Se la Francia frigna

Se non vi fossero di mezzo storie personali drammatiche, sarebbe da morire dal ridere. L’argomento è l’arrivo nel porto francese di Tolone della nave Ocean Viking della Ong Sos Méditerranée con 234 immigrati clandestini a bordo. I “cugini” d’Oltralpe piagnucolano perché si sono letteralmente incartati. Prima hanno dato una flebile solidarietà al Governo di Roma, accettando che almeno un’imbarcazione delle Ong tra le molte che affollano le acque territoriali italiane potesse approdare in un proprio porto, poi hanno sclerato. La reazione francese contro un’Italia definita “inumana” è stata isterica. Che delusione sentirli frignare a quel modo, abituati come eravamo alla ruvida virilità di Asterix e Obelix. Ma il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha dato di matto parlando di comportamento italiano inaccettabile per non aver accolto la nave dell’Ong. Ha ringhiato minacciando che la Francia avrebbe assunto provvedimenti durissimi contro il nostro Paese, a cominciare dall’immediata sospensione dell’accordo in base al quale Parigi si era impegnata ad accogliere 3500 clandestini sbarcati illegalmente sulle nostre coste. Peccato che finora di quello sbandierato accordo non si sia visto granché avendo Parigi preso al momento solo 38 migranti dei 3500 promessi. Ma a Darmanin non è bastato per lavare l’onta subita. Ha chiesto agli altri Paesi europei di non accogliere nessuno dei clandestini giunti sul suolo italiano. Darmanin ha anche annunciato l’invio di gendarmi alla frontiera di Ventimiglia per rafforzare i respingimenti. Che avesse in mente di chiedere a Bruxelles l’estensione all’Italia del pacchetto di sanzioni applicato alla Russia? Perché no, se in ballo c’è il reato di lesa maestà.

Ora, è pur vero che la Francia non accetti di perdere ma stavolta Emmanuel Macron e i suoi sodali hanno oltrepassato il limite della decenza. È comprensibile che i nostri “cugini” siano scioccati, non era mai accaduto prima d’ora che una nave con dei migranti a bordo attraccasse in un porto della Gallia cisalpina (tanto per ricordare chi gli ha portato la civiltà e insegnato la buona creanza). Come in tutte le cose, c’è sempre una prima volta e l’Ocean Viking è stata la loro prima volta. Fa male, lo sappiamo. Ma forse è la volta buona che ci si renda conto che non è una soluzione pretendere di trasformare l’Italia nell’hotspot d’Europa. Occorreva un Governo di centrodestra perché il bubbone venisse portato alla luce. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel discorso sullo stato dell’Unione del 2020, riguardo al fenomeno dell’immigrazione illegale disse: “Adotteremo un approccio umano e umanitario. Salvare vite in mare non è un’opzione. E quei Paesi che assolvono i loro doveri giuridici e morali o sono più esposti di altri devono poter contare sulla solidarietà di tutta l’Unione europea… Tutti devono farsi avanti e assumersi la propria responsabilità”.

Cosa è stato fatto di concreto? Nulla. Soltanto una montagna di buone intenzioni e di documenti che non hanno trovato alcuna applicazione concreta. Nell’introduzione della comunicazione della Commissione europea del 23 settembre 2020, a “Un nuovo patto sulla migrazione e sull’asilo” è scritto che “il nuovo patto riconosce che nessuno Stato membro dovrebbe accollarsi una responsabilità sproporzionata e che tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire alla solidarietà su base costante”. Bella la parola solidarietà se viene praticata, pessima se è soltanto predicata.

Le ultime negoziazioni non hanno superato lo scoglio della modifica del terzo criterio del Regolamento di Dublino III (Regolamento Ue numero 604/2013 del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide), anche noto come criterio del primo ingresso illegale. Quindi, resta in piedi l’articolo 13 del Regolamento di Dublino III che assegna la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale allo Stato membro la cui frontiera è stata varcata illegalmente dal richiedente. Tuttavia, insistere sulla revisione del Regolamento di Dublino non è in sé cosa sbagliata, ma al momento non è utile alla causa nazionale. Come non lo è l’idea d’insistere sull’interpretazione puntuale della norma di diritto internazionale che attribuisce la sovranità territoriale sulla nave allo Stato di cui batte bandiera. Su questo punto i partner europei ci rinfacciano di non tenere fede ai patti sottoscritti. E non hanno del tutto torto.

