Il totalitarismo della mascherina

Malgrado sia trascorsa oltre una settimana dalla fine dell’obbligo della mascherina al chiuso quasi ovunque, è ancora schiacciante la maggioranza dei cittadini che preferiscono continuare a indossarla, con effetti a dir poco sgradevoli per i pochissimi individui che intendono riprendersi il diritto costituzionale di poter circolare col viso scoperto. Ne ho avuto piena conferma in questi giorni nei quali, recandomi in vari centri commerciali di Perugia, mi sono sentito come il protagonista di “Fuga di mezzanotte”, magnifico film cult diretto da Alan Parker. Tratto da una storia realmente vissuta, il malcapitato Billy Hayes, condannato a scontare una lunga pena detentiva nelle infernali carceri turche nel 1970, mentre si trova in una sorta di girone dantesco insieme a una massa di detenuti con gravi problemi psichiatrici, a cui era stato ordinato di marciare compatti sempre nella stessa direzione durante l’ora d’aria, a un certo punto si ribella e decide di invertire il senso di marcia. Ciò, suscitando l’immediata reazione degli altri detenuti che cercavano in ogni modo di bloccarlo, rappresenta simbolicamente il punto di svolta del personaggio, che in quel momento prende definitivamente le distanze emotive da una realtà aberrante a cui si stava gradualmente adattando.

Una realtà che, nel nostro caso, è fatta di sguardi e gesti non proprio amichevoli da parte di molti cittadini che si sono asserviti volontariamente a questa pratica attualmente “raccomandata” dal Governo Draghi/Speranza, così come tante altre testimonianze raccolte nel Paese starebbero a dimostrare. In questo senso sbagliano quei sedicenti liberali che criticano chi, come il sottoscritto, si preoccupa di una simile adesione bulgara all’uso non più coercitivo del cosiddetto dispositivo di protezione individuale. Giacché la pressione sociale che la schiacciante maggioranza di mascherati esercita è tale che pure chi avrebbe intenzione di non indossare la mascherina finisce per farlo, in ossequio al dominante conformismo. D’altro canto, Primo Levi scrisse che quando in una collettività tutti pensano, parlano e agiscono allo stesso modo, allora è lecito parlare di totalitarismo. In questo caso, una sorta di strisciante totalitarismo sanitario che si è realizzato non con gli strumenti della forza bruta, come accaduto spesso nella storia dell’uomo, bensì attraverso l’utilizzo di una martellante propaganda che pare aver annichilito nei più ogni forma di pensiero critico.

Inoltre, ed è questo un aspetto che sin dall’inizio di questa vera e propria tragedia sociale mi sforzo di sottolineare, tale impressionante adesione dei cittadini alle misure restrittive decise dall’alto (abbastanza significativo in tal senso risulta il sondaggio divulgato nel corso dell’ultima punta di Quarta Repubblica, in cui l’altissima percentuale degli elettori che sostengono le misure del Governo è sostanzialmente uguale in tutti i partiti), anche quando ne è stato abolito l’obbligo, dimostra quanto si stia affermando nel Paese un malinteso senso della democrazia, il quale con il modello liberale che vige in Occidente ha ben poco a che vedere.

In estrema sintesi, sembra che con la pandemia si sia ulteriormente rafforzata l’idea secondo cui tutto ciò che proviene dalla maggioranza è per definizione democratico e, conseguentemente, sempre buono e giusto. Alexis de Tocqueville fu il primo pensatore che in epoca moderna definì “dittatura della maggioranza” questa pericolosa patologia democratica. Ed è proprio per questo che nello Stato di diritto liberale le Costituzioni e i relativi contrappesi istituzionali svolgono, o dovrebbero svolgere, un ruolo fondamentale nella tutela delle minoranze. Ruolo che, nel caso emblematico delle mascherine, il cui insensato obbligo è rimasto in piedi per una moltitudine di studenti e di lavoratori, pare che sia andato ancora una volta a farsi benedire.

Aggiornato il 11 maggio 2022 alle ore 09:09