II
SOCIETÀ
II
DaMosca aNewYork, diario sanitario a puntate
di
ALDO SPALLONE
a oggi pubblichiamo a puntate
il diario sanitario di Aldo Spal-
lone, che si snoda tra oriente e oc-
cidente, e sul finire del “Secolo bre-
ve”. Mosca, Cuba, Roma, New
York... non c’era confine che potesse
limitare i viaggi e le ricerche di Aldo,
che alle “neuroscienze” venne av-
viato, quasi iniziato, fin da piccino.
A Mosca ha conosciuto scienziati,
politici ed intellettuali d’un sistema
ormai estinto, a Cuba i sogni di chi
aveva combattuto con Fidel e Gue-
vara, a New York chi voleva già 30
anni fa una sanità per tutti, un si-
stema sociale che oggi diremmo alla
Obama. Per i tanti che non cono-
scono la sua storia è uno dei tanti
ricercatori confermati presso l’Uni-
versità di Tor Vergata. Ma solo gli
addetti ai lavori sanno che dei suoi
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lavori scientifici (pubblicati su
riviste estere ed italiane) su argo-
menti di neurochirurgia, gran parte
riguardano la “patologia tumorale
cerebrale”. Una vita scientifica af-
fascinante, che spesso s’è intersecata
con epocali trasformazioni nel-
l’Unione Sovietica verso la nuova
Federazione Russa come nella Cuba
di Fidel Castro, dove il professor
Spallone gode la fama di “amico dei
cubani”. Mentre lavorava tra Inghil-
terra (Atkinson Morley’s Hospital,
Londra 1978-1979), Russia (Istituto
di Neurochirurgia “N.N. Burden-
ko”, Mosca anni 1981-1982, 1989-
1990, 1993-1994),
Usa (Univerisity
Hospital Iowa City, 1983-1984; Co-
lumbia University, New York, 1984,
1991-1992),
Cuba (presso gli Ospe-
dali CIREN-CIMEQ di l’Havana
nel periodo 1996-2000) la sua ri-
cerca clinica e la sua esperienza in
camera operatoria incuriosivano la
sanità del Belpaese. Soprattutto la
sanità del Lazio, che fin dagli anni
‘70
viveva ondivaghe fortune. Di se-
guito riportiamo alcune pagine del
diario di Aldo Spallone, redatto ne-
gli anni, mentre maturava la sua
esperienza sul campo, lavorando
presso l’Ospedale Montefiore di
New York (1991-1992), l’Istituto
di Neurochirurgia di Mosca “N.N.
Burdenko (1993-1994) e presso i
complessi Ospedalieri Ciren-Cimeq
di l’Havana (1996-2000). Dal 1999
è coordinatore del “Programma di
Chirurgia del Basicranio”, istituito
dal Ministero della Sanità Cubana:
ha eseguito nell’ambito oltre 100
interventi, con complesse patologie
della base cranica, in vari Ospedali
del Paese, ed operando i casi più dif-
ficili a Roma.
Il sistema sanitario regionale
laziale. La nascita
Non si sono ancora spenti gli
echi dell’ultima campagna elettorale,
dominata in quasi tutte le regioni
dal tema della sanità e dai suoi pro-
blemi: per ragioni ben note, se ne
profila a brevissima scadenza una
nuova in due Regioni-chiave del no-
stro paese. Il tema della sanità è par-
ticolarmente sentito nella regione di
chi scrive, il Lazio, dove la sanità ha
raggiunto un livello di deficit più che
preoccupante, che è necessario porre
urgentemente sotto controllo, per
scongiurare che il controllo della
spesa non comprometta il livello di
qualità raggiunto.
E’ un fatto riconosciuto che la
qualità del sistema sanitario italiano
sia adeguata. La sanità italiana è sta-
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ta recentemente classificata come la
seconda al mondo, dopo quella
francese, e in una classifica stilata
dall’OMS (in base però, a parametri
che hanno privilegiato gli aspetti or-
ganizzativi e sociali rispetto a quelli
tecnologico-organizzativi, tant’è vero
che la sanità degli Usa è risultata
ben lontana dai primi posti). Ciò
non toglie che il sistema di finanzia-
mento presenti criticità importanti,
che devono essere corrette, perché
il livello di oneri attuali è intollera-
bile anche per una società sviluppa-
ta, ricca (almeno finora…) e ben in-
serita nel circuito internazionale,
come è quella italiana.
