I valori europei, tra verità e ideologia

venerdì 3 dicembre 2021


Pubblichiamo l’intervento del professor Renato Cristin che ha preso parte al convegno “How to reform the Union for the future of Europe?”, organizzato dal Gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti Europei (Varsavia, 3 dicembre 2021).

Riflettere oggi sui valori spirituali è quanto mai importante, perché proprio in questo periodo l’Europa è sconvolta da un gigantesco caos politico, economico, sanitario, sociale e psicologico causato in prima istanza dall’epidemia del virus cinese, e in seconda battuta dai provvedimenti che la burocrazia politica e sanitaria dei vari Stati europei ha assunto per fronteggiarla (la Commissione Europea, in questa circostanza, si è mostrata finora relativamente prudente e attenta a non produrre discriminazioni o limitazioni eccessive delle libertà personali). In questa situazione – nella quale il formalismo ha soppresso la sostanza, e la superficialità ha compresso la libertà –, i valori e i princìpi vengono distorti e ridotti a funzioni: vale ciò che è funzionale, anche a prescindere dal contesto valoriale. Non posso dilungarmi qui su un tema così scottante e complesso come la crisi pandemica, ma certamente l’attacco che i valori europei stanno subendo da molti anni a causa del dilagare del politicamente corretto trova un rispecchiamento nell’atteggiamento con cui il connubio fra ideologia e burocrazia sta gestendo, nei singoli Stati, la crisi sanitaria. Quando il positivismo e il pragmatismo assumono il controllo, e quando si intrecciano con l’ideologia del progressismo radicale, allora i valori svaniscono, i princìpi vengono deformati, la politica retrocede, la libertà viene denigrata, e perfino la scienza viene manipolata e ridotta a strumento della tecno-burocrazia. A maggior ragione dunque in questa fase di grande disorientamento e di grandi falsificazioni, è assolutamente necessario recuperare l’autenticità dei valori e, più in generale, l’identità della nostra tradizione spirituale.

Ora, i princìpi e i valori hanno una formulazione astratta, che è necessaria per la loro concettualizzazione, e una espressione concreta, che è necessaria per la loro applicazione. I princìpi e i valori sui quali si regge l’Unione Europea devono corrispondere a quelli sui quali si fonda l’Europa in quanto insieme storico e culturale. Nel Trattato del 2004 gli Stati europei si sono sforzati di stilare un elenco dei valori sui quali fondare l’Unione, ma hanno omesso di inserire la premessa storicamente più rilevante e che avrebbe fornito il quadro di riferimento generale: le radici ebraico-cristiane. Su questa esclusione c’è stato, all’epoca, un dibattito ampio e arroventato – che ha visto in prima linea anche Papa Giovanni Paolo II –, perché la tradizione spirituale e religiosa europea è un punto essenziale, decisivo, vitale non solo per le istituzioni europee ma anche per l’esistenza stessa della nostra civiltà. Ma la maggioranza nel Parlamento e nel Consiglio d’Europa ha privilegiato l’ideologia del politicamente corretto rispetto alla verità storica e spirituale. E da quel momento in poi c’è stato un continuo peggioramento.

Quella omissione infatti è stata talmente grave, che da essa sono derivati molti degli attuali errori europei in tema di princìpi e di valori. Quella lacuna è diventata un vuoto gigantesco, come una falla nella diga da cui si produce una inondazione.

In generale, i princìpi e i valori devono essere trasmessi e rispettati, ma a tal fine dovrebbero essere applicati nella realtà effettuale. Un banco di prova concreto su cui testare la validità di questa tesi è l’attuale crisi fra Polonia e Bielorussia (che a ben guardare è non solo una crisi fra Europa e Russia, ma anche uno specchio della tensione fra Europa e Turchia, e quindi anche un segmento dello scontro fra l’Occidente nel suo insieme e l’asse Cina-Russia-Iran). Oggi i progressisti sostengono che la Polonia stia violando i diritti umani perché impedisce l’accesso ai migranti che la Bielorussia ha ammassato sul confine, mentre invece il governo polacco sta difendendo il diritto di proteggere il proprio popolo e, così facendo, sta difendendo anche l’Europa stessa.

