Autonomia differenziata: non abbiate paura!

C’era bisogno di trovare parole forti per tirare su il morale a quei nostri concittadini meridionali presi dal panico dopo aver ascoltato l’annuncio dell’approvazione in Consiglio dei ministri del ddl sull’attuazione dell’autonomia differenziata. E quale migliore esortazione di quella appartenuta al magistero morale e spirituale di Giovanni Paolo II? Era il 1978 e il Papa appena innalzato al soglio pontificio esclamava: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Noi, più prosaicamente, facendo il verso a un santo, diciamo alla gente del Sud: non abbiate paura di aprire le porte alla modernità e all’efficienza. Già, perché la concessione dell’autonomia alle Regioni, che la richiederanno su tutte o solo su alcune delle materie di legislazione concorrente stabilite dall’articolo 117 della Costituzione, non sarà la tomba dell’unità d’Italia e neppure sarà la secessione delle aree ricche del Paese ottenuta a discapito di quelle povere. È vero l’esatto contrario. L’autonomia differenziata è l’opportunità offerta ai territori, storicamente ruote di scorta delle varie “locomotive” succedutesi nella dinamica economica nazionale, di poter finalmente stare sulle proprie gambe e dimostrare il proprio effettivo valore. Bisogna darci un taglio con la menzogna, propalata dai centri di potere che hanno concorso a tenere il Sud nelle condizioni nelle quali si trova oggi, secondo la quale vi sarà un Sud di serie B rispetto a un Nord di serie A, dove la differenza la faranno la ricchezza pro capite prodotta, il grado di benessere diffuso e la qualità dei servizi pubblici erogati.

Non è stata l’autonomia differenziata, che ancora non c’è, a disegnare una nazione a due velocità. Non a ieri e neppure all’altro ieri, ma bisogna tornare agli anni dell’immediato Dopoguerra per scovare tracce della totale sfiducia delle classi dirigenti nell’esistenza di uno spirito industriale costruttivo nel Mezzogiorno. Fu anche per tale sfiducia che tutte le risorse disponibili vennero concentrate a favore delle industrie del Nord danneggiate dalla guerra. La configurazione di un Paese a due velocità, mediante l’implementazione di politiche economiche differenziate tra Nord e Sud, fondava sul presupposto che lo sviluppo industriale di un’area geografica della nazione avrebbe trainato l’altra a patto che quella debole avesse fatto da serbatoio di manodopera a quella lanciata verso una rapida crescita economica. Per attenuare i contrasti sociali che ne sarebbero scaturiti, nella parte debole si sarebbe intrapresa la strada del sostegno ai redditi e all’occupazione mediante un programma vasto di opere pubbliche, non necessariamente collegate alle esigenze produttive. Oggi ci scandalizziamo per il portato diseducativo contenuto nell’istituto del Reddito di cittadinanza. Ma onestà intellettuale imporrebbe di riconoscere che i semi della malapianta che abbiamo visto crescere sotto i nostri occhi furono sparsi proprio nel momento in cui per l’Italia si parlava di miracolo economico.

All’assistenzialismo, componente fondamentale della filosofia dello sviluppo economico differenziato, si è unito il dato antropologico, presente nel Meridione già all’alba dell’Era moderna, connotato dalla pratica del clientelismo e della corruzione quali strumenti ordinari di gestione della cosa pubblica. Lo spopolamento delle campagne, per favorire i flussi migratori da Sud a Nord, fece il resto, determinando il crollo della ragione di scambio tra le produzioni agricole e quelle industriali. A parlare di dualismo della struttura industriale italiana fu l’economista inglese Vera Lutz, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. La Lutz ne denunciava la dannosità quando i leghisti di Umberto Bossi portavano ancora i calzoni corti. Ora, una classe politica meridionale, prevalentemente di sinistra, piagnucola perché teme di non farcela a governare, una volta razionalizzati i flussi delle risorse finanziarie pubbliche. In realtà, si preoccupa più di se stessa e della propria sopravvivenza al potere e meno della tenuta della coesione sociale al Sud. Ma con quale faccia quest’ultima leva di mezzecartucce, lieta di farsi rappresentare in forme caricaturali agli occhi dell’opinione pubblica nazionale, e anche di quella internazionale, osa protestare? Sono decenni che le regioni del Sud permangono nella fascia Obiettivo 1 nella regolazione dei Fondi strutturali dell’Unione europea e, in forza della condizione di aree arretrate, ricevono fiumi di risorse finanziarie comunitarie. E sono decenni che l’infrastrutturazione del Mezzogiorno, propedeutica all’attivazione del processo di ripresa economica, continua a mancare. Denari sprecati o non spesi per manifesta incapacità delle Amministrazioni pubbliche territoriali di fare fronte alla progettazione e alla realizzazione delle opere. Le decine di miliardi di euro affluite al Sud per finanziare gli interventi previsti dal Fondo sociale europeo sono finite ad alimentare il più miope degli assistenzialismi.

