Ministro Bianchi: bene la filosofia, male Cingolani

La scelta di Patrizio Bianchi (ministro della Pubblica istruzione) di introdurre la filosofia anche negli istituti tecnici e, ovviamente, di rinforzarla nei Licei, potrebbe essere la risposta istituzionale all’abnorme consumo di tecnologia da parte di esseri umani con poco buonsenso. Una riforma, quella che rafforza lo studio del pensiero umano, che dovrebbe essere legge prima dell’estate 2022. Una sfida ardua, in considerazione dell’attuale poca propensione al confronto dialettico che ormai regna nelle scuole come nella società. E c’è da credere che il ministro abbia davvero girato il coltello nella piaga, ovvero la poco umanamente valida formazione degli studenti. Amara verità in parte frutto di troppe famiglie poco attente alla quotidiana verifica dell’impegno dei figli, come di molti insegnati troppo concentrati su se stessi e sui loro personalissimi problemi esistenziali: del resto, le cronache ci parlano di docenti uomini intenti a cercare guadagni che compensino lo stipendio, come di professoresse animate dal dimostrarsi belle e brave su Facebook come su altri siti e chat.

I giovani che capitano tra le grinfie dei cattivi insegnati hanno due scelte, studiare e farsi una propria preparazione oppure cedere all’abbandono e sbandare, perdersi. Negli anni ’70 del passato secolo la scuola subiva una profonda crisi, e la contestazione generica e generalizzata portava sul banco degli imputati la riforma elaborata negli anni Venti da Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice: due filosofi di cui gli studenti ignoravano (ed ignorano) il pensiero e le rispettive opere, e perché qualche insegnate aveva deciso di obliterarli dal programma di Storia della Filosofia poiché la loro prassi formativa era stata partorita sotto il fascismo. Così capitava che nei college statunitensi e nelle accademie tedesche si dedicavano lezioni a Giovanni Gentile, Lombardo Radice e Benedetto Croce per comprendere storicamente il neoidealismo e, quindi, il perché dell’attualismo gentiliano; di contro, nei Licei italiani veniva scientemente tagliato il pensiero filosofico dei primi anni del ’900, e si dava spazio solo ad una distorta interpretazione dei discendenti di Hegel, Gramsci, Adorno, Marcuse e Lukacs. Ma non dimentichiamo che, nella confusione delle assemblee scolastiche degli anni ’70 la faceva da padrone il dibattito politico, il confronto dialettico: la preparazione storico filosofica trasformava uno studentello arrabbiato in una sorta di Demostene. Credo che questi ricordi, forse considerazioni, siano affiorati anche alla mente del ministro Patrizio Bianchi.

Non è certo un caso che Bianchi abbia illustrato la propria ipotesi di riforma al convegno veneziano “Etica e intelligenza artificiale” dell’Aspen Institute (sponsorizzato da Tim e Intesa Sanpaolo). Etica ed intelligenza artificiale, forse per molti, è uno stridente contrasto. E non è nemmeno il caso di scomodare i folli esempi di chi vorrebbe manipolare il genoma umano, costruire ratti giganti o riportare in vita dinosauri e mammut: lasciamo queste trovate al cinema. Guardiamo al basso, perché ci fa specie che nelle scuole venga bullizzato lo studente che non ha lo smartphone appena uscito sul mercato, o che i telefonini distraggano i giovani dalle lezioni, o che i giovani giochino con moneta elettronica sui cellulari o, peggio, che guadagnino soldi con prestazioni sui siti porno o siano collegati a chat di spaccio e criminalità.

Negli anni ’70 succedevano anche risse per motivi politici ma, caro ministro Bianchi, eravamo per la maggior parte ragazzi sani, ci credevamo, c’erano gli ideali e si credeva che seguendo le ideologie avremmo realizzato un Italia e un mondo migliori. Quello che più addolora è che i giovani si siano chiusi in se stessi, che solo pochi cerchino il confronto ed il dibattito pubblico. Chi le scrive reputa il dibattito virtuale, solo via chat e internet e social, un parziale surrogato della polis, una sorta d’umanità confinata ed asociale. Lei caro ministro ha ammesso “dobbiamo uscire da questa crisi pandemica… i big data sono la strada da seguire ma non abbiamo abbastanza risorse umane e competenze morali”. Il suo accenno alle “competenze morali” ha acceso nello scrivente (lo confesso) la flebile fiammella che la tecnologia possa ancora soggiacere (essere doma) alle coscienze degli individui. Lei si è così espresso nel dibattito “È un Paese per giovani?” organizzato a Bologna con gli studenti del Liceo Malpighi: “La scuola deve essere sempre più il modo in cui tutti sono in grado di usare tutti gli strumenti della propria epoca e non di esser usati. Penso al telefonino, al computer, cioè all’intelligenza artificiale. Ma bisogna farlo con capacità critica. Bisogna saper leggere l’attualità. Quando studi filosofia, devi entrare con capacità critica nel dibattito Vax-No vax. Ma sei fortunato di poter usare la lettura critica che parte da Kant che non è un libro da mettere nella biblioteca. È lo strumento concettuale con cui puoi affrontare il mondo di oggi”.

