La rivoluzione democratica in Iran

Una rivoluzione è la risposta radicale a problemi radicali. Una rivoluzione non s’inventa (così come non si può impedirne l’arrivo) quantunque la si possa deviare o ritardare. La rivoluzione cambia l’ordine delle cose, toglie i privilegi delle élite, trova resistenza tra chi teme di perdere i suoi privilegi. Una rivoluzione è un oceano in tempesta che genera in superficie una schiuma, che distoglie in alcuni l’attenzione dalla profondità.

Sono passati sei mesi dalla rivolta esplosa in tutto l’Iran il 16 settembre 2022, dopo la tragica morte di Mahsa Amini. Il cammino non cessa, si organizza e si radicalizza in ogni angolo del Paese. La rivoluzione autentica non è una corsa dei 100 metri, ma una maratona. Anzi, è scalare la montagna. In questa rivoluzione dell’anno iranico 1401 i protagonisti sono giovani donne, che hanno accanto giovani uomini, ma nessun ceto sociale e nessuna generazione è estranea al movimento, che ha come obiettivo il rovesciamento del regime islamico e l’abbattimento dell’intero sistema di potere. La rivoluzione iraniana non si riduce al velo: è per il diritto alla vita, per l’uguaglianza di genere, per le libertà individuali e sociali. Il cammino non cessa, perché i bisogni urgenti dell’intera popolazione iraniana sono rimasti senza risposta; il cammino non cessa, perché il regime ha mostrato ancora una volta che oltre al complesso sistema di repressione non possiede altro. La rivolta, che è diventata una vera e propria rivoluzione di popolo, mette in discussione le basi e l’essenza stessa del regime teocratico. Il popolo iraniano ha oltrepassato definitivamente la Repubblica islamica. Rivendica lo Stato di diritto e la laicità dello Stato, la salvaguardia delle minoranze etniche e religiose, l’autodeterminazione. Il reazionario regime al potere in Iran, comunque vada, non potrà mai più tornare alla situazione precedente al 16 settembre. Tutto questo, però, non è un lampo a ciel sereno, è un processo maturo che viene da lontano. Il regime dei mullà sin dal suo insediamento non ha voluto, né potuto, dare risposta alle istanze democratiche della popolazione. In oltre quarant’anni di dittatura ha distrutto il Paese e l’ha messo sul lastrico in ogni settore. Con la repressione e la disumanità delle sue leggi ha sancito l’insanabile estraneità con le giovani generazioni e con tutta la società civile. In questi decenni le proteste ci sono state sempre e ogni volta sono state represse nel sangue. La protesta del 2009 del ceto medio alto di Teheran, in Occidente passata come “onda verde”, che portava in sé un prevedibile fallimento, dove i leader provenivano dal corpus del regime, è stata comunque sedata col sangue.

L’attuale e inarrestabile processo del rovesciamento del regime è partito dalle proteste scoppiate nel 2017 per il carovita del ceto meno abbiente. Sono seguite quelle del 2019, generate dai rincari triplicati del prezzo della benzina dalla sera al mattino. Il regime con i suoi pasdaran, massacrando i manifestanti, è riuscito a sopravvivere. La violentissima repressione sedava e congelava le proteste e l’arrivo della pandemia ha permesso al regime di tenere gli iraniani, provvisoriamente, a distanza dalle piazze. Ma la corruzione endemica e l’inadeguatezza storica, il sostegno al terrorismo internazionale, la folle prosecuzione sul nucleare e una continua guerra contro tutto il mondo hanno fatto sì che in Iran il ceto medio scomparisse del tutto. Oltre il 75 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In questo contesto, il barbaro assassinio di una ragazza curdo-iraniana è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ha reso non più tollerabile la sopportazione dei soprusi.

La volontà di voltare pagina è diventata di comune dominio nella società iraniana e il rovesciamento della Repubblica islamica è entrato nella sua fase terminale. I nati nel 2000 con coraggio sono scesi in piazza. Giorno dopo giorno, in sei mesi di rivolta estesa in circa 300 città del Paese, con oltre 750 martiri, la rivoluzione iraniana si radicalizza e gli obiettivi si evidenziano in slogan che non lasciano dubbi sulla volontà degli iraniani: “Morte al dittatore, sia re che mullà!”. Gli iraniani, memori di oltre cento anni di lotta per l’autodeterminazione e contro regimi dittatoriali, sanno che oggi l’obiettivo non è solo rovesciare la Repubblica islamica, ma costruire un futuro libero e democratico.

Una cosa è certa: il regime teocratico è arrivato al capolinea. A testimonianza di questo, nascono alternative e coalizioni, schiuma dell’oceano in tempesta, sostenute più o meno dalla stampa, che vivono pochi giorni o tutt’al più qualche settimana, giusto per sbiadire e insabbiare l’alternativa democratica del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri) e del suo gruppo principale i Mojahedin del popolo (Mek), che da oltre quarant’anni lotta contro la dittatura teocratica per consegnare il Paese al popolo sovrano che costruisca l’Iran democratico. I mass media in lingua farsi – al di fuori dell’Iran sostenuti dai governi stranieri – e di riflesso molta stampa occidentale danno con perseveranza adito a queste formazioni, che non si esprimono con chiarezza sul futuro democratico dell’Iran. Alternative costruite ad arte, con un piede nel regime e un occhio alle cancellerie occidentali, che cercano comunque soluzioni in continuità con il passato. Cambiare ancora tutto, perché rimanga tutto comunque uguale (*).