Il Lazio rappresenta l’esempio
evidente, anche più preoccupante,
di questa situazione: una sanità che
certamente da’ un buon prodotto
complessivo, a cui partecipano realtà
organizzative e professionali molto
diverse tra loro, e non sempre ben
integrate: ma, come si è detto, ha
dei costi stratosferici, che vanno po-
sti sotto controllo con urgenza ed
estremo rigore.
Nella spesa sanitaria, le voci più
consistenti sono rappresentate dalla
spesa farmaceutica e ospedaliera.
Per quanto riguarda la prima, è fre-
sca la notizia che la mancata appli-
cazione di una legge nazionale, ve-
rificatasi nel Lazio in uno spazio
temporale in cui si sono alternate
due giunte di colore diverso (quindi
entrambe censurabili) ha provocato
un deficit notevole, e che la sua cor-
retta, anche se tardiva, applicazione
ha portato un correttivo importante,
con risultati estremamente positivi
in termini di contenimento dei costi.
La spesa ospedaliera costituisce un
elemento critico importante, e di so-
luzione molto complessa. Per com-
prendere come essa sia potuta di-
ventare ingovernabile, forse è utile
cercare di ricostruire la storia, alme-
no quella più recente, della sanità
laziale. A tale scopo chi scrive cer-
cherà di portare all’attenzione del
lettore fatti e fenomeni che hanno
caratterizzato questo processo, da
lui vissuti in gran parte in prima per-
sona, cercando di essere quanto più
impersonale ed obiettivo possibile.
L’articolo narrerà la storia meno re-
cente del processo, per poi passare
alle vicende più recenti, e fino all’at-
tuale momento.
Prima del sistema
sanitario nazionale
Lo scrivente ha personalmente
vissuto la progressiva trasformazio-
ne, e fino al momento fondamentale,
l’applicazione nel 1978 della legge
istitutiva del “Sistema sanitario na-
zionale” (la legge 833 del
23/12/1978).
Prima di quella legge
istitutiva, la realtà sanitaria romana
aveva molto più di volontaristico-
missionario, e molto meno di orga-
nizzato: gli ospedali erano coordi-
nati da un solo ente chiamato “Pio
Istituto” (il nome stesso chiarisce fi-
losofia ed indirizzo della gestione
del tempo). Erano complessi di
grandi dimensioni, caratterizzati da
grandi camere simili a caserme, ser-
vizi igienici comuni e quindi con
scarsa privacy, personale medico e
paramedico centellinato (ma per
questo ben pagato): ragguardevole
per numero il personale religioso,
con compiti pratici ma anche di su-
pervisione. Un personale che lavo-
rava molto, e con volumi notevoli
di attività, e che in genere non face-
va attività extra-ospedaliera (anche
perché come si è detto, era ben pa-
gato). La tecnologia era poco ade-
guata ma la professionalità, legata
alla grande esperienza pratica che
l’attività ospedaliera consentiva di
accumulare, suppliva al deficit tec-
nologico (un po’ la situazione che
vivono oggi i paesi sottosviluppati,
dove il notevole volume di attività
e le casistiche ormai impensabili nei
paesi sviluppati consente ad alcuni
centri di eccellenza di raggiungere
lo standard dei paesi del primo
mondo, anche senza avere a dispo-
sizione tutta la tecnologia disponi-
bile in questi ultimi).