Se le navi Ong si sentono in diritto di sbarcare in Italia il loro carico umano senza creare alcun pregiudizio allo Stato di bandiera è perché la sinistra ci ha venduti. È stato l’allora premier Matteo Renzi nel 2014, nell’ambito dell’operazione Triton, ad acconsentire che si derogasse a un principio fondante del diritto internazionale marittimo e cioè che se un migrante sale su una nave battente bandiera di uno Stato straniero quello è lo Stato da considerarsi di primo approdo del migrante stesso. Dublino non c’entra nulla, è la sinistra che dobbiamo ringraziare se l’Italia è diventata il terminal della disperazione del mondo. L’ultima virata della Commissione ha riguardato un’idea di solidarietà più flessibile che andasse oltre la ricollocazione obbligatoria dei migranti illegali da un Paese di primo approdo agli altri Paesi dell’Ue. Si è pensato alla sponsorizzazione dei rimpatri. Tale strumento avrebbe dovuto permettere agli Stati, pressati dagli arrivi di clandestini, di rispedire indietro coloro che non hanno diritto alla protezione internazionale grazie al sostegno di tutti gli altri Paesi membri. Proposta interessante ma inapplicabile, tanto che di essa non si ha traccia nella realtà. La verità è che i partner europei, nessuno escluso, non accetteranno mai di accogliere gli irregolari, cioè i migranti economici.

Il Governo Meloni deve prenderne atto. Inutile sprecare tempo a battere una pista che non porterà da nessuna parte. La sola possibilità che l’Italia ha di riuscire a cavarsi fuori dal cul-de-sac, nel quale una sciagurata politica migratoria della sinistra ci ha infilato, è di rilanciare con estrema determinazione in sede europea la proposta di installare hotspot sulle coste nordafricane e di affidarne la gestione alle organizzazioni umanitarie. Si obietterà: libici e tunisini non accetteranno mai una simile perdita di sovranità nei loro territori. Non è così. Lasciate che annusino anche solo una parte della cospicua fortuna in denaro che l’Unione versa annualmente al tiranno turco Recep Tayyip Erdogan per tenere chiusa la rotta orientale ai flussi migratori verso l’Europa, che acconsentiranno a qualsiasi cosa. Riepilogando. L’Europa i migranti illegali non li vuole; non vuole che muoiano in mare; non vuole che restino in Libia a subire violenze e torture; non vuole farsi carico di rispedirli ai Paesi d’origine. Vuole prendere solo quelli lavorativamente formati, prontamente occupabili negli apparati produttivi delle economie nazionali. Mentre vuole che con gli illegali se la sbrighi l’Italia.

Che si fa? Continuiamo a scannarci o si trova una soluzione che vada bene a tutti? Quando ai francesi sarà passata la crisi isterica e la smetteranno di frignare, se ne potrà riparlare. Intanto, gradiremmo che la maggioranza di centrodestra riflettesse bene sulla ratifica del Trattato italo-francese per una cooperazione bilaterale rafforzata, meglio noto come Trattato del Quirinale, firmato a Roma il 26 novembre 2021 dal presidente francese Emmanuel Macron e dall’allora premier italiano, Mario Draghi, che per essere operativo attende il via libera del Parlamento. Alla luce del comportamento del Governo di Parigi, che vorrebbe tagliarci i viveri e isolarci dal resto del mondo, cominciamo col cestinare l’accordo. In calce al ragionamento, avvertiamo la sinistra che è presto per le processioni degli autoflagellanti del Venerdì santo. Ce l’abbiamo con quella stessa sinistra che, angosciata, si domanda come rimediare all’affronto fatto ai padroni francesi, alla stregua dell’agnello che si preoccupa di chiedere scusa al lupo per i fastidi arrecatigli. Tutto questo pietoso teatrino non ci sarebbe stato, se una vera Unione europea fosse esistita. Ma l’unità degli europei è niente di più di un’illusione ottica. Prima ce ne rendiamo conto, meglio sarà per tutti.

Aggiornato il 14 novembre 2022 alle ore 10:02