II
ATTUALITÀ
II
Radicali,unicopartitoanonaverenessun indagato
di
VALTER VECELLIO
uestione di ore, e si apre l’XI
congresso di Radicali italiani.
Se sarà un momento importante di
riflessione, confronto, dibattito tra
noi e per noi, dipenderà in fin dei
conti solo dalla consapevolezza di
ogni singolo iscritto e militante. Il
congresso, com’è tradizione radi-
cale, è aperto al contributo di tutti.
Tutti possono assistere e intervenire;
tutti gli iscritti possono proporre
documenti e naturalmente votarli,
e concorrere alle cariche. Il militan-
te iscritto con più “bollini” di iscri-
zione vota al pari di chi si è iscritto
qualche ora prima, lo Statuto al ri-
guardo è di una chiarezza cristalli-
na, e non ha necessità di alcuna in-
terpretazione o “preambolo”:
chiunque” significa appunto
chiunque.
Stiamo vivendo un momento
politico particolarmente confuso,
che legittima sfiducia, delusione,
scoramento. Una situazione che
non certo disinteressatamente si
vorrebbe descrivere con l’espressio-
ne “sono tutti uguali”, il classico
modo con cui il peggiore cerca di
occultarsi e confondere. Non è af-
fatto vero che siamo tutti uguali. I
Radicali hanno l’ambizione di non
avere, noi partito più antico della
repubblica, un solo dirigente, mili-
tante, iscritto che sia stato condan-
nato, processato, anche solo inda-
gato per reati contro la pubblica
amministrazione. Altri possono dire
altrettanto?
I Radicali hanno posto al centro
Q
della loro iniziativa, nelle aule par-
lamentari e fuori, la questione della
legalità, del rispetto della legge, in
tutte le sue declinazioni. Non solo
il carcere, ma la più generale situa-
zione disastrosa della giustizia ita-
liana; e il diritto, da declinare non
solo per l’Italia e gli italiani, alla ve-
rità, alla conoscenza.
È una sfida (anche a noi stessi)
esaltante e ambiziosa, che richiede-
rà, assai più che in passato, pazien-
za e fantasia, astuzia e intelligenza,
candore e capacità di individuare i
punti deboli del regime su cui far
leva. Ci siamo appena lasciati alle
spalle le elezioni siciliane che hanno
confermato quanto già si poteva
cogliere – solo a volerlo! – quando
mesi fa si è votato prima per i sin-
daci di importanti capoluoghi e i
referendum; quel voto a Rosario
Crocetta da una parte, al Movi-
mento 5stelle dall’altra, e la stra-
grande maggioranza di astenuti, so-
no un messaggio che va colto,
capito, che non va ignorato. Oggi
in Sicilia, domani è facile che si ri-
peta in Lazio, in Lombardia e
ovunque nel resto d’Italia.
Non è vero che ”tanto non
cambia nulla”. Fatela, una ricerca;
e vedrete che ogni volta, qualcosa
soddisfacente o no che si sia rive-
lato – c’è stato un cambiamento;
questa volta il mutamento si an-
nuncia addirittura prima, già si con-
tano morti e feriti. E tuttavia sarà
un durissimo, faticoso percorso mi-
nato, quello che dovremo attraver-
sare, e con nessuna certezza di suc-
cesso. Non isolati, ma certamente
silenziati, si dovrà anche mettere in
conto l’impossibilità di allacciare
interlocuzioni, e di dover operare,
dopo anni, solo fuori dalle aule par-
lamentari senza punti di appoggio
e sostegno alla Camera dei deputati
e al Senato. Non è certo, ma è pro-
babile.
