Fomento per il Colle

Nella corsa al Colle, a oggi, ci sono poche cose chiare. Una di queste è che la soluzione più comoda e meno traumatica sarebbe quella di un Mattarella bis con Mario Draghi a Palazzo Chigi. La seconda è che Silvio Berlusconi – bontà sua – sta accarezzando realmente la possibilità di una sua elezione al Colle (o più verosimilmente di Gianni Letta) e sta trattando con i Cinque Stelle (ma anche con i centristi). La qual cosa è urticante per l’altro Letta (Enrico) il quale non sta certo sereno in questo momento e minaccia di far cadere il Governo, portando il Paese alle elezioni nel caso il nuovo capo dello Stato non godesse di una larga condivisione. Espressione che nel gergo “Democratico” equivale a dire che il sostituto di Sergio Mattarella deve essere gradito al Nazareno.

Minaccia alla quale i più potrebbero non credere ma che la dice lunga su come si stia componendo lo scacchiere in questa elezione presidenziale: tranne che nelle alte sfere, tra i peones non c’è destra e sinistra ma una serie di assembramenti che si vanno coagulando con l’unico fine di evitare di dover mettere in discussione il seggio parlamentare. Quindi il prossimo inquilino del Colle potrebbe essere una personalità eletta nel nome della paura: paura della segreteria del partito che ti minaccia di mandarti a casa se non ti adegui, paura che il nome provochi l’implosione della legislatura, paura di un gioco correntizio che spacchi i partiti o gli schieramenti, mettendo in discussione quelle che fino al giorno prima erano certezze. In questo gioco, l’unico elemento che manca – come spesso accade negli ultimi tempi – è la politica, ossia un ragionamento di prospettiva fatto nell’interesse del Paese. A nessuno interessa una beata mazza dell’interesse del Paese, indizio che fa presagire che alla fine prevarrà lo strappo del più forte, il ricatto, il tradimento, l’interesse particolare, il gruppo di potere più influente. Ragionamento che porta dritto-dritto all’elezione di Mario Draghi al Colle con l’indicazione di un suo garante da impalcare a Palazzo Chigi.

Così l’attuale premier potrebbe coniare un presidenzialismo di fatto, manovrando Palazzo Chigi dal Quirinale e mandando a pallino tutti i ragionamenti fatti in questi anni dalle anime pure della “Costituzione più bella del mondo” che hanno sempre definito lo scenario presidenziale come un tentativo autoritario che mette in dubbio la sacralità della Carta fondamentale. Il che sarebbe un problema non solo dal punto di vista filosofico, politico e giuridico ma anche dal punto di vista sostanziale visto che l’attuale premier è l’espressione di un entourage finanziario internazionale che mal si concilia con l’indipendenza del nostro Stato Sovrano.

Ma, nel caso in cui una cosa del genere dovesse delinearsi, nessuno avrebbe alcunché da obiettare, tutti muti e festanti a celebrare il nuovo Papa (straniero?) nella speranza di lucrare qualche briciola. Una resa dei conti in perfetto stile banca d’affari newyorkese in cui, dopo essersi ammazzati, tutti gioiscono ipocritamente in ossequio al principio del “win-win”. John Nash sarebbe contento di questa situazione. I Padri costituenti forse un po’ meno.

Aggiornato il 08 dicembre 2021 alle ore 09:37