Centrodestra europeo: il Cav ha detto sì

martedì 6 giugno 2023


Non ce ne vogliano i progressisti, ma il fatto più rilevante di politica interna dello scorso fine settimana non è stato l’ennesimo messaggio social della leader del Partito Democratico, Elly Schlein. E non lo è stata la mistura puteolente di stupidaggini sfornate dalla sedicente intellettuale ultra progressista Michela Murgia sulla presunta svolta “fascista” della parata del 2 giugno.

A far rumore è stata l’intervista rilasciata da Silvio Berlusconi a Il Giornale. Il vecchio leone di Arcore, creatore della formula politica del centrodestra, ha posto il suo imprimatur sull’idea meloniana di replicare in Europa l’esperienza della coalizione organica tra le forze liberali, conservatrici e sovraniste-identitarie che in Italia innervano i campi del centro e della destra. L’analisi di Berlusconi muove dalla presa d’atto della crisi della sinistra in tutto il Vecchio Continente, per approdare a una soluzione da tempo vagheggiata: tirare fuori il Partito Popolare Europeo dalle sabbie mobili di un’innaturale alleanza di potere con la sinistra del progressismo autoritario e dell’ambientalismo integralista, e restituirlo a una posizione politica e ideologica più coerente con la sua storia. Operazione non facile, ma possibile. Le forze conservatrici stanno avanzando in tutti i Paesi dell’Ue e ciò fan ben sperare per un sostanziale ribaltamento dei rapporti di forza alle prossime Europee. L’impossibilità di poter ricostruire un assetto di governo dell’Europa sul modello “Ursula”, quale quello che attualmente gode della maggioranza dei consensi all’Europarlamento, obbligherà il Ppe a guardare a destra. Per dirla meglio: fornirà alla componente di destra del popolarismo europeo più solidi argomenti per un riposizionamento strategico del partito.

Non si può non cogliere tutta la difficoltà insita in una fase di radicale trasformazione dei modelli politici ed economici che hanno sostenuto lo sviluppo delle democrazie occidentali negli ultimi decenni. Si deve, inoltre, mettere in conto la perdita di forza propulsiva della Germania nel contesto comunitario. Calo di trazione che ha annichilito la logica egemonica dell’asse carolingio e, per riflesso, l’ambizione francese di assumere in via permanente, in co-partecipazione con la leadership tedesca, il timone della politica europea.

Berlusconi ha offerto una risposta molto diplomatica per giustificare l’errore politico dei popolari europei nel legarsi alla sinistra: “La maggioranza fra popolari, liberali e socialisti, che ha retto le istituzioni europee per molti anni, ha fatto il suo tempo. Aveva un senso quando l’Europa era soprattutto un accordo fra gli Stati, e rappresentare nelle istituzioni europee tutte le grandi famiglie politiche dell’epoca ne garantiva una certa neutralità. Ma man mano che l’Europa ha acquisito una soggettività politica autonoma, processo che io considero necessario e fondamentale, è diventato sempre più importante che la sua guida assuma una connotazione politica chiara”.

Nessuna demonizzazione, quindi, delle scelte pregresse che hanno condotto a un’evidente regressione d’identità della famiglia dei popolari europei, ma la contestualizzazione di una scelta che ha avuto senso in un mondo e in uno scenario globale oggi superati. Per andare al concreto, il Ppe deve dare risposte chiare ai suoi elettori su molti argomenti. Cosa si pensa della legge contro l’utero in affitto, della destrutturazione dell’identità sessuale basata sulla differenza biologica dei sessi? E sull’accelerazione della svolta green? Si è disposti a mandare fuori mercato pezzi degli apparati produttivi dei Paesi Ue per favorire la concorrenza di potenze economiche globali come la Cina? È pronto il Ppe a seguire la sinistra sull’idea di imporre nuove tasse e maggiore pressione fiscale in nome della fedeltà a un ambientalismo ideologico, al limite del fanatismo?

