II
POLITICA
II
Controprovince e regioni,un centralismo efficiente
di
GIUSEPPE BLASI
a questione dei nuovi assetti isti-
tuzionali non è nell’agenda di
questo governo, come non lo sarà,
a maggior ragione, dopo le prossime
elezioni nell’agenda del governo che
(
non) verrà. Gli italiani saranno
dunque sempre alla ricerca di ciò
che non potranno mai ottenere:
un’organizzazione dello Stato mo-
derna e funzionale ai tempi presenti,
enormemente cambiati rispetto a
quando gli assetti attuali furono di-
segnati.
Da quando la nostra Costituzio-
ne è entrata in vigore la popolazione
italiana è aumentata del 35%; im-
portanti distretti industriali sono
sorti in tutto il Paese; la conseguente
perdita di terreno agricolo ha di fat-
to avvicinato zone periferiche di sin-
goli comuni tanto da consigliare la
presa d’atto dell’esistenza di città
metropolitane. D’altro canto lo spo-
polamento di piccoli comuni, decen-
trati e in alta collina pone problemi
di controllo del territorio soprattutto
dal punto di vista ambientale.
In concomitanza a questi inter-
venuti cambiamenti, appena accen-
nati, gli italiani si trovano nel pre-
sente a fare i conti con vecchie e
inattuali istituzioni, province e re-
gioni, che nel tempo hanno eviden-
ziato un consuntivo fallimentare.
Ora, se un’intera nazione si trova
alla soglia del fallimento, dopo de-
cenni di crescita e benessere, quale
si era registrata negli anni Sessanta,
è anche perché è l’intero sistema sul
quale si regge l’assetto dello Stato a
essere non più adeguato alle neces-
sità dei tempi presenti che necessi-
tano di nuove strutture organizza-
tive oltre, beninteso, a maggiori e
più democratici controlli della po-
polazione sulle attività della politica
ai quali proprio le istituzioni regio-
nali e provinciali hanno abbondan-
temente disatteso.
Altri si cimenteranno sulla op-
portunità di modificare la nostra
carta costituzionale. Ora e in questa
L
sede, alla vigilia di importanti e
maggiormente dannose riforme che
questo governo si appresta a fare in
materia, con lo stravolgimento dei
confini provinciali, ciò che mi preme
è dimostrare come sia possibile, in-
vece, ottenere un buon governo del
territorio tramite l’abolizione sia del-
le province che delle regioni.
Molto si è parlato e scritto nei
mesi passati in merito all’abolizione
delle province, altre opinioni sono
poi recentemente emerse sull’oppor-
tunità di abolire le regioni a seguito
dei recenti scandali. Ora prima che,
come al solito, si formino fazioni
contrapposte, ciascuna adducente i
suoi buoni motivi a sostegno della
propria tesi; al fine anche di evitare
la inconcludenza per le necessarie
riforme, sarà bene sgomberare il
campo della discussione proprio
abolendo alla radice i mali che ci af-
fliggono. Senza cure palliative e sen-
za uso di alcun placebo (come cer-
tamente si avviano a essere i nuovi
accorpamenti provinciali) che, come
noto, viene somministrato al malato
in punto di morte quando le cure
sono ormai inefficaci. Uno dei gran-
di cambiamenti che dobbiamo avere
il coraggio di affrontare infatti, è
quello di eliminare gli strati di in-
terposizione politica e amministra-
tiva che separano i cittadini italiani
dalla progettazione di una iniziativa
alla sua realizzazione, dalla traspa-
renza degli atti, dalla celerità con cui
vengono esaudite le loro necessità,
dalla chiarificazione circa ciò che è
lecito da ciò che è vietato. Vale ri-
cordare che il nostro territorio pre-
senta una forte densità di ammini-
strazioni comunali che ebbero
origine nei primi due secoli del tra-
scorso millennio, al fine di abbattere
le schiavitù imposte dal feudalesimo.
Tale forma di autogestione, il comu-
ne, è ancora oggi alla base del no-
stro ordinamento amministrativo.
Precisata la valenza e l’importan-
za del comune quale istituzione pri-
maria del governo dei territori, che
dovrà essere dotata di ulteriore au-
tonomia, possiamo fare riferimento
a istituzioni esistenti per razionaliz-
zare un futuro amministrativo più
agile.
Conosciuta da tutti è la Banca
d’Italia. Questa si articola su una se-
de centrale ubicata nella capitale e
si avvale di filiali, una per ogni re-
gione, altre nei principali capoluoghi
di provincia. Così mentre il Gover-
natore e il Direttorio della Banca
dettano la politica della medesima,
i tecnici dirigenti e funzionari delle
filiali la applicano. Sembra con suc-
cesso, ormai da decenni.
Ed allora, come si vede, allo stes-
so modo auspicherei l’articolazione
del nostro futuro amministrativo.
Gli organi di governo centrale det-
tano le politiche, ad esempio am-
bientali o sanitarie o scolastiche, at-
tuate poi da sedi distaccate, pretta-
mente tecniche, dislocate sui terri-
tori. Del resto l’impalcatura generale
dello Stato non si avvale già dei pre-
fetti, suoi rappresentanti sul territo-
rio? Non si avvale delle sedi distac-
cate della protezione civile, sui
provveditorati allo studio e altro an-
cora? A cosa quindi mantenere in
vita organismi e strutture pletoriche
come province e regioni che hanno
dato fino a questo momento dimo-
strazione di inefficienza e sperperi
senza fine?
