Ue: cronaca di una disfatta annunciata

Adesso è tutto chiaro. Comunque finirà il conflitto russo-ucraino, uno sconfitto c’è già e si chiama Unione europea. A nove mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo i Paesi dell’Unione europea non hanno trovato il modo di guidare un processo negoziale di pace che mettesse fine al pernicioso focolaio di guerra. I Governi degli Stati partner Ue, tranne qualche eccezione, hanno collettivamente perso la bussola lasciando che i popoli ne subissero le conseguenze. Tuttavia, l’inerzia in sé sarebbe rimediabile se non vi fosse tra i leader europei una sorprendente mancanza d’idee nel proporre ai contendenti soluzioni politiche praticabili. La saggezza antica ammoniva che “commettere errori è umano, ma perseverare (nell’errore) è diabolico”. Ma a Bruxelles si persevera nell’errore di sentirsi dalla parte giusta della Storia. La classe dirigente europea dimentica che l’autoreferenzialità nel sistema delle relazioni internazionali è merce senza valore. L’ultimo scivolone in ordine di tempo reca il sigillo del Parlamento europeo.

Nei giorni scorsi l’Assemblea di Strasburgo ha votato a larga maggioranza una risoluzione che riconosce la Russia come Stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino. Ora, approvare una cosa del genere equivale a gettare benzina sul fuoco della guerra, con il concreto rischio che l’incendio si propaghi fino a lambire lo scatenarsi della Terza guerra mondiale. Come si fa a non comprenderlo? Possibile che il ventottesimo membro aderente alla Ue sia il Regno sovrano della stupidità? Nessuno nega che Mosca, nel trattare il dossier l’Ucraina, stia usando la mano pesante. Tuttavia, nelle relazioni internazionali da secoli esiste una modalità d’interazione tra Stati che si chiama realpolitik. Gli occidentali la conoscono bene avendovi fatto ampio ricorso nel passato. E ancor più nel presente. In nome della realpolitik l’Occidente ha tollerato le peggiori nefandezze che gli esseri umani potessero concepire. Dalle satrapie africane e asiatiche ai regimi golpisti del Sudamerica, fino all’ultima sconcezza che sono i campionati mondiali di calcio disputati in un Paese, il Qatar, che dei diritti umani fa strame.

Grazie alla realpolitik, che alla fine degli Anni Quaranta del secolo scorso imponeva all’Occidente di fare muro contro la minaccia sovietica, gli americani sollevarono il popolo tedesco da ogni responsabilità riguardo all’Olocausto. Tutto fu scaricato in conto ai nazisti, come se Adolf Hitler e il suo apparato di violenza e di morte fossero venuti da un mondo alieno e non dalle profondità dell’essenza tedesca. Per difendere i pingui interessi nazionali i democraticissimi francesi hanno per decenni protetto e coccolato i più feroci dittatori che l’Africa abbia avuto. Ricordate l’incoronazione, avvenuta il 4 dicembre del 1977 del cannibale Jean-Bedel Bokassa, autoproclamatosi imperatore dell’Impero Centroafricano con la benedizione dell’allora Presidente della Repubblica francese, Valéry Giscard d'Estaing? E la mano tesa degli Stati Uniti al sanguinario dittatore cileno, Augusto Pinochet? Fummo noi italiani per primi a omaggiare la canaglia di Santiago del Cile permettendo che la nostra squadra nazionale di tennis vi disputasse dal 17 al 19 dicembre 1976 la finale della 65° edizione della Coppa Davis, peraltro vinta battendo la rappresentativa ospitante. Nell’occasione, l’unica concessione al politicamente corretto fu di permettere alla coppia del doppio, Adriano Panatta-Paolo Bertolucci, di gareggiare indossando una maglietta rossa al posto della tradizionale uniforme bianca, a simboleggiare la solidarietà con le vittime della repressione operata da Pinochet nel suo Paese.

Proprio in questi giorni l’Occidente assiste senza emettere un fiato ai bombardamenti turchi ai danni del popolo curdo stanziato nel nord della Siria e nel Kurdistan iracheno perché l’ambiguo e doppiogiochista autocrate di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, “ci è utile”. E cosa pensare dei leader occidentali che fanno a gara per contendersi le simpatie del presidente cinese Xi Jinping, pur nella piena consapevolezza che, sotto il suo comando, Pechino sta massacrando l’etnia degli Uiguri dello Xinjiang? Orribile a dirsi, ma si chiama realpolitik e, dai tempi di Ponzio Pilato in Giudea, ha sempre funzionato.

