Ma Draghi va avanti

Da sempre, cioè dalla Repubblica nata dopo la guerra (ma anche prima) a questa, il gioco del chi vince e chi perde è sempre stato il preferito. A cominciare dagli stessi giocatori.

Nella Seconda Repubblica, se vogliamo guardare più da vicino, fu la Lega di Umberto Bossi, sia pure temperata dal governativo Bobo Maroni, a valutare la posta in gioco come in una gara, più o meno sportiva.

E adesso? Adesso i problemi e le diatribe nel Governo vedono “giocatori” prevalentemente diversi, a meno che non siano della Lega nella quale Matteo Salvini ci ha quotidianamente abituati a rapidi slalom fra la sua Lega e il Governo (dentro il quale ci sono ministri leghisti) per non dire delle contestazioni, anche queste molto contenute e comunque placate, grazie all’intervento di Palazzo Chigi, in tempo utile.

L’ultimo esempio è l’accordo sul fisco e sul catasto, temi sui quali lo stesso Silvio Berlusconi aveva ripetutamente invitato l’intervento del premier. Qualcuno continua a pensare che fino a che c’è la Lega a contestare, il Governo Draghi non sbanderà più di tanto tenendo peraltro presente che le elezioni anticipate (e a maggior ragione se provocate) raramente riempiono di voti la bisaccia dei “provocatori”. È anche su un simile ragionamento che il viaggio del Governo può procedere nonostante questi scossoni. E Mario Draghi lo sa e va.

Più complesso si fa il discorso con l’intervento dell’altro alleato, di quel Movimento 5 Stelle che, con l’avvento alla sua guida di Giuseppe Conte, ha bisogno di quotidiane scosse da imprimere al procedere dell’Esecutivo allo scopo, leggendo le penne più cattive, di darsi quella visibilità smarrita da qualche anno, con relativo crollo elettorale. Ma intanto Draghi va avanti.

Conte è, per così dire, un uomo per tutte le stagioni poiché ha rivestito la carica di presidente del Consiglio con due maggioranze diverse, il che non depone certamente a favore di una linearità e di una coerenza che, semmai, è riferibile alla conservazione proprio di quella carica (non elettiva e promossa dai partiti) secondo la regola del “costi quel che costi”. Questo o quel (Governo) per me pari sono, sembra il leitmotiv preferito.

E ci sia consentito, a fronte di tale comportamento, una riflessione su una sostanziale scarsità di critiche che in altri tempi, più o meno lontani, si sarebbero accumulate su un simile doppiogiochismo (come recitava la definizione d’antan). Il che, molto probabilmente, è frutto della mancanza non solo o non soltanto di coerenza quanto (e soprattutto) della scomparsa dei partiti, naturalmente con l’eccezione di Lega e di Fratelli d’Italia. Non a caso quest’ultima, di cui Giorgia Meloni sta rivendicando e mostrando una coerenza di fondo con la scelta di una opposizione i cui frutti, secondo qualsiasi sondaggio, la stanno portando a superare il Partito Democratico e l’alleata Lega dalla quale, et pour cause, si avvertono i frequenti malumori di Salvini.

Tuttavia per il Governo la partita continua e, prendendo in prestito il film di Fellini: la nave va. Il fatto è che, sia nella questione del superbonus edilizio giocata da Conte con un cipiglio che gli era sconosciuto quando sedeva sui velluti di Palazzo Chigi, sia in quella salviniana su fisco e catasto, la stabilità dell’Esecutivo non sembra avere avuto scossoni degni di questo nome. Tant’è vero che Draghi è volato negli Usa, pur avendo nelle orecchie l’ultima minaccia di un Conte che non molla la presa alzando la posta, sebbene da non sottovalutare in questo caso, a proposito della richiesta di andare in Parlamento a spiegare la vicenda della armi vendute all’Ucraina. Già, le armi per difendersi. Leggere o pesanti?

In entrambi casi, non sono bruscolini.

Aggiornato il 09 maggio 2022 alle ore 09:27