La formazione professionale, che avrebbe dovuto funzionare da volano per armonizzare la domanda di mercato all’offerta di lavoro, è stata convertita in una sorta di ammortizzatore sociale per il sostegno al reddito di una categoria di operatori altrimenti destinati a gonfiare le fila dei poveri assoluti. Gli ultimi, in ordine di tempo, di questa ingloriosa stirpe di poveri cristi muniti di pezzo di carta ma sprovvisti di futuro accettabile sono stati i “navigator” di grillina memoria. Tutti i treni che si potevano cogliere al volo sono stati persi e adesso ci preoccupiamo se, al Nord, i docenti che valgono potranno essere pagati meglio di quanto non lo siano gli attuali dipendenti del ministero della Pubblica istruzione? Se è questo ciò che ci spaventa, è segno che siamo davvero patetici. Il disegno di legge ha mosso il primo passo nella definizione delle meccaniche istituzionali che dovranno condurre al raggiungimento delle intese per la concessione dell’autonomia differenziata alle Regioni richiedenti. E già si odono i guaiti dei governatori meridionali – in verità, solo di quelli di centrosinistra – che prefigurano scenari apocalittici in ambito sanitario. Incredibile! Ma ci siete mai stati in un ospedale del Sud? Tranne alcune commendevoli eccezioni, sono in condizioni disastrose. Eppure, di denaro per rimettere a posto le cose e i conti in ordine, politici e burocrati locali ne hanno avuto tanto a disposizione. Perché non l’hanno fatto? E se domani, quando l’autonomia differenziata sarà realtà, continueranno a non farlo non avranno alcun diritto di accampare scuse. E anche gli elettori, invece di fregarsene non andando a votare quando devono, dovranno piantarla dal chiamarsi fuori dalle responsabilità. Se vorranno migliorare la condizione di vita nei propri territori, dovranno fare né più né meno ciò che essi stessi fanno quando scelgono un abito o un’automobile da acquistare: valutano fino allo sfinimento quale sia la migliore offerta, quella più conveniente ma che allo stesso tempo dia maggiori garanzie di riuscita. Con i politici da mandare nelle istituzioni regionali dovranno fare altrettanto.

Comunque, la legge che ha cominciato ieri l’altro il suo iter non è ispirata al darwinismo sociale. Non sarà la perfidia dei “cattivoni” del Nord a stabilire chi, essendo più forte, avrà il diritto di sopravvivere e chi, più debole, verrà sacrificato. L’Italia resta una e una sola. L’articolo 3 del ddl introduce i Lep, cioè “i Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e i relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, numero 197, nelle materie o ambiti di materie indicati con legge”. Giorgia Meloni e soci si sono affannati a spiegare che nessuno verrà lasciato indietro, che il Sud non sarà abbandonato a se stesso. Ciò conforta. Tuttavia, la domanda alla quale noi del Sud dovremmo trovare la forza di rispondere è: vogliamo rimboccarci le maniche e pensare di fare da soli o preferiamo restare a cuocere al sole del deserto, aspettando che la manna ci caschi in bocca? Ammesso che caschi.

Aggiornato il 04 febbraio 2023 alle ore 10:01