Pagina 4 - Opinione del 3-8-2012

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II
POLITICA
II
“Fermare il declino”: scelte difficili e responsabili
di
PIERCAMILLO FALASCA
siste una “quarta via” tra sva-
lutazione, default e super-im-
posta patrimoniale? Riassumendo
all’osso queste ipotesi - peraltro
- esse non appaiono così distanti,
essendo tutte varianti del latroci-
nio: ai creditori (italiani e stra-
nieri), ai consumatori, ai rispar-
miatori, ai lavoratori, ai
proprietari o a tutti un po’.
Eppure una quarta via esiste.
È il sentiero stretto delle scelte
difficili e responsabili, una traccia
di riforme complesse che si muo-
va pericolosamente tra gli scogli
delle facili ideologie “sintetiche”
del populismo di una certa destra
e del qualunquismo diffuso a si-
nistra.
La quarta via è l’offerta al-
l’opinione pubblica nazionale di
un nuovo racconto, forse meno
radioso e consolatorio della reto-
rica che finora ha prevalso, ma
più onesto e credibile: perché
l’Italia torni a crescere e ad essere
un bel posto dove vivere, lavorare
e produrre, c’è da superare un
modello sociale fondato sul debi-
to pubblico, sull’assistenzialismo,
su una redistribuzione massiccia
e ingiustificata di risorse e sulla
protezione normativa garantita
al “lavoro tradizionale” (dai liberi
professionisti agli operai di azien-
de medie e grandi, beneficiari i
primi di enormi barriere all’in-
gresso nel settore e i secondo del-
la rigidità del mercato del lavoro
e di un welfare da cui sono ine-
E
vitabilmente esclusi i più giovani).
Accanto a questo, c’è da lavorare
perché migliori la gestione del-
l’ordinario, dalla qualità della no-
stra scuola alla modernizzazione
del sistema della giustizia, pas-
sando per tutte le applicazioni e
i servizi pubblici che possono ren-
dere lo Stato un buon alleato del
mercato.
Perché l’Italia “ce la faccia da
sola”, per dirla con Giavazzi ed
Alesina, a prescindere dal ruolo
più attivo che probabilmente la
Bce deciderà di assumere, i pros-
simi mesi e i prossimi anni saran-
no cruciali. Governare questo
paese, dal 2013 in poi, sarà un
compito straordinariamente com-
plesso, a cui gli attuali schiera-
menti politici appaiono imprepa-
rati, per usare un eufemismo.
Stando alle ultime intenzioni di-
chiarate, il Pd di Pierluigi Bersani
e i vendoliani di Sinistra e Libertà
parteciperanno insieme alle pros-
sime elezioni politiche, con il go-
vernatore della Puglia tra i can-
didati alle primarie per la
selezione del candidato premier.
Gli interrogativi sulla loro
scelta sono enormi: come faranno
- o farebbero - a governare insie-
me un partito che pochi mesi fa
ha votato a favore della riforma
delle pensioni di fine 2011 e una
forza che apertamente ne chiede
una revisione al ribasso? Inutile
parlare del fronte opposto, quel
centrodestra berlusconiano a cui
vanno oggettivamente imputati
l’immobilismo mostrato in mate-
ria di riforme economiche nell’ul-
timo decennio e la responsabilità
storica di aver sciupato il dividen-
do dell’euro (l’abbattimento dei
tassi d’interesse sul debito pub-
blico conseguito con l’adesione
alla moneta unica): il ritrovato li-
berismo alle vongole del ri-nato
Berlusconi galvanizzerà un elet-
torato fedele e acritico, ma il Pdl
sarà con buone probabilità ridi-
mensionato in termini elettorali
e costretto all’opposizione.