Insomma, abbiamo inghiottito le più indigeste schifezze che il genere umano potesse concepire e adesso, con la Russia, ci scopriamo tutti puritani? Sarà per questo che oggi sfidiamo la logica e la storia nel momento più delicato per le sorti dell’Ucraina, che rischia l’annientamento dopo che i capi militari russi hanno mutato strategia offensiva. A Strasburgo, per restare in tema di ironia surreale, l’Unione europea ha compiuto un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l’umanità dando alla luce un documento di rottura mentre da settimane a Washington si dialoga riservatamente con Mosca per imboccare una exit strategy alla crisi bellica. Ed è vieppiù bizzarro che nelle ore in cui si dava notizia della risoluzione del Parlamento europeo, il presidente francese Emmanuel Macron annunciasse la sua intenzione di stabilire “un contatto diretto” con il presidente russo Vladimir Putin, cioè con un terrorista. Meglio, con il capo dei terroristi. Siamo alle solite. Questa Unione europea non somiglia a una casa comune ma a un casinò affollato da tavoli da gioco. E poi, vi sembra sensato dichiarare sponsor del terrorismo e, quindi, terrorista anch’esso, uno Stato che è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?

Riguardo alla posizione delle delegazioni italiane al Parlamento europeo, abbiamo qualcosa da dire. La risoluzione non legislativa è stata adottata con 494 voti favorevoli, 58 contrari e 44 astensioni. I gruppi del centrodestra hanno votato compattamente la risoluzione. Dal fronte delle opposizioni, tre europarlamentari iscritti al Partito Democratico (Massimiliano Smeriglio, Andrea Cozzolino e Pietro Bartolo) hanno votato contro; la pattuglia dei Cinque Stelle si è astenuta. Per la cronaca, ha votato contro anche l’eurodeputata ex-leghista Francesca Donato. Sorge spontanea la domanda, rivolta in primis a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini: che senso ha consentire alla sinistra di appropriarsi della bandiera del buonsenso e del pragmatismo? S’intende forse dare l’impressione che la destra sia maggiormente preoccupata di apparire affidabile agli occhi dei partner europei? C’entra qualcosa il fatto che nei prossimi giorni la Commissione dovrà dare il via libera alla prima manovra di Bilancio targata Governo Meloni? Attenti, però, che appiattirsi non paga. Non sono in palio premi fedeltà per chi si mostra più ortodosso degli altri nel sostenere la causa ucraina.

Lo si è nuovamente riscontrato con la vicenda dell’ennesimo mancato accordo europeo sul tetto al prezzo del gas. Dopo mesi di vacue discussioni, anche il Consiglio dei ministri dell’energia dell’Ue di ieri l’altro si è concluso con un nulla di fatto. Quindici dei Paesi membri su ventisette hanno respinto la “proposta indecente” formulata dalla Commissione. Per Bruxelles, il massimo consentito sarebbe stato di fissare il tetto al prezzo del gas sui mercati europei a 275 euro a megawattora. Clausola di contenimento, però, applicabile solo al verificarsi di tre condizioni di ardua combinazione. Eloquente il commento della ministra spagnola per la Transizione ecologica, Teresa Ribera, che ha definito la proposta della Commissione “uno scherzo di cattivo gusto”. Un’Unione che è divisa su tutto e che non ha idee sul futuro assetto degli equilibri internazionali, potrà anche sopravvivere per qualche tempo ma non sarà mai la casa comune, patria di pace e fraternità, sognata dai suoi padri fondatori. Vogliamo ancora chiamarci europeisti per non turbare i sonni delle anime timorate del dio dell’unità degli europei? Facciamolo, nella consapevolezza che non serve a nulla rivendicare l’appartenenza a qualcosa che non esiste in natura ma è un prodotto di sintesi laboratoriale. Ma siamo pur sempre gente di cuore e come si sa, in Italia, il titolo di “europeista”, come quello di “dottore”, non si nega a nessuno. Peccato soltanto per l’essere partecipi, e in parte responsabili, di un’occasione sprecata. Perché l’unità reale degli europei resta pur sempre un gran bel sogno a occhi aperti.

Aggiornato il 26 novembre 2022 alle ore 11:41