Pagina 5 - Opinione del 2-8-2012

Versione HTML di base

II
ESTERI
II
Ted Cruz vince inTexas:
un latino votato dai“razzisti”
di
STEFANO MAGNI
asta una sola elezione per smen-
tire tre luoghi comuni duri a
morire. Il voto di cui parliamo è
quello delle elezioni primarie repub-
blicane (per il Senato) nel Texas. I
texani hanno dovuto scegliere fra il
veterano David Dewhurst e il volto
nuovo Ted Cruz. Ha vinto Cruz, no-
nostante le previsioni fossero molto
negative per lui. Nella prima tornata
elettorale (il 29 maggio), quando
erano in corsa tutti i candidati, Cruz
era risultato secondo, ma distanziato
di ben 11 punti da Dewhurst. In ap-
pena due mesi, in occasione del bal-
lottaggio di martedì, ha compiuto
una rimonta incredibile, battendo il
candidato di punta di 12 punti:
56% contro 44%.
Primo luogo comune smantellato
da questa singolare esperienza elet-
torale: il Tea Party non è morto, ma
vivo, vegeto e determinante. È stato
solo il Tea Party che ha garantito la
vittoria di Cruz. Lo dimostrano que-
ste cifre: nel primo turno elettorale,
i tea partiers erano equamente divisi
fra Dewhurst (che aveva attratto il
39% dei loro consensi) e Cruz (il
38%) e il primo ha vinto. Prima del
ballottaggio, Cruz ha ottenuto l’en-
dorsment dei think tank Freedom-
Works e Club for Growth (due dei
principali motori del movimento del
tè), il sostegno diretto di Sarah Palin
e a lui è stato dedicato il mega–ra-
B
duno dei tea partiers di Dallas, la
settimana scorsa. Ebbene, il 75%
degli elettori vicini al Tea Party han-
no votato per lui. Determinandone
la vittoria, evidentemente. Conside-
riamo anche che, dalla parte di De-
whurst, c’erano tutti i “pesi massi-
mi” del Partito Repubblicano (a
partire dal governatore del Texas
Rick Perry, ex candidato alle prima-
rie presidenziali) e la sua passata
esperienza di senatore dello stato.
Oltre che il vantaggio ottenuto nel
primo turno, cosa che lo avrebbe re-
so più “appetibile” anche agli occhi
degli indecisi. Tutti questi elementi
non sono bastati. Il Tea Party è la
variabile determinante.
Secondo luogo comune smantel-
lato: i soldi non vincono le elezioni.
E nemmeno le televisioni. Dewhurst
è un ricco uomo d’affari che ha po-
tuto investire, di tasca sua, ben 25
milioni di dollari nella sua stessa
campagna. Ha dominato le televi-
sioni, con una valanga di spot elet-
torali, soprattutto “negativi”, volti
a screditare il rivale Cruz. Quest’ul-
timo, al contrario, è figlio di un im-
migrato cubano, arrivato in Texas
con 100 dollari nascosti nelle sue
mutande. Ted Cruz si è fatto da so-
lo, ha compiuto tutta la sua carriera
universitaria studiando legge ed è
diventato un brillante avvocato.
Non aveva ereditato, né costruito
negli anni una sua rete di contatti
ed entrature ad alto livello (benché
Dewhurst lo abbia accusato di es-
sere una “emanazione” di Washin-
gton), per il semplice fatto che è alla
sua prima esperienza politica. I soldi
e i contatti ora li ha eccome: guada-
gnandoseli sul campo, in questa
campagna elettorale.
Terzo luogo comune smantellato:
gli americani del Texas non sono af-
fatto razzisti. E queste elezioni ne
sono la dimostrazione. A Dallas, una
folla di 15mila tea partiers (teorica-
mente, secondo i nostri media,
“bianchi, reazionari e razzisti”) han-
no tifato per un cubano, immigrato,
“figlio di nessuno”. Se dovesse es-
sere eletto al Senato, il prossimo no-
vembre, battendo il suo rivale de-
mocratico, sarebbe il primo latino
eletto in Texas. Non con i voti pro-
gressisti, ma proprio grazie ai “raz-
zisti bianchi” conservatori.
La Corea del Nord muore di fame e di pioggia
K
Dopo mesi di siccità è giunta l’alluvione e la Corea del Nord
è in ginocchio. Un team dell’Onu ha stimato almeno 60mila sfollati e
chiede “almeno 198 milioni di dollari” per le prime necessità
Bashar al Assad
in un vicolo cieco
Il candidato appoggiato
dai Tea Party vince
le primarie repubblicane
per il Senato, smentendo
chi parlava di morte
del movimento. Battuto
l’ex vicegovernatore,
uomo dell’establishment
Per cosa deve scusarsi Mitt?
Di essere troppo americano
a Siria appare sempre di più co-
me una diga pronta a cedere.
