Cortocircuito

lunedì 27 giugno 2022


Ci si chiede, dopo che nei comizi svoltisi per votare sui referendum abrogativi d’alcune norme inerenti la giurisdizione, se l’istituto stesso del referendum non sia morto. In nessun caso, però, ho sentito ricordare perché quell’istituto sia così fatto, cioè meramente abrogativo. I membri dell’Assemblea Costituente del 1946 furono divisi da molte cose, ma tutti concordarono nel volere una democrazia rappresentativa, cioè nella quale i cittadini eleggessero dei propri rappresentanti in Parlamento e, poi, questi ultimi pensassero a legiferare. Nessuno pensò a una democrazia diretta, in cui fossero convocati i comizi per votare per referendum una norma. Al più, un certo numero di cittadini può proporre, con un’iniziativa popolare, una norma al Parlamento e, poi, sarà l’organo rappresentativo a esprimersi, se e quando vorrà.

I cittadini possono, però, chiedere, raccolte un certo numero di firme, di convocare i comizi per votare l’abrogazione, in materie consentite, di certe norme, qualora vi si rechino per votare in un certo numero, il quorum, e a maggioranza accettino la proposta di toglierle di mezzo. Perché questo sistema? Perché qualora i cittadini abrogassero quelle norme sulle quali sono chiamati a esprimersi, implicitamente, confermerebbero il consenso a tutto il resto della legislazione, cioè all’operato complessivo dei rappresentanti.

Se, poi, manco quelle norme da qualcuno revocate in dubbio, non vengono abrogate, tutti i rappresentanti sono autorizzati a pensare che la stima nei loro confronti sia totale? Lo sarebbero, forse, se i cittadini fossero andati in massa a votare “No” all’abrogazione. Invece, non ci sono manco andati, se ne sono strafregati. Significa esprimere una convinzione d’inutilità dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, nella convinzione che sia meglio condurre la propria vita lontano da avvocati e giudici perché tanto, se anche si ha ragione, si va in contro solo a spese e rogne. Il “sistema” ormai ha fatto cortocircuito e s’è fuso.

Le imprese d’un certo peso operano fuori d’Italia perché, a fine anno, debbono mettere a bilancio certe partite o in attivo o in passivo e se su esse, sorgono controversie, un giudice deve decidere ora, non tra dieci, venti, trent’anni o più. C’è solo un modo per avere una decisione rapida: che essa possa (debba) essere presa contro Silvio Berlusconi. Però, a questo punto, gli italiani non sono più moralmente autorizzati a parlarne al banco o ai tavolini del caffè, o sui social, e anche chi scrive se ne tace, pur se il timbro sul certificato elettorale gli darebbe un qualche diritto.


di Riccardo Scarpa