In questi giorni è un fiorire di
iniziative radicali e nonviolente: sul
fronte più squisitamente legato alla
giustizia e alle carceri; sul fronte del
rispetto delle prerogative parlamen-
tari; sul fronte del diritto dei malati
di avere quell’assistenza che viene
loro negata: Rita Bernardini, Mau-
rizio Bolognetti, Maria Antonietta
Farina Coscioni, Carlo Loi, Diego
Sabatinelli, Irene Testa, Maurizio
Turco, chi vi scrive, e tantissime al-
tre compagne e compagni, con le
loro diversità e le loro debolezze,
le loro lacune e ingenuità, le loro
furbizie e i loro candori. Il 22 otto-
bre scorso su
Notizie Radicali
ab-
biamo pubblicato un breve inter-
vento di Rita Bernardini, più che
altro una batteria di domande; so-
no questioni che faremmo bene a
porci, e che ci si augura siano ma-
teria di dibattito al congresso (e non
solo al congresso, evidentemente).
Shomèr ma mi-liailah?”, chiede
il viandante. Anche noi potremo ri-
spondere, come la sentinella di Isa-
ia, che la notte sta per finire, anche
se l’alba non è ancora arrivata; e
che ci dobbiamo stancare di tor-
nare, di chiedere, di insistere.
L’Ue non ha vuole garantire la sicurezza di Israele
er molti anni, l’Ue ha fatto
pressione per una soluzione a
due Stati del conflitto israelo-pa-
lestinese. In effetti, i funzionari eu-
ropei hanno affermato che un tale
accordo è un obiettivo strategico
fondamentale. Il mio è il pensiero
di una persona che frequenta le ca-
pitali europee, condivide l’obiettivo
di un duraturo accordo a due Stati
e il valore del ruolo potenziale
dell’Europa. Non è sufficiente pen-
sare a come arrivare da qui al gior-
no dell’accordo. Maggiore atten-
zione deve essere data in Europa
agli scenari del “giorno dopo”, so-
prattutto per quanto riguarda la
sicurezza di Israele. In caso con-
trario, il potenziale miglioramento
diventa solo più difficile.
In ogni possibile accordo ipo-
tizzato, allo Stato di Israele verreb-
be chiesto di cedere territorio, ren-
dendo la piccola nazione ancora
più difficile da trovare su una map-
pa del mondo. Questo crea ulte-
riori rischi. Non c’è un altro pos-
sibile modo di vedere le cose.
Israele si trova in una regione
del mondo in cui la violenza rima-
ne endemica, i regimi sono fragili
e l’Islam politico è in crescita.
Ma qualche volta ho l’impres-
sione che in Europa gli interventi
in merito alla sicurezza di Israele
sono poco più che retorica - una
parte del copione previsto quando
si parla della regione - ma non
sempre sono sufficientemente pon-
derati.
Riassumendo in maniera visiva
tale dissonanza cognitiva, in Euro-
P
pa vi sono angosciate manifesta-
zioni di orrore per quello che sta
avvenendo in Siria, mentre ben po-
ca importanza viene data al fatto
che la Siria, di fatto, condivide un
confine con Israele. Ora immagi-
nate per un momento come stareb-
bero le cose se gli obiettivi di Assad
fossero stati gli ebrei e non gli ara-
bi! Nel frattempo, Hezbollah con-
trolla il Libano, un altro Stato con-
finante con Israele, anche se con
un esercito e un arsenale diversi. È
attivo in Siria e rimane un cliente
dell’Iran. Eppure, l’Europa, minan-
do la credibilità della sua voce, non
è ancora in grado di dichiarare che
Hezbollah è stato, fin dall’inizio,
un gruppo terroristico. Che sia an-
che un partito politico “legittimo”
o che possa (o meno) aiutare “le
vedove e gli orfani” è del tutto ir-
rilevante, data la sua visione del
mondo genocida e le documentate
attività terroristiche. Hamas è ra-
dicata a Gaza, un terzo vicino di
Israele e, come Hezbollah, aspira
ad un mondo senza Israele. Il qua-
dro è abbastanza desolante ovun-
que si guardi, tanto più con la mi-
naccia incombente di un Iran
nucleare.