L’ospedale Universitario (unico
a Roma fino agli anni ’70, quando
ha dovuto dividere questo status pri-
vilegiato con il neonato Policlinico
Gemelli) aveva una struttura molto
simile, con grandi camerate e priva-
cy inesistente, ma i servizi clinici e
diagnostici erano molteplici in quan-
to dislocati in più padiglioni, la tec-
nologia abbondante, se non esage-
rata, ed il numero dei medici sovrab-
bondante. Di conseguenza quest’ul-
timi erano decisamente sottopagati
rispetto ai colleghi ospedalieri,quindi
naturalmente orientati verso l’atti-
vità extraospedaliera, che il proprio
status di “Professori” e la conse-
guente reputazione favoriva. Le vi-
site con il Professore erano una gita
collettiva a cui partecipavano un nu-
mero di camici bianchi che variava
in rapporto all’importanza del pro-
fessore stesso, ma raramente era in-
feriore ai venti, e di conseguenza la
possibilità di accumulare esperienza
era decisamente ridotta rispetto ai
colleghi ospedalieri: c’era una netta
dicotomia concettuale, non dissimile
però da quella esistente in altri paesi
europei (vedi Uk) tra chi faceva so-
prattutto attività pratica e chi faceva
attività didattica e di ricerca, ed
ognuno si considerava migliore
dell’altro. In questo senso i vertici
della medicina ospedaliera romana
fondarono una scuola, la “Scuola
ospedaliera romana” appunto, che
portò avanti per anni una lodevole
attività di formazione: però mai eb-
be i riconoscimenti formali che forse
avrebbe meritato. Il resto della re-
gione aveva un sistema ospedaliero
piuttosto rudimentale. L’unico ospe-
dale di dimensioni importanti era a
Frosinone, fatto da una rete di pic-
coli centri nati in genere su iniziativa
dei politici locali più attivi, con mez-
zi e professionalità non sempre (anzi
quasi mai) adeguati e che costitui-
vano il filtro per approdare o al Po-
liclinico Umberto I (nei casi più for-
tunati) o ad altri grandi ospedali
romani (spesso in qualche clinica
privata). La sanità privata rappre-
sentava una realtà importante già
allora. Le cliniche private erano nate
in precedenza su iniziativa di qual-
che grosso nome della medicina ro-
mana, generalmente un cattedratico
di chiara fama, che nella clinica pri-
vata (spesso di sua proprietà) invia-
va i malati abbienti sapientemente
selezionati nell’ospedale pubblico, e
nella quale lavoravano gratuitamen-
te o quasi, i suoi assistenti. Negli
anni ‘50 l’introduzione del sistema
delle Mutue, che modificò in manie-
ra significativa questo panorama.
Permise la nascita di realtà sanitarie
private, in genere di piccole dimen-
sioni (quindi a misura d’uomo a dif-
ferenza degli ospedali) a cui poteva
accedere anche una fascia della po-
polazione diversa da quella che ave-
va fino allora costituito la clientela
potenziale delle cliniche private. Me-
dici intraprendenti, e non necessa-
riamente legati all’Accademia, col-
sero questa opportunità e crearono
strutture con caratteristiche tali da
indurre gli stessi membri dell’Acca-
demia a voler trovare una forma di
collaborazione, per sfruttare insieme
questa nuova opportunità: esisteva-
no quindi strutture dove lavoravano
a stretto contatto, e con rispetto re-
ciproco, medici di buona fama pro-
fessionale ma senza titoli accademici
di lustro, con professori di chiara
fama che lì svolgevano una parte
della loro attività extra-ospedaliera.
I costi di questa medicina erano con-
trollati sulla base di un accordo di-
retto tra la mutua e chi forniva le
prestazioni: il controllo veniva eser-
citato direttamente, con regolarità
e rigore, generalmente in un clima
di reciproco rispetto.
(1/
continua)
Prima puntata
del diario sanitario
di Aldo Spallone,
che si snoda
tra oriente e occidente,
e sul finire del “Secolo
breve”.Mosca, Cuba,
Roma, NewYork...
non c’era confine
che potesse limitare
i viaggi e le ricerche
di Aldo Spallone,
che alle“neuroscienze”
venne avviato,
quasi iniziato,
fin da piccino.
AMosca ha conosciuto
scienziati, politici
ed intellettuali
d’un sistema ormai
estinto, a Cuba
i sogni di chi aveva
combattuto con Fidel
e Guevara, a NewYork
chi voleva già 30 anni
fa una sanità per tutti
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 2 FEBBRAIO 2013
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