Immigrazione clandestina: il giorno della marmotta

Per Giorgia Meloni quelle vissute di recente sono state giornate di successo e di preoccupazione. Con qualche imbarazzo di troppo. Sul tavolo, gli ottimi risultati riportati sul fronte della politica estera. Prima gli accordi economici e strategici siglati con l’India e la ricucitura dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, gravemente compromessi dalla sciagurata gestione delle relazioni internazionali ai tempi del Governo Conte bis. Poi, la sorprendente intesa trovata con il “falco” olandese, il premier Mark Rutte, sulla gestione in chiave europea del flusso dei migranti illegali pronti a sbarcare sulle nostre coste.

A fare da contraltare, la brutta vicenda del naufragio di Steccato di Cutro, con le opposizioni che non hanno perso l’occasione per strumentalizzare l’accaduto allo scopo di oscurare i buoni risultati prodotti finora dal Governo Meloni. Benché nessuno dei membri dell’Esecutivo abbia avuto una qualche responsabilità nella morte dei 72 profughi e migranti, annegati a pochi metri dalla costa calabrese la scorsa settimana, lede comunque l’immagine del premier l’accusa che le è stata rivolta dalla sinistra in Parlamento di essere la responsabile “politica” della strage. Anche il suo mancato precipitarsi a fare passerella sul luogo del naufragio è stato oggetto di una critica scomposta. Eppure, quand’anche la Meloni avesse avuto un comportamento opposto ugualmente sarebbe finita nel mirino degli oppositori. Una tecnica antica come il mondo: il lupo che cerca improbabili pretesti per saltare addosso all’agnello.

La verità è che, in Italia, un dibattito civile e costruttivo tra destra e sinistra non ci può essere. Per la sinistra, in particolare, dialogare con la controparte politica costituirebbe un’inaccettabile legittimazione del nemico ontologico. Perciò, è inutile perdere tempo a invocare un confronto sereno su questo argomento, come su tutti quelli che riguardano gli interessi del popolo italiano. D’altro canto, dove sta scritto che si debba piacere a tutti, a qualsiasi costo? Meloni potrà pure compiere mirabilia, ma per la sinistra sarà sempre la nemica da abbattere con qualsiasi mezzo lecito. E non solo. L’unico rimedio all’incomunicabilità, determinata dalla riaffermazione della diversità ontologica che la sinistra vive con senso di superiorità nei confronti della destra, sta nella volontà di andare avanti per la propria strada, confidando nel giudizio finale che spetta agli elettori – si chiama democrazia – e non alle conventicole che affollano il variegato universo progressista. Andare avanti, ma con una compattezza tra alleati che non può essere solo di facciata, facilmente smascherabile, ma deve essere radicata nel profondo delle coscienze di tutti i protagonisti della coalizione vincitrice alle ultime elezioni politiche. Per tale ragione, ci disturbano, e non poco, le frizioni che stanno emergendo tra Giorgia Meloni e la Lega in materia di gestione del problema immigrazione illegale.

Con il Consiglio dei ministri celebrato simbolicamente in quel di Cutro è stato predisposto un piano d’interventi normativi che mira, da un lato, a inasprire le pene a carico degli scafisti e dei trafficanti di esseri umani, dall’altro a facilitare la creazione di corridoi umanitari per agevolare la migrazione degli aventi diritto al regime speciale di protezione internazionale o, direttamente alla concessione dell’asilo politico. Il Decreto approvato nella tornata governativa svoltasi a Cutro prevede, anche, l’ampliamento delle quote di migrazione regolare che il nostro Paese è in grado di assorbire. Stabilisce, inoltre, premialità nell’aumento dei flussi da quei Paesi che “promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche aventi ad oggetto i rischi per l’incolumità personale derivanti dall'inserimento in traffici migratori irregolari”. La ratio di questa ultima misura è condivisibile: si vuole togliere acqua ai trafficanti di esseri umani rendendo più agevole l’accesso legale a chi è in grado d’integrarsi nel contesto socio-economico italiano. Il provvedimento non convince del tutto Matteo Salvini che sul punto delle azioni preventive di respingimento dei clandestini avrebbe gradito scelte più stringenti. Iniziative che Meloni non gli ha potuto concedere a causa del pressing esercitato dal Quirinale per l’emanazione di un decreto legge che tenesse conto delle ragioni dell’accoglienza di tutti i migranti illegali e non soltanto dei profughi ai quali è riconosciuto il diritto a ricevere dall’Italia protezione e ospitalità.

