Attacco al made in Italy

Una grande nazione come l’Italia può accettare supinamente di subire attacchi sconsiderati, da parte della Unione europea, contro i suoi settori produttivi di eccellenza? Per la grande scrittrice Agatha Christie “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.

Il primo indizio riguarda il settore dell’industria turistico-balneare. Una direttiva, la famigerata Bolkestein, che riguardava la concorrenza nel settore dei servizi in Europa, ha coinvolto le concessioni balneari e oltre 30mila piccole imprese italiane che si sono letteralmente inventate un modello di business di grande successo, che è stato mutuato dagli spagnoli, dai portoghesi e dai francesi. Gli spagnoli e i portoghesi sono riusciti ad avere, in barba alla direttiva, concessioni che possono arrivare a 75 anni e che sono trasferibili agli eredi mortis causa. L’Italia, anche grazie a politici poco lungimiranti, è a rischio di una procedura d’infrazione dall’Europa per aver prorogato, al 2024, le attuali concessioni. L’equivoco che ha generato l’annoso contenzioso del Belpaese con la nomenklatura europea è stato causato dall’errata interpretazione tra la concorrenza nei servizi e le concessioni. Le concessioni sono un bene aziendale immateriale, devono essere iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale tra le “immobilizzazioni immateriali”. In economia aziendale, una immobilizzazione è un bene destinato a perdurare nel tempo e dà la sua utilità in più anni. Se l’obiettivo della norma europea era – ed è – una maggiore concorrenza nei servizi che offrono le imprese balneari, bastava ampliare le concessioni ad altri operatori. Non si fa concorrenza sostituendo gli stessi imprenditori con altri operatori, ma ampliando l’offerta con nuove concessioni. Le spiagge in Italia non sono certo un bene limitato (oltre 8mila chilometri di costa).

Il secondo indizio riguarda l’industria alimentare. Nel mondo, le nostre eccellenze di questo settore sono talmente apprezzate che gli altri cercano di taroccarle come i marchi della moda. Ciononostante, anno dopo anno cresce l’export dei nostri prodotti alimentari. L’attacco è partito dall’utilizzo del cosiddetto nutri-score adottato dai francesi e da altri Paesi europei: un’etichettatura che considera il nostro parmigiano come un prodotto che può compromettere la salute.

Il terzo indizio è l’eco-follia sulle case green che distruggerebbe un patrimonio di bellezza dei nostri borghi medievali, che si caratterizzano per le abitazioni in pietra che attraggono i turisti da tutto il mondo.

Il quarto indizio è il divieto di vendita di auto a combustione – alimentate dal diesel, dalla benzina e dal gas – a partire dal 2035. Ovviamente, le imprese italiane – a livello europeo – sono sul podio più alto relativamente alla produzione di componentistica d’alta qualità. Con la pseudo-transizione green si dovranno generare auto elettriche che necessitano di una minore esigenza di componenti rispetto ai veicoli a combustione. In sostanza, le imprese italiane dell’automotive saranno costrette a licenziare quasi centomila addetti altamente specializzati.

Per completare l’attacco concentrico – da parte di un’Europa matrigna e scollegata con la realtà del nostro Paese – ai settori di punta del made in Italy (le sei “A”), dopo alimentare, automazione e ambiente mancano all’appello arte, abbigliamento e arredo. Fermiamoli!

Aggiornato il 16 febbraio 2023 alle ore 10:14