L’establishment politico-mediatico racconta che al confine fra Polonia e Bielorussia è in atto una prova di forza fra i due paesi, nella quale i migranti sarebbero stritolati come fra incudine e martello. È vero che su quel confine, oltre a una grande maggioranza di uomini adulti spediti là da organizzazioni, anche terroristiche, intenzionate a destabilizzare l’Europa, ci sono anche donne e bambini innocenti. Ma quelle donne e quei bambini sono resi vittime e sono usati come scudi umani da qualcuno che li sta sfruttando per scopi tutt’altro che umanitari, e che è l’aggressore. E quindi lungo quel confine anche la Polonia è vittima.

Da quest’altra parte infatti c’è il popolo polacco, messo alle corde da una minaccia immigratoria che non si può sottovalutare e che riguarda anche il resto del continente. La Polonia infatti sta difendendo l’Europa nonostante le esitazioni dell’Unione Europea, nonostante le critiche dei progressisti e la condanna, infondata ma violenta, degli immigrazionisti. Se dunque la Polonia si trova oggi in mezzo a una morsa, si tratta di capire quali siano realmente le ganasce e, quindi, quale sia la posta in gioco.

È evidente che la partita in atto sul confine tra Polonia e Bielorussia sia di vasta scala e riguardi assetti geopolitici molto più ampi di quel confine. Il coinvolgimento della Polonia infatti non è dato semplicemente dalla posizione geografica e dalla collocazione geopolitica. La Polonia è da sempre una spina nel fianco occidentale della Federazione Russa, sia perché da Katyn’ a Smolensk essa rappresenta un pesante fardello nella psicologia (e pure nella prassi) politica sovietica prima e russa poi, sia perché è il migliore alleato europeo degli Stati Uniti, sia perché è un cardine strategico della NATO; ed essendo anche invisa all’attuale maggioranza popolar-socialista dell’Unione Europea, essa è al centro di attenzioni non benevole da parte di osservatori e attori interessati a un suo ridimensionamento se non addirittura a un suo asservimento. Per ragioni storiche e culturali, politiche e militari, e in quanto paese dalla forte identità nazionale e religiosa, la Polonia è dunque un elemento che contrasta sia, da un lato, con la volontà russa di avere confinanti sottomessi o almeno accomodanti, sia, dall’altro lato, con l’intenzione dell’Unione Europea di depotenziare l’idea di nazione, controllare centralisticamente le decisioni dei vari paesi membri, e uniformarne i comportamenti politici e giuridici.

Cosa c’è di meglio che metterla in crisi con l’arma oggi più appariscente ma meno denunciabile, e proprio perciò più vile, cioè quella dei migranti? In tanti guardano – giustamente, in linea di principio – al dramma dei migranti che, qui e ora, si accalcano sul confine orientale polacco o sulle coste italiane, ma pochi pensano al dramma futuro dei popoli europei che dovranno accollarsi il peso di un’immigrazione di massa, fatta da persone che difficilmente troveranno come sussistere. Un dramma di (relativamente) pochi migranti alla volta può diventare domani il dramma di interi popoli. Il governo polacco sta dunque assumendosi fino in fondo una responsabilità che ogni governo virtuoso dovrebbe assumersi: il duro e ingrato compito di salvaguardare i propri connazionali dagli squilibri sociali provocati, come la storia più o meno recente insegna, da un’immigrazione incontrollata. Anche in questo modo, apparentemente duro, si contribuisce alla difesa dei valori europei.

Sul terreno politico l’aspetto teorico si congiunge con quello pratico, e quindi ritorno al problema della mancata menzione delle radici ebraico-cristiane per evidenziare l’opportunità che il movimento dei conservatori e riformisti europei insista oggi sull’affermazione di queste radici che identificano l’Europa, anzi l’Occidente intero più di qualsiasi altra caratteristica. Di queste radici va fatta una bandiera politica e morale, issandola fin nel dibattito politico e parlamentare, testimoniando un’identità spirituale intorno alla quale possono convergere consensi da varie parti politiche.

Il fronte del Partito Popolare Europeo infatti è molto diversificato e non tutti i partiti che vi aderiscono sono d’accordo sull’alleanza con i socialisti, su un’alleanza che costringe a troppi compromessi su punti nevralgici, non solo politici ed economici, ma anche etici e religiosi. E appunto facendo pressione su questo come su altri punti deboli di questa anomala alleanza, si può comporre, finalmente, quella coalizione conservatrice, identitaria, riformista e liberale (nel senso del liberalismo di destra, non ovviamente dei liberals americani) che potrebbe competere con successo alle elezioni europee del 2024.

