Serve Berlusconi al Colle

Non vogliamo essere molesti. E neppure ripetitivi. Non pretendiamo di farvi il lavaggio del cervello per convincervi dell’opportunità di avere Silvio Berlusconi al Quirinale. Manca più di un mese alla convocazione delle Camere per eleggere il nuovo capo dello Stato e non desideriamo che a quella scadenza arriviate esausti, disgustati dall’eccessiva mediatizzazione dell’argomento a scapito dei problemi reali degli italiani. Dal caro-bollette alla ripresa occupazionale che non decolla. Altro che toto-Quirinale! Tuttavia, vi sono momenti, li si chiami pure tornanti della Storia, nei quali anche la gente comune deve sforzarsi di elevare lo sguardo oltre l’orizzonte ristretto delle proprie vicissitudini e guardare lontano. Perché, come le tempeste, è da lontano che prendono vita fenomeni destinati a ingigantirsi e abbattersi, simili a tsunami, sui fili scoperti delle nostre esistenze. È l’effetto farfalla della teoria del caos: può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas? A quanto pare, sì. Non chiedeteci di modelli matematici o di “attrattori di Lorenz” perché non sapremmo cosa rispondere. Ciò che sappiamo è che funziona. Perciò, a proposito di chi potrebbe essere il nostro futuro presidente della Repubblica, tutto possiamo consentirci tranne che chiuderci in un gretto provincialismo autoreferenziale. L’Italia non è l’ombelico del mondo. Ma una rotella di un ingranaggio grande e complesso, sì. Eppure, anche una piccola rotella può fare la differenza.

Ora, mentre la politica di casa nostra si dimena in giochi di Palazzo francamente stucchevoli, il Paese, insieme a tutti gli altri dell’Unione europea, affronta due problemi giganteschi, oltremodo connessi e destinati, se non risolti per tempo, a minarne la prosperità e la sicurezza. Primo dossier. Il costo della materia prima energetica, salito vertiginosamente dalla fine dell’estate scorsa, sta mettendo in crisi la ripresa economica continentale e sta aggravando lo stato d’impoverimento delle fasce deboli, a basso reddito, della società. L’Unione europea, che non ha risorse energetiche in quantità tali da garantirsi l’autosufficienza, sul piano geopolitico sarà costretta a cedere spazi d’influenza ai Paesi fornitori. Tra questi, la Federazione Russa.

Secondo dossier. La crisi tra Ucraina e Federazione Russa ha ripreso a infiammarsi. L’Occidente, guidato dal gigante statunitense, anziché provvedere a spegnere l’incendio prima che si propaghi, getta benzina sul fuoco. La questione è presto detta: ucraini e georgiani spingono per essere posti sotto l’ombrello protettivo della Nato. Per Mosca un tale cambio di equilibri geopolitici nell’area è giudicato irrispettoso del diritto alla sicurezza della Federazione Russa. Mosca considera inaccettabile ritrovarsi i missili degli occidentali puntati contro non da basi remote ma da installazioni piazzate fuori dell’uscio di casa. Presumibilmente al solo scopo di deterrenza il Cremlino ha predisposto un piano di rafforzamento della propria frontiera con l’Ucraina inviando un contingente militare. Per gli analisti dell’intelligence statunitense sarebbe il primo passo dell’invasione russa dell’Ucraina. Possibilità valutata anche dal primo ministro ucraino Denys Shmyhal che ha chiesto alla Nato di inviare navi da guerra nel Mar Nero e di intensificare i voli di ricognizione lungo il confine con la Russia. Lo scorso 3 dicembre, The Washington Post, in un articolo a firma di Shane Harris e Paul Sonne, ha riportato la confidenza di un funzionario dell’Amministrazione americana secondo cui: “I piani russi prevedono un’offensiva militare contro l’Ucraina all’inizio del 2022 con un numero di forze doppio rispetto a quello che abbiamo visto la scorsa primavera durante l’esercitazione rapida della Russia vicino ai confini dell’Ucraina... I piani prevedono un ampio movimento di 100 gruppi tattici di battaglione con un personale stimato di 175mila soldati, insieme a armamenti, artiglieria ed equipaggiamento. La rivelazione è suffragata da foto satellitari che mostrerebbero la concentrazione delle forze russe in quattro località a ridosso del confine con l’Ucraina. Mosca smentisce.