L’immane sofferenza del popolo iraniano e la sua eroica resistenza sono state sicuramente sacrificate sull’altare della politica di appeasement addotta dalle cancellerie occidentali e argomentata dai loro mass media, in attesa di addomesticare un regime totalitario al potere nella terra dell’Iran. Una drammatica scommessa sui riformisti, mai esistente in seno a un regime irriformabile, mette a nudo – se non la malafede – almeno la miopia dell’Occidente all’ennesima potenza. L’Iran, il Paese ufficialmente più antico del mondo, non è la provincia del film Amarcord di Federico Fellini, costretto a scegliere tra reazione del fascismo o della chiesa.

Un Iran libero e democratico è possibile? C’è un’affinità con la dittatura che affligge l’Iran; la dittatura reprime la sete di democrazia a sangue e l’Occidente democratico ignora. Finirà questa affinità?

(*) Il Novecento inizia con la rivoluzione costituzionale in Iran e la Persia, un Paese asiatico, nel 1906 ottiene un Parlamento ed una Costituzione. Una cosa insolita, eccezionale, quindi da contrastare. I russi bombardano il palazzo del Parlamento e gli inglesi, più sofisticati, lo riempiono di loro pedine. Dunque, la rivoluzione costituzionale in Iran fu sconfitta dalle ingerenze straniere e dalle pedine interne. Il processo di soffocamento del processo di democratizzazione fu complesso; bisognava cambiare tutto perché tutto rimanesse uguale. Il 22 febbraio 1921, mentre il Paese era immerso in un caos totale, una brigata di Cosacchi, capeggiato da Reza Khan, con il placet della Gran Bretagna e secondo i piani disegnati e sponsorizzati dai consiglieri britannici, in particolare dal generale William Edmund Ironside comandante di circa 6mila forze britanniche in Persia con quartier generale a Qazvin, marciava su Teheran. La marcia, combinata dalla Gran Bretagna, porta verso la conclusione e la caduta della logorata dinastia dei Cagiari e la nascita della dinastia dei Pahlavi, il 25 aprile 1926. Dopodiché Reza Shah, uomo zelante, sviluppa una simpatia troppo spinta per il personaggio più in auge all’epoca, Adolf Hitler. Per questo perde la corona e viene sostituito, nell’agosto 1941, dal figlio 22enne Mohammad Reza, megalomane e dal carattere debole. Con l’Unione Sovietica e la Gran Bretagna impegnate a respingere l’aggressione nazista, l’Iran vive di fatto una fase di relativa democraticità grazie anche al carattere incerto del nuovo monarca. Così Mohammad Mossadeg riesce nel marzo 1951 a nazionalizzare l’industria petrolifera, ch’era ad appannaggio dei britannici. Mossadeg, a capo di un governo amato dal popolo, viene abbattuto con un colpo di Stato anglo-americano, l’agosto del 1953. Mohammad Reza Shah una volta liberato dal “testardo” Mossadeg e dal periodo semi democratico dal 1941-53, fonda nel 1957 la terribile Organizzazione delle Informazioni e della Sicurezza Nazionale, la Savak (Sazeman-e Ettelaàt Va Amniayat-e Keshvar). Una oppressione politica asfissiante, che annientò tutti i dissidenti tranne i mullà, portò il Paese verso una rivoluzione. Quando a settembre 1978 la protesta popolare prese una direzione decisa, gli Stati Uniti d’America, alleato più solido dello sciah cominciano a guardarsi intorno. Bisognava cambiare tutto perché tutto rimanesse uguale. I contatti con i mullà cominciarono a Teheran e l’ambasciatore statunitense William Sullivan da Teheran suggeriva al suo governo di fare altrettanto fuori. Così il 6 ottobre 1978 Khomeini fa il suo ingresso a Parigi dalla città Najaf in Iraq e i contatti si intensificano. Tra il 5 e l’8 gennaio 1979 su proposta di Giscard d’Estaing, all’epoca presidente della Repubblica francese, si riunirono, nell’isola di Guadalupa in America centrale, il presidente americano Carter, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, il primo ministro inglese Callaghan e appunto Giscard d’Estaing. La conferenza durò tre giorni e fu fatale per Mohammad Reza Shah, che abbandona il Paese definitivamente il 13 gennaio 1979. In quell’occasione il presidente francese aveva intenzione di convincere i suoi amici della sorte del monarca iraniano. Ma racconterà in seguito che, con grande stupore, trovò gli inglesi e soprattutto gli americani più che convinti del tramonto definitivo dello sciah della Persia. Tant’è che il vicecomandante delle forze americane della Nato il generale Robert Huyser, era già in missione a Teheran, per rassicurare lo Stato maggiore dell’esercito iraniano del sostegno statunitense e invitare i militari a non abbandonare il paese. E così Khomeini, mise piede a Teheran la mattina del primo febbraio 1979, e il 3 febbraio 1979, verso sera, il generale della Nato Robert Huyser, dopo aver compiuto la sua missione, guidare l’uscita di Mohammad Reza Shah e l’entrata dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, lasciò l’Iran.

Aggiornato il 15 marzo 2023 alle ore 09:56