Chi può fare le “cose difficili”,
confessando agli elettori le “cose
indicibili” e offrendo a quanti
comprano il nostro debito (finan-
ziando così le nostre scuole e i
nostri ospedali) l’immagine di
una classe politica all’altezza del
compito che l’Europa intera chie-
de oggi all’Italia? Il programma
delle cose da fare c’è, un eletto-
rato in cerca di rappresentanza
pure: manca il soggetto politico,
il partito che non c’è, da offrire
come proposta possibile tanto ai
cittadini-produttori quanto agli
outsider della società italiana, per
usare una classificazione cara ad
Oscar Giannino e agli altri sotto-
scrittori del manifesto “Fermare
il declino”.
Occorre una nuova offerta po-
litica - questa peraltro è la visione
con cui è nata e sta crescendo
l’iniziativa di “Zero+”, a nome
della quale ho aderito all’appello
“Fermare il declino” - che non
sprechi l’occasione che l’esperien-
za del governo Monti ha comun-
que offerto.
Si può non condividere com-
pletamente la linea e le decisioni
adottate dal governo tecnico nei
mesi della sua vigenza, chiedendo
maggior coraggio sull’abbatti-
mento dello stock di debito e de-
gli interessi passivi con un piano
massiccio di privatizzazioni o cri-
ticando la timidezza delle libera-
lizzazioni e della riforma del mer-
cato del lavoro, ma la rotta
intrapresa è stata ed è quella della
responsabilità e della serietà: una
politica che taglia spesa pubblica,
che riduce privilegi ormai inso-
stenibili (superando l’intoccabilità
dei dipendenti pubblici o la rigi-
dità degli ordini professionali),
racconta un’Italia possibile e au-
spicabile, i cui pilastri siano la li-
bertà di mercato, la disciplina fi-
scale e istituzioni il più possibile
equidistanti dai blocchi corpora-
tivi che ipotecano le prospettive
di crescita e innovazione.
A giudizio di chi scrive, il par-
tito che non c’è - se riuscirà ad
esserci - dovrà porsi la sfida del
governo reale, senza cadere nella
tentazione di testimoniare un’ec-
cezione e poco più. Sarebbe un
errore fatale.
Insomma, a partire dai promo-
tori di “Fermare il declino”, bi-
sogna evitare l’illusione che si
possa bastare a se stessi: per il
2013 serve un soggetto politico-
elettorale “a vocazione fattiva” e
ad ambizione maggioritaria, non
il ridotto dei duri e puri.
Guardando più a dove vorre-
mo stare domani e non a dove
ognuno di noi è stato ieri, per dir-
la con il mio amico Marco Fara-
ci.
Perché l’Italia torni
a crescere c’è da superare
un modello fondato
sull’assistenzialismo
Il programma delle cose
da fare c’è, un elettorato
deluso pure: manca
il soggetto politico
Giannino? Così condivisibile da essere banale
di
ANDREA ARRIGO PANATO
abato scorso è stato reso pubbli-
co il manifesto del gruppo di
economisti, imprenditori e profes-
sionisti che in qualche modo si rifà
ad Oscar Giannino.
Tra i firmatari qualche amico e
moltissimi conoscenti, persone ed
associazioni che ho frequentato fin
dai primi anni dell’università e che
frequento saltuariamente tutt’oggi.
Non lo nascondo, la prima sen-
sazione è stata di tipo identitario.
Banalizzo, ma in pratica tra le firme
ci sono “tutti gli amici del bar al-
l’ora dell’aperitivo”, che a Milano
non è poco. Poi lentamente sono na-
ti alcuni dubbi e perplessità. Voglio
esser chiaro: io nel manifesto mi ci
ritrovo ma, come alcuni dei lettori
sapranno, i vecchi liberali soffrono
di quella rara forma di scetticismo
che in questo paese spesso salva da
scelte affrettate e dalla mediocrità
ed a volte condanna alla paralisi e
ad una colpevole inazione.
Sono stato ripreso simpatica-
mente da Barbara Franchini, una
coraggiosissima amica (che stimo
molto sia come persona sia come
imprenditrice che sta lottando con
forza per difendere la sua impresa
dalla legislazione post terremoto in
Emilia), che si aspettava di ritrovare
la mia firma tra quelle degli aderen-
ti. Mi dicono tra l’altro che stanno
giungendo numerosissime e ne sono
contento.
