La scuola del demerito

È stato Karl Marx a dire che la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Ora, non è che vogliamo mandare di traverso il caffè mattutino al ministro della Pubblica istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, sventolandogli sotto il naso – a lui, uomo di destra – un aforisma del padre del comunismo, ma abbiamo la sensazione che il pur bravo ministro, in totale buonafede, stia per prendere una cantonata pazzesca. La questione riguarda l’introduzione, nelle ultime tre classi delle secondarie di secondo grado, delle figure del docente-tutor e del docente-orientatore. La dotazione finanziaria, prevista in legge di Bilancio, è di 150 milioni di euro da destinare, nel 2023, alla remunerazione di circa 40mila figure di docente-tutor a cui si aggiungono quelle di docente-orientatore, una per ogni istituto scolastico. L’iniziativa, detta così, appare encomiabile perché si chiede a questa nuova figura del mondo della scuola, che è il docente-tutor, di “coordinare e sviluppare le attività didattiche a favore di una personalizzazione dell’istruzione nelle classi terze, quarte e quinte delle secondarie di secondo grado, favorendo il recupero per i ragazzi che manifestano maggiori difficoltà e consentendo a quelli che hanno particolari talenti di potenziarli”.

Fin qui, nulla quaestio. Al docente orientatore, invece, si chiede di “favorire le attività di orientamento per consentire ai ragazzi di fare scelte in linea con le loro aspirazioni, potenzialità e progetti di vita, nella consapevolezza dei diversi percorsi di studi e/o di lavoro e della varietà di offerte dei territori, del mondo produttivo e universitario. Quindi, non più giovani confusi e incerti sui percorsi di vita, di studio e lavorativi da intraprendere, ma cittadini in grado, fin dai banchi di scuola, di approcciare il futuro dal verso giusto. Finalmente nella meccanica complessa del comparto Istruzione fa ingresso il principio, già consolidato in altre società avanzate dell’Occidente, dell’integrazione della dimensione orientativa in quella educativa. In concreto, lo studente non dovrà limitarsi all’apprendimento fine a se stesso ma dovrà acquisire la capacità di individuare cosa trattenere di ciò che impara in relazione alla sua futura collocazione nella realtà sociale e nel mondo del lavoro.

Il metodo per affrontare quella che non è riconducibile a una singola azione educativa ma è un processo articolato, che può prolungarsi lungo tutto l’arco della vita, è assicurato dalla didattica orientativa la quale diviene parte fondamentale del progetto formativo. Ma, “se l’orientamento è un processo, associato alla crescita e alla maturazione della persona nei vari contesti formativi, sociali e lavorativi, ne consegue che il docente/formatore deve saper utilizzare la disciplina in termini orientanti. Per essere certi di utilizzare la disciplina in un’ottica orientante, occorre che il docente possegga specifiche competenze orientative, cioè un “insieme di caratteristiche, abilità, atteggiamenti e motivazioni personali che sono necessari al soggetto per gestire con consapevolezza ed efficacia la propria esperienza formativa e lavorativa, superando positivamente i momenti di snodo (Maria Luisa Pombeni)”, qui casca l’asino. Anzi, casca il ministro.

Valditara chiama a raccolta i sindacati della scuola per discutere di come implementare la rivoluzione del modello organizzativo scolastico delle ultime classi delle superiori e cosa fa? Si fa convincere che la delicatissima funzione di docente-orientatore non vada ricercata all’esterno del mondo della scuola, in outsourcing, tra coloro che per mestiere si occupano di orientamento al mercato del lavoro, ma vada tenuta all’interno dell’organico dei docenti in servizio. Come? Semplicemente abilitando, previo corso rapido di formazione (20 ore?), i docenti che si rendessero disponibili a svolgere una seconda funzione, oltre a quella per la quale sono stati arruolati. Perché? Per vil danaro, si sarebbe detto un tempo.