Ieri alle 16, ora italiana, Joe Biden e Vladimir Putin si sono collegati in videochiamata per un confronto sui temi caldi che mettono a rischio i rapporti bilaterali tra Russia e Usa, a cominciare da un focus sulla crisi ucraina. Sull’iniziativa, però, non ha soffiato il vento dell’ottimismo. Il confronto non è servito a scongiurare l’escalation militare nel quadrante orientale dell’Europa che resta una delle opzioni in campo. L’Occidente punta a strangolare l’economia russa mediante l’inasprimento delle sanzioni. Ma è la strada sbagliata. Il gigante eurasiatico ha forza sufficiente per far saltare il banco europeo prima di cadere in ginocchio. Ora, avete presente dove sia l’Ucraina? Andate su Google e visualizzate una carta geografica del Vecchio Continente. Scoprirete quanto quell’area sia a noi prossima.

L’Unione non può restare a guardare. Lasci perdere le idiozie sul lessico politicamente corretto e sul Natale che non deve più chiamarsi Natale e provi a inserirsi da interlocutore di spessore in un dialogo che al momento è il monologo di due sordi. Ma c’è un problema. L’Europa al momento non ha statisti in grado di recuperare il bandolo della matassa. Non c’è più Angela Merkel che ha avuto un fortissimo ascendente sul premier russo. Emmanuel Macron è troppo debole in casa sua, troppo ondivago nelle scelte di politica estera e troppo “francese” per portare allo stesso tavolo i capi delle due superpotenze e farli ragionare. Mario Draghi, stimatissimo in Europa e negli Stati Uniti, non gode del medesimo appeal a Mosca. Chi allora potrebbe prendere l’iniziativa? La coppia Ursula von der Leyen-Charles Michel, rispettivamente capo della Commissione europea e presidente del Consiglio europeo? Con tutto il rispetto, quando li abbiamo visti all’opera in Turchia, al cospetto di Recep Tayyip Erdoğan, sembravano “Totò e Peppino”. Ne resta uno solo che in passato sia riuscito a mettere insieme gli inquilini delle Casa Bianca e del Cremlino, per un’intesa che ha garantito al mondo un decennio di pace e di cooperazione. Quel qualcuno è stato Silvio Berlusconi.

La nutrita schiera d’imbecilli che affolla il carrozzone dei media nostrani ha vomitato montagne di nefandezze sui rapporti tra Berlusconi e Putin. E una parte di essa continua a farlo “quotidianamente” sulla persona e sulla storia di Silvio Berlusconi, a dimostrazione del fatto che la politica alta non è affare loro, la diffamazione per poco commendevoli finalità di lucro, sì. Ciò che serve oggi all’Europa e all’Occidente, dopo l’ingloriosa fuga dall’Afghanistan, è di evitare un’insensata e potenzialmente devastante guerra entro le mura domestiche. Serve di parlare con Vladimir Putin prima che la crisi di teatro giunga al punto di non-ritorno e convincerlo a negoziare un accordo di partenariato ad ampio spettro con l’Unione europea. Serve dargli garanzie certe su ciò che lui chiede da tempo: “Escludere qualsiasi ulteriore espansione verso est della Nato e il dispiegamento di sistemi d’arma che rappresentano una minaccia nelle immediate vicinanze del territorio russo”.

L’uomo del Cremlino si fida del vecchio leone di Arcore e questo è un vantaggio che americani ed europei sono pronti a sfruttare a proprio beneficio. Ecco perché occorre che Berlusconi venga spedito al più presto al Quirinale. Da capo dello Stato s’impegnerà in quel lavoro di tessitura delle relazioni internazionali, discreto e sottotraccia come richiede la politica estera svolta ai massimi livelli. Lo comprendono i leader occidentali, ma lo comprenderanno i disperati che stazionano in Parlamento con l’unica residua ambizione di portare a casa uno stipendio fintanto che potranno farlo?

Aggiornato il 09 dicembre 2021 alle ore 09:35