Il cruccio che assilla l’uomo di oggi è certamente il rischio d’esclusione sociale, ovviamente per motivi squisitamente reddituali. Lei è un economista e quindi un filosofo, non dovrebbe esserle sfuggito che circa cinque milioni d’italiani sono ormai caduti in quel limbo noto come “povertà irreversibile” (ci si finisce dentro per motivi bancari, fiscali, giudiziari, tributari, amministrativi a vario titolo) e che più d’un milione di giovani in età formativa sono figli di “poveri irreversibili”: uno spaccato che ricorda non poco l’Inghilterra narrata da Dickens, quella delle leggi contro la povertà che di fatto portavano alla reclusione dei poveri ed alla loro deportazione nell’emisfero australe. Questa missiva la raggiunge perché, credo, lei riconosca la verità della vita di singoli cittadini: fatta spesso d’esistenze economicamente precarie e difficili. Solo dei giovani che abbiano introiettato la storia del pensiero umano possono bocciare democraticamente un sistema che non riconosca spazi di tolleranza economica e sociale. Perché disconoscendo la sempiterna legge naturale oggettiva dell’uomo, inevitabilmente si scivola nel totalitarismo (oggi potrebbe essere tecnocratico).

Che bello che abbia parlato di morale ed etica in un Liceo. Un monito al corpo docente italiano, che oggi sembrerebbe spaccato tra paladini della tecnologia che vorrebbero i giovani piegati alle imposizioni tecnologiche (dalla moneta elettronica ai vari obblighi di tracciatura sul lavoro) e nemici della tecnica che predicano una novella Arcadia. Senza il buon senso filosofico nelle istituzioni si rischia d’ampliare la platea dell’esclusione sociale, come degli individui in regime di “povertà irreversibile”. Ormai è noto lo Stato etico-tecnocratico abbia la sua fonte ispirativa nel capitalismo di sorveglianza, che non ha precedenti nella storia dell’uomo: è uno Stato che non riconosce la legge naturale e nemmeno la morale delle religioni (cristiana, musulmana, ebraica) e non ha nemmeno i fini consensuali dei totalitarismi del ’900 né dei regni del passato. Però caro ministro è noto lei abbia dei nemici culturali nell’Esecutivo: il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha proposto d’abolire lo studio della storia classica nelle scuole, e di sostituirla con la tecnologia.

Lei saprà benissimo che il filologo Luciano Canfora, che ha promosso la sua idea di introduzione della filosofia negli istituti tecnici, ha bollato così Cingolani “è un comunardo, cioè un seguace della Comune rivoluzionaria di Parigi (del 1871) che, nei settanta giorni scarsi di governo, propose una riforma della scuola in cui si eliminava l’antichità e si sperava che ci si occupasse soltanto di scienza tecnica e vicende contemporanee”. Ci giunge nuova che qualche seguace di Cingolani, per evitare rigurgiti di pietas nei giovani, vorrebbe anche mettere al bando l’Eneide nei Licei: si guardi le spalle da certi genietti che le stanno attorno nel ministero. Certo qualche delirante di vero potere (ispiratore americano di Cingolani) pare immagini di costruire uno Stato antiumano, che governerebbe gli uomini, e avendoli convinti che l’umanità è il male che conduce alla fine del mondo. Chi le scrive la mette in guardia su Cingolani rammentandole un autore classico (ed allievo prediletto di Socrate) con le parole di Nietzsche: “Eschilo accusava la morte della tragedia come atto fondativo della fine della storia”. Per Nietzsche il segnale premonitorio è l’indifferenza politica del popolo. Ben venga che la filosofia curi l’indifferenza dei futuri tecnocrati. Perché spaventa che i giovani d’oggi possano essere i futuri censori della nostra libertà d’espressione, misurata da un computer, da un algoritmo.

 

Aggiornato il 03 dicembre 2021 alle ore 15:53