Noi credevamo

mercoledì 26 gennaio 2022


L’uscita di scena di Silvio Berlusconi dalla corsa per il Quirinale non è stata una buona notizia. Certamente sulla decisione del vecchio leone di Arcore di gettare la spugna hanno inciso considerazioni di carattere personale legate all’età e alla salute. Ma, giusto per non nascondersi dietro a un dito, diciamo pure che il comportamento poco collaborativo degli alleati all’ipotesi che fosse lui il front runner del centrodestra per il Colle non è stato d’aiuto. Berlusconi ha provato ad allargare il consenso ma quando ha percepito la freddezza dei partner ha ritenuto opportuno fare un passo indietro per risparmiarsi la medesima fine ingloriosa di Romano Prodi che, in un’analoga circostanza, fu silurato dal “fuoco amico” di 101 Grandi elettori del suo partito. Come biasimare il Cav per la rinuncia? È umano proteggersi. E chi ha creduto in lui deve accettarlo.

Tuttavia, la delusione non deve ottundere la ragione. Il fatto che il leader di Forza Italia non sia in campo è un vulnus per il nostro Paese e un errore grave per la coalizione di centrodestra che avrebbe dovuto spendere ogni energia disponibile per convincerlo a non demordere. Oggi sembra una beffa che tutti i commentatori a busta paga dell’establishment progressista guaiscano pensando alla crisi prossima a esplodere alla porta orientale d’Europa. Il potenziale conflitto russo-ucraino è entrato di prepotenza nel dibattito sulla scelta del prossimo inquilino del Quirinale. E adesso se ne accorgono questi geni? Più ne parlano, e ne scrivono, più si palesa la gigantesca insipienza della classe politica nostrana nel favorire scelte dettate dall’odio verso il nemico invece di affidarsi a un salutare pragmatismo. Chi più di Berlusconi avrebbe potuto svolgere un’azione di mediazione con la Russia di Vladimir Putin? Non c’è al momento leader europeo in grado di farlo. Neanche l’osannato Mario Draghi. Il vecchio leone sarebbe stato ascoltato dall’amico Vladimir. Tant’è: per il centrosinistra la rinuncia del Cav è stata festeggiata come una vittoria. Contenti loro.

Ora tocca a Matteo Salvini scongiurare la disfatta del centrodestra, convincendo la controparte a votare al Quirinale una personalità che non abbia i quarti di nobiltà iscritti nell’albero genealogico della sinistra. Tuttavia, sull’esito della missione del leader leghista restiamo scettici. Come si può ottenere un risultato che risponda al sentire della metà degli italiani se l’interlocutore considera gli avversari una razza inferiore indegna di governare il Paese e ancor meno di rappresentarlo, per il tramite del suo uomo di punta, dallo scranno più elevato delle istituzioni repubblicane? È un nostro pregiudizio ritenere che il mondo progressista giudichi la controparte del centrodestra un universo minore in senso antropologico ed etico? Niente affatto. Lo prova un articolo pubblicato su Formiche.net ieri l’altro a firma di Rocco D’Ambrosio. Lo scritto avrebbe meritato di essere etichettato come puteolente spazzatura, se non fosse per la caratura professionale del suo autore. Rocco D’Ambrosio è presbitero della diocesi di Bari nonché ordinario di Filosofia politica nella Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma: un intellettuale. E se non proprio un uomo di Chiesa, di certo un personaggio che è a suo agio negli ambienti ecclesiastici. Ebbene, l’“uomo di pace e di misericordia”, affrontando il tema del berlusconismo, si è prodotto in un’analisi pseudo-antropologica che avrebbe reso fiero Cesare Lombroso. A proposito di cosa sia il berlusconismo, D’Ambrosio scrive: “I suoi elementi più appariscenti sono: un marcato utilitarismo, la sete sfrenata di potere e denaro, il servirsi delle istituzioni più che il servirle, il piegare le leggi a proprio favore, il vantarsi di non pagare le tasse, il ritenere nemici tutti coloro che non condividono il proprio pensiero ed operato, l’utilizzo strumentale della religione, il mancato rispetto della laicità dello Stato, il non mantenere fede agli impegni presi, l’ottenere il consenso con ogni mezzo lecito e illecito, la forte tendenza all’autoreferenzialità e al ritenersi al di sopra di tutto e di tutti”.

Per il presbitero della diocesi di Bari, il tipo berlusconiano è sostanzialmente una canaglia, un mentitore, un evasore fiscale lieto di esserlo, un individuo senza onore, che seguirebbe il leader per una sorta di “passione idolatra”. In fin dei conti: un essere egoista, antropologicamente inferiore e moralmente spregevole. E questo sarebbe il pensiero di un “illuminato” intellettuale cattolico? Il berlusconismo è stato un fenomeno meta-politico che ha coinvolto, negli anni, milioni di italiani. Berlusconi ha incarnato un modello vincente che ha aiutato molti italiani, stimolati all’emulazione virtuosa, a credere maggiormente in se stessi, a mettersi in gioco e a rischiare nella consapevolezza di potercela fare a migliorare il proprio standing. È forse un crimine? Probabilmente, nella proiezione di un Cristianesimo straccione e autoflagellante che condanna l’ambizione dell’uomo a voler progredire anche nella sfera dei bisogni materiali, un leader che mette al primo posto il diritto alla proprietà privata, il diritto a godere liberamente dei frutti del proprio lavoro, il diritto a ricercare il benessere e la felicità rispettando le regole, a essere ottimista ed edonista invece di essere un lamentoso “Piagnone”, è un’espressione del demonio.

Per i “moralisti” alla D’Ambrosio chi risponde alla chiamata berlusconiana non può che essere un soggetto fragile, dalla scarsa volontà e incline al peccato e al crimine. Domanda: può essere ridotta a questa insulsa idiozia la storia di un popolo che ha creduto nell’uomo Berlusconi e nel suo progetto? Chi è stato berlusconiano ha creduto nella libertà; nella possibilità che un mondo non dominato dall’ideologia progressista, erede delle più sanguinarie culture dell’Ottocento e del Novecento, fosse possibile. Un popolo, quello berlusconiano, che ha patito l’egemonia culturale della sinistra, senza ricevere in cambio del suo sacrificio la chiamata al desco del ricco imprenditore Berlusconi. Lo stesso popolo che non si è vergognato né si è mai sentito antropologicamente inferiore ad altri, come invece vorrebbe D’Ambrosio, e che oggi avrebbe voluto vedere in campo il vecchio leone per combattere insieme un’ultima battaglia. Addolorato e deluso dal comportamento inadeguato dei leader del centrodestra rispetto al compito che la storia ha loro assegnato, questo popolo merita rispetto. Berlusconiani lo siamo stati anche noi che resistiamo con sforzo alla tentazione di sentirci incommensurabilmente migliori dei nostri nemici. E, sì: noi credevamo.


di Cristofaro Sola