Ha ragione Berlusconi, è giunto il tempo in cui nessuno potrà tenere il piede in due staffe, ma dovrà decidere da che parte stare. Musica per le orecchie del premier Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha atteso il placet del padre morale della formula del centrodestra per lanciarsi alla conquista, dopo Roma, di Bruxelles e Strasburgo. Tuttavia, la sfida europea non sarà un pranzo di gala. Sebbene lei affronti l’impresa da un punto di forza – la presidenza dei Conservatori europei – deve prendere atto del fatto che le divisioni in Europa siano “orizzontali”, perché generate dalla frammentazione delle posizioni assunte dai partiti nell’ambito degli specifici contesti nazionali, invece che “verticali”, perché scaturite dai vertici delle famiglie politiche continentali a cui i medesimi partiti appartengono. Per dirla in soldoni: il popolarismo della Cdu (Unione Cristiano-Democratica di Germania) è modellato sulla società tedesca, per come si è evoluta nel corso dei decenni. Altrettanto, il conservatorismo degli svedesi, dei polacchi o degli spagnoli di Vox non è propriamente il medesimo di FdI. Da qui l’interrogativo: come rendere sostanziale un’adesione a un progetto comune? È un problema di dinamica del dialogo tra affini europei alla quale la Meloni deve prestare attenzione se vuole costruire l’alleanza dei Conservatori con il Partito Popolare Europeo. Giorgia Meloni deve lavorare a convincere della bontà del progetto i suoi alleati polacchi, i quali hanno ben ragione di dolersi del comportamento ostile assunto dal Ppe nei loro riguardi. Diventa oggettivamente complicato immaginare una condivisione di governo nelle istituzioni comunitarie, quando non più tardi di qualche giorno fa a Varsavia l’ex premier di centrodestra Donald Tusk, già figura di vertice del Ppe, ha chiamato in piazza mezzo milione di persone per protestare contro il Governo della destra conservatrice di Diritto e Giustizia (Pis), partito che a Bruxelles è con Giorgia Meloni nei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr).

Una grossa mano alla leader di Fratelli d’Italia potrebbe venire dalle imminenti elezioni politiche in Spagna. Se nel Paese iberico la vittoria dei popolari e dei conservatori di Vox – molto devoti alla Meloni – dovesse favorire la nascita di un Governo di centrodestra, la strada per replicarne il modello in Europa sarebbe facilitata. Ma Berlusconi, nell’intervista, compie un passo avanti offrendo un contributo alla chiarezza del quadro politico. Nessuna intenzione di fare pressione sugli alleati – in particolare sulla Lega – perché confluiscano nel Ppe. Non serve che Giorgia Meloni e Matteo Salvini si aggreghino alla famiglia dei popolari europei. Non converrebbe a nessuno. Al contrario, è bene che restino dove attualmente sono. Solo muovendosi all’interno delle formazioni a cui appartengono in sede comunitaria si può sperare che non solo i conservatori ma anche i sovranisti di Identità e Democrazia (Id) virino in direzione di un accordo con i popolari in Europa. E non è solo la Meloni a dover essere lasciata tranquilla di costruirsi il suo percorso politico europeo all’interno dei conservatori. Vale anche per Salvini, che in troppi, fuori e dentro il suo partito, tirano per la giacchetta perché rompa con i sovranisti, a cominciare da Marine Le Pen, e bussi alla porta del Ppe. Sarebbe un errore strategico colossale. Il ruolo in partita del capo della Lega deve essere quello di riorientare la posizione del gruppo Identità e Democrazia su posizioni di apertura al dialogo con le espressioni della destra riformista e liberale. È questione di pragmatismo politico. Una volta chiuse le urne delle Europee potrebbe accadere che al costituendo centrodestra possano mancare pochi voti per la maggioranza assoluta nell’Europarlamento. Giorgia Meloni (Ecr) e Manfred Weber (Ppe) dove dovrebbero cercarli? Tra i “liberal” di Emmanuel Macron? Non sarebbe più coerente tentare un dialogo con la destra identitaria? Si obietterà: non ci possono essere accordi con gli estremisti. Giusto, ma a stare con i piedi per terra le uniche forze che realmente hanno peso nel gruppo di Identità e Democrazia sono la Lega e il Rassemblement National. Qualcuno pensa di tenere fuori dai giochi Salvini e Le Pen regalandogli lo spazio dell’opposizione da destra a una possibile coalizione liberal-conservatrice? È comprensibile che quando si manovra nei palazzi della politica ci si possa smarrire per i troppi tatticismi studiati e praticati. L’antidoto a un tale rischio sta nel non perdere di vista l’obiettivo irrinunciabile per il quale ogni strategia è pensata.

La destra, in tutte le sue declinazioni, deve rimanere concentrata sulla sconfitta della deriva progressista. Per questo scopo, ogni sacrificio è giustificato. Al riguardo, vi è il soccorso della storia. Quando bisognò sconfiggere il nazismo, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill non si fecero scrupolo di allearsi con il comunista Iosif Stalin. Se il patto col Diavolo l’hanno fatto loro che sono stati grandi, non potrebbero Weber e Meloni concedersi una liaison continentale in chiave anti-progressista con Salvini e la Le Pen? Magari turandosi il naso, come avrebbe consigliato loro di fare un navigato Indro Montanelli.


di Cristofaro Sola