Lo zelo e la politica estera

Volodymyr Zelensky, Lilli Gruber, il Festival di Sanremo e i funamboli del putinismo

Talleyrand, politico di prima grandezza, che seppe navigare nella Rivoluzione francese, nell’Età napoleonica, nella Restaurazione, diffidava delle iniziative personali degl’impiegati del ministero degli Esteri. Li ammonì con la famosa frase: “Surtout, pas de zèle”. Ma il “soprattutto, niente zelo” è stato in seguito addolcito in “surtout, pas trop de zèle” cioè “soprattutto, non troppo zelo”, generico ammonimento contro le esagerazioni. Non sono differenze da poco, in materia di politica estera.

Nella maggioranza di centrodestra, nelle opposizioni, nei mezzi di comunicazione esistono persone e forse gruppi che, pur favorevoli alla linea governativa della fermezza in favore dell’Ucraina, gigioneggiano per non apparire troppo zelanti. I distinguo sulla partecipazione di Volodymyr Zelensky a Sanremo sono apparsi, date le circostanze, un futile esercizio di sottigliezze sofistiche, le quali del resto costituiscono un tratto caratteristico del politico italiano, generalmente parlando. Alla fine del palleggio delle decisioni, il coraggioso capo della resistenza ucraina è stato relegato a notte fonda nello sgabuzzino del Festival, come il parente povero impresentabile alla festa. Questo è l’ennesimo episodio “storico” di quell’Italia proclive a spaccare il capello in quattro, insensibile al pudore politico, zelante nel mostrarsi come non dovrebbe e nel magnificare ciò che dovrebbe biasimare. Tutti i “sanremofili” hanno esaltato la libertà di pensiero e di azione dei cantanti e degli ospiti, il pluralismo culturale della manifestazione. Ma i “sanremofobi” fanno notare che la libertà dall’oppressione e dalla distruzione, cioè la libertà di sopravvivenza, è imparagonabile alla più bella delle canzoni o a certe esibizioni sguaiate che pretestano diritti civili. Volodymyr Zelensky doveva essere ospitato lì con tutti gli onori dovuti al capo di una nazione che invoca aiuto dovunque possano sentirlo. Volodymyr Zelensky doveva essere lì per rivolgersi di persona ai milioni di ascoltatori del Festival. Lo imponeva la ragion di Stato, obblighi morali a parte!

La presidente Giorgia Meloni, essendo gubernator, cioè capitano/timoniere della nave ministeriale, ha impostato la rotta del Governo con la sanzione della fiducia parlamentare. Poi ha dato seguito all’impegno solenne, così assunto al cospetto della nazione, inviando armi, equipaggiamenti, aiuti vari alla martoriata Ucraina. La rotta tracciata è sicura. Ma quelle persone e quei gruppi bisbigliano alle spalle della presidente del Consiglio, “troppo zelo, Giorgia, troppo zelo”, con intenzione e tono che lei possa sentire il brusio. La presidente del Consiglio ha sbagliato a lasciar fare alla Rai. Avrebbe dovuto imporsi ed accogliere lei stessa il presidente Zelensky sul palco di Sanremo, per elevare il tono politico del Festival e zittire il mormorio dei nostri putiniani.

Stiamo parlando di guerra guerreggiata, di un aggressore e di un aggredito, di crimini perpetrati dagl’invasori e delle loro vittime civili, di milioni di profughi spinti dalle armi straniere a lasciare la patria per sopravvivere. Ciò nonostante, Lilli Gruber, la sacerdotessa del pacifismo all’italiana che la sera in tv celebra messa, giunge ad affermare: “Siamo ormai tutti consapevoli, Zelensky per primo, che in ogni conflitto la prima guerra da vincere è quella della propaganda. L’aspetto militare segue” (Sette, Corriere della Sera, 10 febbraio 2023). E, con apparente autoironia, aggiunge: “Noi giornalisti dovremmo fuggire dalle schematizzazioni, appunto pro o contro Putin.”

L’aspetto militare segue? Prima la propaganda? Schematizzazioni? Sono sbalordito. E pure di più, leggendo quest’altra illogica affermazione: “La decisione occidentale di continuare a inviare moderni armamenti dimostra in modo chiaro che Usa e Russia vogliono proseguire in una escalation ‘controllata’, con il risultato di prolungare sine die un conflitto che fa più male all’Europa che all’America”. Dunque, il mondo libero armerebbe l’Ucraina perché vuole, al pari della Russia, un’escalation ‘controllata’. Signora Gruber, la Russia è in guerra, non il mondo libero! Il mondo libero fornisce all’aggredito le armi (nemmeno tutte) che chiede angosciato per difendersi. L’escalation non è ‘controllata’ mediante l’accordo implicito tra Usa e Russia, bensì determinata esclusivamente dalla Russia, che intensifica gli attacchi. “A parlare di ‘pace’ è rimasto solo Francesco” conclude per modestia la Gruber. Queste amene riflessioni sono raccolte sotto un titolo equivalente, che non imputo, in quanto titolo, alla giornalista: “Zelensky a Sanremo. La grande banalizzazione. (Anche del dibattito)”. Senza scomodare il Principe di Talleyrand, ad opinioni consimili opporrei un mio aforisma che non diverrà altrettanto celebre, ma ad “Otto e mezzo” servirebbe fin d’adesso come motto: “Ogni eccesso è di troppo”.

Invece non è mai troppo lo zelo personale della presidente del Consiglio verso le ragioni di Zelensky; non è mai troppo lo zelo del Governo della Repubblica nel sovvenire in ogni modo l’Ucraina martoriata da Putin; non è mai troppo lo zelo degl’Italiani verso le sofferenze degli Ucraini; non è mai troppo lo zelo del mondo libero verso una nazione che pretende di entravi a farne parte in ogni senso. Mentre è davvero troppo lo zelo di politici e intellettuali che pretendono di avanzare acrobaticamente sull’immaginario filo dell’equidistanza tra giusto e ingiusto alla stregua di funamboli della morale.

Aggiornato il 20 febbraio 2023 alle ore 10:47