Quirinale, nessuno controlla i gruppi: si gira a vuoto

C’è sempre una ragione a tutto. Anche in politica dove ci si trova di fronte a situazioni che si ripetono per mancanza di voto finale, pro o contro e con rispetto delle regole. È il caso di questi giorni in Parlamento. Ma, a ben vedere, è una situazione frequente, solo che ci rifiutiamo di ricordarne il passato, come se il farlo comportasse giudizi fra i più gravi quando, invece, sono una norma.

Si dirà da diverse parti, anche da noi, che il sistema di elezione del nuovo Presidente della Repubblica è di per sé complesso nella sua realizzazione nella somma di Camera e Senato ma, a rifletterci un po’, ci accorgiamo che ciò non è così vero e comunque non basta, non foss’altro che per la normale, normalissima norma elettorale che, tra l’altro, non si offre a pasticci, purtroppo sempre frequenti (si tratta di nomi, in fondo).

In realtà, al fondo della questione resta il punto anzi il punctum dolens (siamo abituati alla citazione latina da anni, ormai) che Rino Formica, un ex parlamentare che ne ha viste tante di simili votazioni, non le demonizza, facendo risalire gli attuali ritardi e rifacimenti all’assenza di qualsiasi controllo dei tanti gruppi che, con la fine dei partiti, non sono in grado di sostituirli, per di più in momenti decisivi. Sicché, ognuno va per la sua strada. Un altro pericolo, non è da escludere in simili contesti, è quello di probabilissimi franchi tiratori pronti a sparare e a bloccare eventuali accordi faticosamente raggiunti. Cosicché si gira a vuoto.

In realtà, questa votazione è fin dall’inizio frenata nella sua corsa proprio da chi ne conserva ed esplicita la regolarità, ovvero il presidente Sergio Mattarella. Il freno presidenziale risiede nel suo “no”, più volte ripetuto, alla riconferma e, qualche giorno fa, esemplificato da trasporti di mobili e suppellettili mattarelliani destinati, si presume, a una sorta di buen retiro, dopo sette anni di fatiche istituzionali e costituzionali. Era dunque inevitabile che ne derivassero proposte individuali (la più verosimile e spiegabile è quella di Pier Ferdinando Casini, “la politica è la mia vita”) e di partito, con l’offerta di Matteo Salvini di una mezza dozzina di personalità cosiddette al di sopra di ogni discussione, compreso Carlo Nordio, che nelle stesse ore se ne dichiarava non all’altezza.

La frenata di Mattarella, qualsiasi ne possano essere le ragioni, non poteva e non può apparire come un normale segnale di fine corsa, ma semmai una incomprensibile rinuncia a una scontata riconferma in uno dei momenti più delicati e complicati della nostra storia in piena pandemia. Non è molto comprensibile la fretta mattarelliana, tanto più che una sua riconferma non solo sarebbe una soluzione allo stallo romano ma, al contrario, come a molti appare in queste ore, come un lavoro lasciato a metà sia col virus sempre in azione sia, come s’è già detto, con un ottimo Mario Draghi voluto e imposto da lui lasciato a navigare in acque tempestose.

Aggiornato il 27 gennaio 2022 alle ore 09:35