verbalmente con veemenza Enrico Montesano – colpevole soltanto di leggere un documento dell’Istituto superiore di sanità ove si affermava che i morti, a causa esclusivamente del Covid, in Italia, su circa 130mila complessivi, sono in realtà soltanto circa 3.700 – impedendogli di parlare e ovviamente senza che il conduttore televisivo intervenga per garantire a Montesano il tempo minimo necessario per esprimere il suo pensiero. Innumerevoli sono poi altri casi in cui i nostri virologi, infettivologi, epidemiologi, medici pubblicamente beffeggiano, insolentiscono, ironizzano su chi la pensi diversamente, osando avanzare una qualche forma di dubbio. Che dire di questa piccola fenomenologia della intolleranza del pensiero unico?

Sul primo episodio. Il rettore della Università di Verona – degno esecutore della volontà del pensiero unico – sembra non sospettare che il dubbio, esemplato da Bellavite, rappresenta l’anima stessa di ogni sapere scientifico, il quale, se ne fosse privo, non potrebbe neppure edificarsi come lo conosciamo. Per questo, egli avrebbe dovuto ringraziare Bellavite e promuovere un incontro con lui allo scopo di meglio intendere i problemi sollevati. Invece, Bellavita viene bollato come eretico. Sul secondo episodio. Qui siamo davvero oltre il limite di un doveroso allarme sociale. Se basta aver espresso una opinione – giusta o sbagliata che fosse – circa la opportunità di praticare il vaccino (peraltro affrettandosi a prenotare chi ne dubitava per non fargli perdere il turno), per essere licenziati in tronco, allora dobbiamo essere molto preoccupati. E di più con l’apprenderne la giustificazione, secondo cui “nessuno può permettersi di dare consigli senza averne le competenze necessarie”: come dire che il padre che non sia astrofisico non può consigliare il figlio circa la opportunità di dare o di non dare un esame all’università; la madre che non sia ginecologa non può consigliare la figlia circa la opportunità di assumere o non assumere la pillola; l’amico che non sia un manager finanziario non può consigliare il suo compagno di scuola circa la opportunità di un investimento.

Assurdità pure e semplici.

Eppure, oggi ci tocca di assistere a simili corbellerie, presentate con l’arroganza che soltanto l’idiozia di una copertura simil-dittatoriale può spiegare, ma non giustificare. Sul terzo episodio. Qualcuno dica alla coltissima commissaria liquidatrice di Forza Italia, l’onorevole Ronzulli, che l’epiteto da lei pubblicamente riservato per i sette/otto milioni di italiani che non vogliono vaccinarsi – quello di “parassita” – fu già adoperato ed inaugurato in un libro edito nel 1944, a cura della Wehrmacht, con il titolo Der Jude als Weltparasit (L’ebreo come parassita del mondo), proprio per significare, degli ebrei, il ruolo antisociale.

Tutti sappiamo come è andata a finire.

Si vede che lei – alfiera di un partito democratico e liberale come Forza Italia – ha dimenticato che scegliere di non vaccinarsi significa soltanto esercitare un diritto garantito dalla Costituzione e che perciò bollare i non vaccinati quali “parassiti” vuol dire considerare la carta fondamentale della Repubblica come carta straccia. Ma forse la Ronzulli, impegnata nella liquidazione ormai avanzata del partito e perciò “ in tutt’altre faccende affaccendata, a questa roba è morta e sotterrata”. Sul quarto episodio. Non contenta, la Ronzulli impedisce di parlare a Montesano. Il fatto si commenta da se quale esempio fulgido di tolleranza e democraticità. E d’altra parte, se Montesano va reputato un parassita, perché dargli la parola? Come si vede, c’è ormai da aver paura anche soltanto ad esprimere un’idea diversa da quelle dominanti, paura di innescare una reazione pericolosa ed incontrollabile. Come ha notato Bruno Montanari, l’aver trasformato – da parte del pensiero dominante – un inesistente illecito “giuridico” (scegliere di non vaccinarsi) in una forma surrettizia di illecito “sociale” (tanto da appellare come parassita chi non si vaccini) sta conducendo lentamente ma pericolosamente la nostra compagine sociale verso una frammentazione forse irreversibile, nel cui quadro ci sono soltanto parassiti, untori, eretici o, nel migliore dei casi, deficienti da governare in modo paternalistico. La Ronzulli non lo capisce, ma scherza col fuoco, perché il legame sociale rischia in tal modo di spezzarsi. Quando ce ne accorgeremo tutti potrebbe essere tardi.


di Vincenzo Vitale