Eppure è proprio in questo vor-
tice che l’Ue vorrebbe esercitare
pressioni su Israele, in qualità di
parte “più forte”, affinché faccia
un altro “gesto”, e poi un altro an-
cora, per un accordo di pace a due
Stati con i palestinesi.
L’Ue dovrebbe essere meno os-
sessionata dalle concessioni ai con-
finanti dello Stato di Israele e de-
dicare maggiore attenzione a ciò
che verrà a significare la sicurezza
per Israele in un contesto post-ac-
cordo. Mai,
qualsiasi sia il governo israelia-
no in carica, in nessun caso potrà
subappaltare la propria sicurezza
nazionale all’Ue, ma questo non
significa che non vi sia alcun ruolo
per l’Europa. Implicherebbe però
fare meno chiacchiere o promesse
solenne in riguardo alla sicurezza
di Israele perché potrebbero suo-
nare come vuote alle orecchie
israeliane.
Dopo tutto, i risultati ottenuti
dall’Europa in questo campo sono
discutibili.
A dire il vero, alcuni Paesi sono
stati di grande aiuto nei momenti
chiave, ma non sempre e non tutti
i paesi. La Francia è stata fonda-
mentale per la difesa nazionale di
Israele fino al 1967, quando Parigi
impose un embargo paralizzante
sulle armi in un momento cruciale
per la vita di Israele. Quando gli
Stati Uniti hanno deciso di fornire
attrezzature di vitale importanza
per Israele durante la lunga guerra
di Yom Kippur del 1973, nessun
Paese europeo concesse agli aerei
da trasporto americani il permesso
di atterrare e di fare rifornimento,
fino a quando gli Stati Uniti non
riuscirono a utilizzare una delle
isole Azzorre.
Nel 1991, quando i missili Scud
di Saddam Hussein cadevano su
Israele, solo due Paesi europei han-
no apertamente offerto il loro aiu-
to: Germania e Paesi Bassi. L’espe-
rienza degli osservatori dell’Unione
Europea al valico di Rafah a Gaza
non è stata incoraggiante, anche
se è stata fatta con le migliori in-
tenzioni. E la partecipazione delle
forze europee in Unifil in Libano
è ammirevole, ma non ha portato
ad alcun risultato di contenimento
di Hezbollah, che oggi vanta un
arsenale composto di missili e di
droni in grado di colpire tutto il
territorio di Israele.
Per far rispettare il suo peso nel
sollecitare il processo di pace, l’Eu-
ropa ha bisogno di riuscire meglio
a convincere Israele - la parte che
assumerà il maggior numero di ri-
schi concreti in caso di un accordo
-
che capisce veramente i veri pe-
ricoli.
L’Europa deve anche conside-
rare che, se il popolo ebraico a vol-
te può sembrare scettico riguardo
alle promesse, il motivo di tale
scetticismo potrebbe essere che la
storia getta una lunga ombra e che
i ricordi delle conseguenze dei pre-
cedenti abbandoni sono ancora
freschi.
E, cosa più importante, l’Ue do-
vrebbe avvalersi della sua straor-
dinaria esperienza nel porre fine
alla prospettiva di una guerra tra
gli Stati membri. Nonostante le
evidenti differenze tra l’Europa e
il Medio Oriente, alcune misure
possono essere adottate dall’Unio-
ne europea per contribuire a creare
un nuovo contesto di sicurezza
puntando, tra l’altro, sullo sviluppo
integrato. Se l’Europa vuole con-
tribuire ad avvicinare israeliani e
palestinesi al “giorno dell’accordo”
potrà accelerare il processo solo
pensando seriamente a quale sce-
nario ci sarà “il giorno dopo”.
DAVID HARRIS
Direttore esecutivo American Je-
wish Committee
I paesi europei, salvo rare
eccezioni, non hanno
mai aiutato lo stato
ebraico a sopravvivere.
Oggi gli chiedono solo
rinunce territoriali. Senza
valutare le conseguenze
nel “day after”
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 1 NOVEMBRE 2012
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