Meloni: una, nessuno e centomila

giovedì 29 febbraio 2024


È certo che fra qualche giorno anche dello stop sardo meloniano si parlerà poco o niente e riprenderà il solito tran-tran politico, ma c’è un ma. Anzi, doppio ma, entrambi con un soggetto: la Premier. Ma andiamo con calma.

Intanto concordo con l’articolo di Cristofaro Sola uscito ieri sul nostro giornale, che ha scavato nel personaggio traendone limiti e pregi in un post-Sardegna che si rivelerà non breve in quanto a critiche e vendette. E a promesse per il futuro, molto prossimo in verità.

Nell’anno o poco più delle gestione di Palazzo Chigi, Giorgia ha sempre immesso in ogni cosa, grande e piccola, quella sorta di “a sólo” cantato come se, appunto, dichiarasse per ospiti e video che quell’“a sólo” toccava a lei e a lei soltanto. Un tenore, o meglio un soprano, come volesse richiamare per sé la platea e gli applausi quale unica protagonista della rappresentazione in corso. In moltissimi passaggi televisivi Giorgia Meloni ha fatto tutto da sé, a cominciare dalla sparizione sistematica di ministri e sottosegretari, dei quali si ignorano i nomi a parte il cognato-ministro Francesco Lollobrigida e (forse) Gennaro Sangiuliano per le sue ripicche con Vittorio Sgarbi. O Daniela Santanchè, che era famosa anche prima. Il ché pone inevitabilmente una domanda: c’è un ministro del Bilancio? E come si chiama? E delle Finanze, chi è? E del Mezzogiorno, c’è?

Questo ovviamente non avviene a caso anche perché, laddove esiste il problema della presenza per competenza del ministro, prendiamo della Cultura o d’altro, la Premier lo sostituisce con sé stessa sette volte su dieci e, quando arriva, si capisce, nonostante la giovinezza, che ha corso Giorgia. Una, nessuno e centomila. A parte il fatto che, appena può, lascia a casa il ministro degli Affari esteri e va da sola per conto proprio. E tuttavia è molto capace nello sfuggire ai momenti più drammatici, come nel caso delle manganellate per le quali il suo silenzio è stato, come dire, d’oro. Ha dovuto parlare Sergio Mattarella.

Questo gran daffare, parecchio brillante proprio perché la Meloni ci sa fare, ha costituito una gran corsa in giro per il mondo con effetti non molto riposanti che, semmai, ricordano l’antica definizione dei personaggi esattamente come lei, soprannomati dalla dolce lingua veneta come “i faso tuto mi”.

E arriviamo alla Sardegna di cui in queste ore si parla di quaresima. Un grande limite della vicenda elettorale di centrodestra, in primis della Meloni, è stata quella che non si può chiamare una grande presenza. Ci sbaglieremo, e ce lo auguriamo, ma in Sardegna la presidente del Consiglio s’è vista poco, come del resto molti altri. È sembrata una campagna elettorale lontana, poco interessante, spesso assente dai grandi talk-show, quasi sempre annunciata come una vicenda a sé stante, isolata appunto, lungi le mille miglia da Palazzo Chigi, fuori dal dibattito politico tradizionale (tipo il salotto televisivo di Bruno Vespa) talché di Todde o di Truzzu s’è sentito prima qualche cenno e poi di più in occasione della loro corsa a due, mentre gli scrutini procedevano a ritmo di lumache. O sono lenti, lentissimi anche i sardi? Perché?


di Paolo Pillitteri