Il Quirinale e il gioco dei partiti

Il colmo (o qualcosa di peggio) è che Sergio Mattarella si sia risentito perché sta trapelando la volontà dei partiti (o quel che ne resta) di trovare un marchingegno per procurare un suo bis sul Colle. Sì, avete capito bene, non un risentimento perché se ne vogliono liberare poiché qualche nuovo sta scalpitando, ma per il suo opposto. Intendiamoci: ci sono sempre stati momenti per dir così di dura opposizione fra e nei partiti, anche e soprattutto in occasione di elezioni di loro rappresentanti ai massimi livelli istituzionali, ma nel nostro caso il problema è ben diverso e ben più grave. Il fatto è che mentre la data della scadenza mattarelliana si avvicina e l’obbligo di un nuovo (o un riconfermato) presidente della Repubblica si avvicina, i partiti si dimostrano incapaci, privi, svuotati, tentennanti. Ed è come se la chiamata a questa loro precisa responsabilità fosse uno sforzo insopportabile e un obiettivo pressoché impossibile da raggiungere. Posto che è loro insostituibile ruolo istituzionale quello di dare al Paese un presidente della Repubblica che, secondo Costituzione, è il rappresentante non di un partito ma dell’intera nazione, ciò che primariamente ci si chiede è se questi partiti siano veramente consapevoli della portata “storica” di una simile responsabilità, giacché ne fa i veri grandi elettori, vale a dire i diretti responsabili di un voto il cui eletto dovrà garantire ben sette anni di pienezza di potere istituzionale per il Paese.

Invece, quella che una volta veniva definita la “corsa al Quirinale” è oggi una sorta di andirivieni di chiacchiere, di ipotesi, di svogliate risposte ai cronisti giustamente curiosi, non tanto o non soltanto per non “bruciare” i candidati ma perché questi sono assenti, non esistono. E non tanto per il mantenimento di obbligati silenzi e di ovvi timori di svelare il proprio gioco, ma per la più che apparente ormai ovvia ragione che nei partiti, tutti o quasi, è scomparso quell’orgoglio di essere i depositari, almeno ogni sette anni, di un potere che nella politica può essere ben considerato fra i più alti e più decisivi. Oltre che a essere i rappresentanti di un grande Paese. Il che non è poco. Come si dice…

Deve dunque essere successo qualcosa di grave alla nostra democrazia rappresentativa se è vero come è vero che, stando alle apparenze, gli stessi protagonisti non risultino preoccupati più di tanto. Di certo, la costatazione diffusa, e non soltanto in Camera e Senato, che il ruolo presidenziale all’italiana sia troppo “basso” e se non quasi vuoto rispetto a quello vigente in molti altri Paesi democratici è una delle ragioni di fondo dell’attuale situazione. Ma allora ci si chiede se i suoi responsabili politici aspettino una Terza Repubblica atta a cambiare le annose regole elettive, dopo aver dipinto la Seconda come madre di tutte le grandi riforme istituzionali.

Il punto vero è che anni e anni di vere e proprie calunnie alla Casta, termine insultante col quale si sono indicati i cosiddetti “partiti nati dalla Resistenza”, hanno scavato non tanto o non soltanto un solco fra questi e la “gente” cioè gli elettori, sempre più ridotti a minime percentuali dentro le urne, ma dentro la loro stessa istituzione attaccata per anni e anni da un carico di insolenze da parte di propri rappresentati che, come mostra la parabola del Movimento Cinque Stelle, ha inferto colpi mortali alla loro credibilità, al loro livello istituzionale, alla loro responsabilità nazionale e internazionale, al loro compito non solo di rappresentanza ma di guida politica di una fra le più grandi nazioni europee.

A questi colpi non poteva mancare non soltanto il solco sempre più largo di cui sopra, ma una sorta di grave impreparazione culturale e di disinteresse interno fino a provocare indifferenze e distanze e, soprattutto, quel vuoto non solo di personalità ma anche di volontà che stanno di fronte. E intanto la scadenza di Mattarella si avvicina e il suo “no” a una riconferma è sempre più forte.

Aggiornato il 07 dicembre 2021 alle ore 10:29