Non era ancora finita la battaglia
per la riconquista di Damasco, che
subito l’epicentro dell’insurrezione
si era trasferito ad Aleppo. Adesso
lo scontro per la riconquista di
Aleppo è giunto al suo sesto giorno
e già ricominciano gli scontri a fuo-
co a Damasco. Il dittatore Bashar
al Assad ha lanciato il suo procla-
ma ieri mattina: «Il destino del no-
stro popolo e della nostra nazione
passati, presenti e futuri dipende da
questa battaglia». Ma intanto gli
insorti hanno il loro nuovo martire:
il dissidente Tammam al Saab, un
ex emigrante nel Golfo Persico, ri-
tornato in Siria nonostante la per-
secuzione subita (nei decenni) dalla
sua famiglia e ucciso dai militari lo
scorso 20 luglio. Secondo la versio-
ne del regime, era un terrorista. Se-
L
condo la versione dei ribelli, è un
dissidente non violento, ucciso da
un cecchino mentre cercava di aiu-
tare un altro manifestante colpito
dalle pallottole dei regolari. Dall’al-
tra parte della barricata, in questa
guerra di immagini, il regime di Da-
masco denuncia la fucilazione som-
maria di quattro uomini, ad Alep-
po, accusati di essere lealisti di
Assad. Questa volta c’è un video
che lo dimostra. Ma i governativi
hanno ben poche possibilità di pas-
sare dalla parte delle vittime inno-
centi, soprattutto alla luce del nuo-
vo rapporto pubblicato ieri da
Amnesty International che docu-
menta abusi, torture, esecuzioni di
massa. Le famiglie dei caduti sono
state costrette dalle forze di sicu-
rezza a firmare dichiarazioni in cui
incolpavano “bande di terroristi”:
un maldestro tentativo di coprire i
crimini del regime. Nel frattempo,
sul piano diplomatico, appare sem-
pre più lontana la possibilità di un
esilio di Assad. «È un dittatore che
vede complotti ovunque che non
ha dato nessuna indicazione di es-
sere pronto a lasciare il potere in
silenzio di notte – ha detto alle
agenzie un funzionario americano
– Come è successo per altri uomini
forti prima di lui, la sua arroganza
lo sta conducendo a decisioni sba-
gliate», infilandosi «in un angolo
senza via d’uscita».
MARIA FORNAROLI
ilenzi, imbarazzo e speranza che
gli americani dimentichino in
fretta. È questa la reazione del mon-
do conservatore al ritorno di Mitt
Romney dal suo primo viaggio al-
l’estero. Ma cosa ha sbagliato?
In Polonia, il candidato del
Grand Old Party ha ottenuto il
plauso di Lech Walesa e la conte-
stazione (a priori) dei sindacati. In
ogni caso, le organizzazioni dei la-
voratori, negli Usa come in Europa,
lo considerano come un nemico per
il solo fatto che proviene dal mondo
della finanza. A Londra, il candida-
to della destra Usa ha rispolverato
il suo passato di organizzatore delle
Olimpiadi 2002 e non ha taciuto
critiche alla gestione dei giochi del
2012. Avrebbe dovuto fare l’ipocri-
ta? Più in generale, dovrebbe na-
scondere il suo background, grazie
al quale inizia ad essere visto come
il più affidabile candidato sui temi
economici? Sempre in Polonia, il
candidato repubblicano ha dichia-
rato, senza equivoci, di schierarsi
dalla parte dei polacchi, “difensori
della libertà”, contro il pericolo di
una Russia che ha smarrito la via
della democratizzazione. Deve chie-
dere scusa a Vladimir Putin? Persi-
no Obama, dopo l’illusione del “re-
set” è dovuto tornare sui passi di
Bush. In Israele, il candidato del
Gop ha premiato la cultura dello
Stato ebraico, quale principale fonte
del suo sviluppo. Thomas Fried-
S
man, editorialista del New York Ti-
mes, ha definito quel discorso, come
«L’aspetto peggiore della politica
americana nel Medio Oriente», per-
ché, dal suo punto di vista, Israele
non ha bisogno di “amici acritici”,
ma di un “mediatore onesto” equi-
distante dallo Stato ebraico e da
quello palestinese. Romney deve
forse compiacere Friedman? Nel ca-
so, non gli basterebbe nemmeno
imitare Obama (che l’editorialista,
coerentemente, contesta) perché lo
stesso presidente democratico ha
compiuto una scelta di campo. Lo
dimostra anche la visita del segre-
tario alla Difesa Leon Panetta: i due
Paesi sono «amici, oltre che alleati»,
ha detto ieri il ministro democrati-
co, visitando le batterie di difesa an-
ti–missile israeliane e discutendo
eventuali azioni (anche militari)
contro l’Iran.
È inutile, poi, cercare di far buon
viso a cattivi media: quelle testate
e quelle televisioni che si sono schie-
rate dalla parte di Obama non cam-
biano idea. Se non hanno gaffe da
raccontare, le creano. L’episodio di
Varsavia lo dimostra: i reporter di
Washington Post, New York Times
e Cnn hanno urlato domande a un
Romney raccolto in preghiera da-
vanti alla tomba del Milite Ignoto,
finché il suo ufficio stampa non è
sbottato. I giornalisti hanno creato
le condizioni per una nuova gaffe
da raccontare. Tutte queste “figu-
racce” sono errori? O non è piut-
tosto la stessa identità repubblicana
ad essere considerata un “errore”,
da un punto di vista di media e ac-
cademici schierati a sinistra? È chia-
ro che i Repubblicani, per loro co-
stituzione, non sono ecumenici.
Portano la spada: dividono chi sta
con l’America (e con la sua cultura)
dai nemici. Risultano antipatici, per-
ché riconoscono l’esistenza di ne-
mici. Ma in questo risiede anche la
loro forza, soprattutto in un eletto-
rato americano che elegge un pre-
sidente degli Stai Uniti. E non del-
l’umanità intera. McCain e gli
uomini della sua campagna (in pri-
ma fila, in questi giorni, nella critica
del viaggio di Romney), nel 2008,
cercarono di essere ecumenici. E i
risultati si sono visti.
(ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 2 AGOSTO 2012
5