Ma noi qui domandiamo al signor ministro se davvero ritenga i docenti italiani in grado di reinventarsi orientatori per il solo fatto di aver partecipato a un corso breve – praticamente un intramuscolo – dell’Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa). Da quel che è dato sapere, per essere qualificati orientatori bisognerebbe possedere un vasto bagaglio di conoscenze e di competenze in tecniche della comunicazione, in psicologia, in normative in materia di lavoro (sia dipendente che autonomo e imprenditoriale), in economia, organizzazione aziendale e sociologia. In coscienza, quanti tra i docenti in Italia possono dire di possedere un tale livello di professionalità? Quand’è che un docente abilitato all’insegnamento del greco e del latino ha conosciuto da dentro la vita di una fabbrica? Quando ne ha studiato i processi produttivi? Quando ha sviluppato un business plan? L’ha mai vista in funzione una catena di montaggio? E il funzionamento dei mercati? Dove per mercati non intendiamo quelli rionali, dove il docente si reca a fare compere con la famiglia. E cosa ne sa di skill, di reskilling, di portfolio e di piani d’azione? E lo sa che “Excelsior” non è soltanto un gran ballo mimico della fine dell’Ottocento?

La domanda delle cento pistole è: come può un educatore orientare qualcuno verso qualcosa che lui per primo non conosce? Perché, una buona volta, non decidiamo che ognuno faccia il suo mestiere? Quelle di docenti e orientatori sono professionalità distinte. Un docente ha dei libri di testo codificati e sperimentati come strumento didattico, un orientatore si serve di strumenti ricavati dallo studio e – soprattutto – dall’esperienza maturata sul campo. Un orientatore insegna a proporsi in un mercato del lavoro che riconosce le differenze tra settori e comparti economici; sa di contratti collettivi di lavoro, di tipologie di inquadramento lavorativo e di permessi di soggiorno per motivi di lavoro nei Paesi esteri; sa come districarsi con il funzionamento delle agenzie interinali e dei portali web per il matching tra domanda e offerta; è pronto a combattere contro la farraginosità burocratica dei Centri per l’impiego. Come non si può chiedere a un odontoiatra di improvvisarsi vulcanologo, perché pretendere che un docente delle scuole superiori s’improvvisi orientatore? Eppure, ecco palesarsi all’orizzonte l’ennesima strada lastricata di buone intenzioni che porta dritti all’inferno.

Il timore è che anche questa lodevolissima iniziativa finirà per servire esclusivamente da sostegno al reddito dei docenti che vi si proporranno. Come se non bastasse, il ministro ha aperto la porta a ulteriori risorse finanziarie per rafforzare l’iniziativa. “Le istituzioni scolastiche inoltre potranno accedere ai finanziamenti derivanti dal Pnrr e dal Pon per remunerare attività didattiche di potenziamento sulle discipline e attività innovative per l’orientamento”, parola di Giuseppe Valditara. Siamo alle solite, non ci sono soldi per aumentare gli stipendi degli insegnanti adeguandoli agli standard salariali europei? Li si recupera dalla pesca miracolosa effettuata nei fondi pubblici statali ed europei. Basta soltanto appiccicare sui progetti formativi/educativi finanziati l’etichetta giusta e tutto si può fare. Che poi, se la finalità per cui i Piani operativi nazionali sono stati creati non viene raggiunta, non importa a nessuno. Non interessa ai sindacati e non interessa ai docenti, perché mai dovrebbe preoccupare l’opinione pubblica? Forse è per questo che non è stata mai svolta un’indagine seria, approfondita, sull’impatto che, a breve, medio e lungo termine, hanno avuto le migliaia di progetti finanziati dal Pon-Scuola negli ultimi venti anni e che hanno visto un fiume di miliardi di euro disperdersi in migliaia di rivoli. È la solita scuola, dei soliti sindacati, della solita burocrazia ministeriale autoreferenziale e dei soliti docenti “tuttologi” per ragioni di borsa, la propria. Va bene ugualmente, tanto al peggio siamo abituati. Ma almeno si abbia la decenza di non chiamarla scuola del merito.

Aggiornato il 29 marzo 2023 alle ore 10:14