Vogliamo mantenere ancora un
improduttivo parassitismo politico
e clientelare? O non vogliamo piut-
tosto aumentare l’efficienza della
macchina amministrativa?
È intuitivo il beneficio che con-
seguirebbero cittadini e imprese nel-
lo svolgimento delle loro attività in
una ipotesi siffatta. L’interlocutore
principe nei loro riguardi sarebbe
nuovamente il comune, la velocità
della conclusione dei rapporti regi-
strerebbe una accelerazione fortis-
sima, le responsabilità sulla costru-
zione e manutenzione degli edifici
pubblici (scuole, strutture sanitarie
ecc...) e della rete stradale sarebbe
chiara e univoca. Allo stesso modo,
questi organismi tecnici territoriali,
articolati in dipartimenti specialistici,
dovranno attendere al buon funzio-
namento dei servizi. Il personale tec-
nico attualmente in attività all’in-
terno delle province e delle regioni
sarebbe utilizzato per i nuovi orga-
nismi con migliore profitto generale
e, nel contempo, nuove categorie
professionali, giovani e qualificate,
verrebbero innestate nelle nuove
strutture così da consolidare e ren-
dere efficiente rinnovamento.
A riforma avvenuta i cittadini e
le imprese parleranno con pochi e
ben identificati interlocutori e gli
stessi sindaci e amministratori co-
munali vedrebbero semplificata la
loro azione proprio in virtù dell’ab-
battimento di organismi a loro at-
tualmente sovrapposti.
È allo stesso modo intuitivo co-
me risulterebbe migliorato il conto
economico dell’apparato statale e
come sarebbe possibile ottenere ri-
sorse per una nuova epoca di svi-
luppo.
Terminerebbe l’epoca del regio-
nalismo, delle divisioni e degli statuti
speciali. L’equiparazione dei cittadini
italiani accompagnata da definite
assunzioni di responsabilità costi-
tuirebbe il lievito per una nuova sta-
gione di rinascita.
Un’Italia che voglia uscire dal
pantano in cui è stata trascinata de-
ve avere il coraggio di operare mu-
tamenti significativi. Estirpare due
tra le tante cause dei nostri mali ne
costituirebbe un primo ma signifi-
cativo passaggio.
L’Italia è cambiata, è
cambiata la nostra
società e la nostra
economia. Eppure
ci troviamo, nel presente,
a fare i conti con vecchie
e inefficaci istituzioni:
province e regioni
K
La Regione Lombardia
Gli organi del governo
centrale dettino
le politiche, attuate poi
da sedi distaccate,
prettamente tecniche,
sui territori. Si prenda
esempio dalla struttura
della Banca d’Italia
segue dalla prima
Tra il Colle
e i grillini
Sempre sul filo del paradosso, quindi, si de-
ve necessariamente rilevare che l’azione del
Capo dello stato (così come quella di con-
certo del Presidente del Consiglio) rinforza
le difese esterne del paese ma smantella pro-
gressivamente quelle interne. In questa luce
si deve obbligatoriamente concludere che
il vero leader dell’antipolitica non è Beppe
Grillo, che con la sua azione demagogica
di protesta esprime un sentimento reale di
disagio di una parte consistente e crescente
degli italiani, ma è proprio Giorgio Napo-
litano, cioè l’uomo che nella preoccupazio-
ne legittima di difendere il paese da possibili
ritorsioni esterne sta dimostrando agli ita-
liani che la politica dei partiti tradizionali
non serve a nulla (tranne che ad arricchire
chi la continua a realizzare). Da questo pa-
radosso è quasi impossibile uscire. Perché
se si vuole superare la crisi sulla strada in-
dicata dall’attuale Europa si deve seguire
Napolitano. Ma se segue Napolitano non
si può fare a mano di delegittimare e sman-
tellare l’attuale sistema dei partiti. L’unica
soluzione è quella di una riforma istituzio-
nale in senso presidenzialista.
Ma come potrebbero mai partiti delegitti-
mati dall’antipolitica compiere una riforma
così profondamente politica?
ARTURO DIACONALE
Alfano deve
tifare Tremonti
Gli altri candidati, e Alfano in primis, non
potrebbero sottrarsi al dibattito con Tre-
monti sui temi economici e avrebbero quin-
di modo di caratterizzarsi, per analogia o
contrasto rispetto all’operato e alle propo-
ste dell’ex ministro, per la loro visione di
politica economica. Il che, altrimenti, ri-
schierebbe di non avvenire nei termini pun-
tuali e concreti indispensabili se si vuole
avere qualche chance di riavvicinare gli elet-
tori delusi del centrodestra.
FEDERICO PUNZI
Il M5S?
Irresponsabili
(...)
la spunta e si trova, nell’ultima scena,
frastornato dai festeggiamenti del suo clan.
Chiama il suo braccio destro, al chiuso di
una stanza, e gli domanda con uno sguardo
quasi disperato: «...ed ora cosa facciamo?»
Ecco, non vorrei che anche il film che stia-
mo vivendo in italia si debba chiudere allo
stesso modo.
CLAUDIO ROMITI
K
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GIOVEDÌ 1 NOVEMBRE 2012
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