Salvini mastica amaro ma dovrebbe prendersela innanzitutto con sé stesso, se il Quirinale funge da linea di ultima difesa del potere progressista e multiculturalista. Chi ce l’ha voluto Sergio Mattarella per un bis al Quirinale? La pessima gestione dell’operazione per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che lo scorso anno Salvini s’intestò nella qualità di capo pro-tempore della coalizione di centrodestra, oggi presenta il conto. Se, in questa delicata materia, la destra non può fare la destra come vorrebbe ma deve accettare che i propri provvedimenti vengano annacquati perché il “Colle” dia il via libera, non è colpa di Giorgia Meloni. La gestione eccessivamente prudente del dossier immigrazione è la rappresentazione plastica dello scotto pagato per poter resistere al Governo di una nazione in cui il temuto “Deep State” è schierato tutto, o quasi, dalla parte degli avversari politici.

Per Giorgia Meloni e per Fratelli d’Italia non si tratta di cambiare pelle sposando le ragioni dei progressisti, com’è accaduto ai mutanti del Movimento grillino, e neppure di fare abiura delle proprie idee e dei propri valori. C’è da esercitare l’arte della pazienza nella consapevolezza che la società italiana, e con essa la struttura dello Stato, non possa essere riformata con un unico colpo di mano. Occorre tempo perché, come ha insegnato Antonio Gramsci ai suoi, la conquista dell’egemonia passa attraverso l’occupazione delle fortezze e delle casematte del potere. Il centrodestra ha vinto le elezioni, come già accaduto in passato con Silvio Berlusconi, ma non ha scalfito di un millimetro lo spazio d’occupazione delle centrali di formazione della coscienza collettiva della nazione. Scuole, università, luoghi della cultura, giornali e televisioni, continuano a essere occupati militarmente dalle forze organiche alla sinistra che alimentano l’ideologia progressista. Anche la gerarchia ecclesiastica non ne è immune. È questo il motivo per il quale misure draconiane contro l’immigrazione clandestina, ancorché sacrosante, potrebbero non essere capite da tutti gli italiani. Se servisse a conseguire l’obiettivo finale prenderla alla larga, magari ribaltando sull’Europa parte del problema come sta tentando di fare Giorgia Meloni, sarebbe una scelta tattica indigesta ma necessaria. E Matteo Salvini farebbe bene a darle corda evitando di mettersi di traverso.

Tuttavia, anche Giorgia deve stare attenta a non tenderla troppo, la corda con i partner. La sua non è stata una vittoria in solitaria ma il frutto di un gioco di squadra con gli alleati. Di questo il premier deve tenere conto. Ora, circolano voci, forse messe in giro ad arte per creare frizioni tra gli alleati, secondo cui il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il “tecnico” in odore di simpatie leghiste, sarebbe stato “commissariato” da Palazzo Chigi perché la sua linea oltranzista, mirata a chiudere totalmente le porte agli immigrati indipendentemente dal loro status di rifugiati politici o di migranti economici, non sarebbe gradita all’entourage del premier. Meloni si sbrighi a smentirle. Perché l’onda che inumidisce il bagnasciuga oggi, domani potrebbe diventare lo tsunami che travolge tutto e tutti. E il centrodestra è pur sempre una barca su cui ci si sta in tanti.

Aggiornato il 13 marzo 2023 alle ore 10:05