Ma questa battaglia elettorale si vince soltanto se si mettono in pratica con coerenza e determinazione i valori sui quali ci si fonda, perché è proprio su questo terreno che – indirettamente ma inesorabilmente – i progressisti di ogni gradazione insistono, come dimostra un esempio di qualche giorno fa: il tentativo che il gruppo di lavoro della Commissione Europea denominato «Union of Equality» ha compiuto per diramare le linee guida per un linguaggio politicamente corretto è stato rapidamente ritirato, ma la minaccia rimane intatta. La mentalità che le ha stilate è purtroppo non solo attiva, ma oggi anche dominante.

Quelle raccomandazioni linguistiche sono infatti una conseguenza dello stravolgimento dei valori tradizionali e a loro volta sono la premessa per una progressiva distruzione dell’identità europea. La neo-lingua di cui quelle linee guida sono un goffo ma eclatante esempio è l’esito di un processo ideologico, e al tempo stesso è alla base di un nuovo stadio involutivo della civiltà occidentale. Questo inquietante nuovo linguaggio deriva dalle mutazioni dell’ideologia comunista, del marxismo culturale e del progressismo; corrisponde all’obiettivo di disgregare i valori per sostituirli con simulacri vuoti e neutri; e dà origine al nihilismo che oggi domina il pensiero e l’azione delle istituzioni europee, il cui atteggiamento mentale consiste, nella sua essenza, nella riduzione positivistica dei valori a operazione pragmatiche, nella trasformazione della sostanza in funzione, del lavoro del pensiero in meccanismo della burocrazia, ovvero in quello che io chiamo il nihilismo del XXI secolo. Ed è a questo nihilismo che dobbiamo opporre il modello di pensiero radicato nella tradizione occidentale, e in primo luogo nella sua doppia genesi: religione e filosofia.

Questa Unione Europea va dunque assolutamente modificata, ma non solo sul piano politico-istituzionale, bensì anche su quello che riguarda i valori. Ed è su questo secondo livello che si gioca la partita meno visibile ma di più lunga gittata, perché questo è il terreno fondamentale su cui si sono sviluppati i popoli, su cui si sono edificate le nazioni: questo è il terreno dello spirito europeo, che non solo precede ma anche rende possibile qualsiasi struttura istituzionale, qualsiasi carta costituzionale, qualsiasi trattato. È anche su questo piano che va esercitata la critica di questa Unione Europea, per riformarla e salvarla dall’autodistruzione.

Certo, se presi in sé, i princìpi e i valori enunciati nel Trattato del 2004 non sono in alcun modo negativi, ma rischiano di diventare negativi nella loro applicazione, quando cioè vengono assoggettati a esigenze burocratiche o a strumentalizzazioni ideologiche. Quando vengono applicati da forze politiche ispirate al marxismo culturale o al progressismo politicamente corretto, possono diventare pericolosi e dannosi, perché – ripeto – manca il quadro di riferimento costituito dalla tradizione ebraico-cristiana. Per fare un esempio: sostenere il valore della libertà in astratto, senza collegarla in modo coerente al contesto storico-culturale in cui essa è nata e si è sviluppata, cioè alla tradizione morale europea, significa esporla a qualsiasi sorta di manipolazione.

Si tratta allora di integrare la carta dei valori istituzionalizzati, formalizzati e neutralizzati, con una carta dell’identità europea fondata sulla sostanza dei valori stessi e incarnata nell’esperienza vivente dei popoli e delle persone. In questo modo, si potrà indurre gli europei, cittadini e istituzioni, a riflettere sull’importanza che i valori tradizionali europei hanno per il futuro del continente e anche per l’esistenza quotidiana degli europei stessi, tanto più in un periodo di grande sconvolgimento come quello attuale, che ha prodotto inusitate limitazioni delle libertà individuali. Questo è un lavoro di ampio raggio e di lungo periodo, faticoso ma assolutamente necessario, perché una volta perduta la grande battaglia di idee in corso oggi sul fronte occidentale, tutto sarà perduto: conservatorismo, liberalismo, la nostra identità, la ricerca della verità, perfino la libertà stessa.


di Renato Cristin