Per molti dei firmatari, soprat-
tutto imprenditori, il paese è ad un
bivio: o si cambia o si parte. Sono
S
sicuramente un simpatizzante sia
per le idee espresse sia per le persone
che le portano avanti.
Provo ad esporre qualche mia
perplessità nella speranza che i dub-
bi vengan prima di tutto capiti (non
si vuol distruggere ma costruire) e
poi ove possibile fugati.
Il liberale vive di dubbi. Chiedo
agli araldi entusiasti di questa nuova
avventura (non mi riferisco ovvia-
mente ai firmatari del manifesto,
tutte persone per bene) di non met-
termi troppa fretta perché quando
loro erano comunisti per moda e
tornaconto, quando loro si conver-
tivano a Forza Italia perché c’era da
guadagnare, io sempre liberale son
rimasto, rischiando soprattutto nei
primi anni di prenderle da quelli che
oggi si fan chiamare Democratici e
negli ultimi di esser deriso per aver
continuato a difendere la legittimità
delle scelte del povero Montanelli.
Credo quindi di meritarmi qualche
giorno di riflessione. Mi correggo,
sono assolutamente certo di meri-
tarmi qualche giorno di riflessione.
I punti son tanto condivisibili
dall’esser quasi banali. La cosa un
po’ mi spaventa. Lo so, è stato chia-
rito più volte che è comunque una
piattaforma forte e mai realizzata
in Italia e che punti e soluzioni ver-
ranno declinate nel concreto dopo
ampia discussione tra i firmatari. Il
rischio di soluzioni così aperte è
quello di non scontentare nessuno.
Gli entusiasti di oggi comprendono
che tagliar la spesa significa licen-
ziare dipendenti pubblici? Che ces-
sione degli immobili di Stato avrà
riflessi sui prezzi e non sarà cosa né
immediata né facile? I colleghi pro-
fessionisti sanno che libero mercato
vuol dire meno privilegi? Gli im-
prenditori sanno che libera concor-
renza significa ridurre le posizioni
monopoliste? Che ridurre burocra-
zia pubblica significa ridurre buro-
crazia privata su cui in molti cam-
pano? Condivido il programma, ma
mi chiedo quanto applaudiranno gli
entusiasti di oggi quando si vedran-
no tagliate le prebende (dirette ed
indirette). Meglio esser chiari da su-
bito ed evitare di gonfiare numeri
che si riveleranno poco attendibili
alla prova del voto.
Ruolo dei due o tre personaggi
ombra: Marcegaglia, Montezemolo,
Passera. Nessuno dei tre mi entu-
siasma. Non sono ingenuo, per far
nascere un partito ci vogliono soldi
ed organizzazione ma preferirei si
giocasse a carte scoperte. Non mi è
chiaro quale sia il loro ruolo e mi
paiono l’un contro l’altro armati.
Nuova Forza Italia o Patto Se-
gni/Alleanza democratica? Molti
giornalisti hanno paragonato questa
iniziativa alla nascita di una nuova
Forza Italia, un nuovo partito libe-
rista, ma oggi sembra più un im-
menso contenitore di speranze mo-
dello Alleanza Democratica (ricor-
date Segni ed Occhetto sul palco do-
po la vittoria del maggioritario sulle
note di
Adelante
di De Gregori?).
Un gran movimento, ma poi destra
e sinistra del concreto tendono giu-
stamente a divergere su posizioni
entrambe legittime ma differenti.
Oggi oscillo tra due diverse in-
terpretazioni, la prima rassicurante,
la seconda meno. L’interpretazione
positiva vede un’iniziativa nata in
gruppi di ispirazione liberale che si
apre alla base con i punti del mani-
festo cosi generici proprio perché
dovranno essere discussi e declinati
con il supporto di tutti.
Più la base sarà forte più potrà
dettare le condizioni ai personaggi
ombra e comunque non si svende-
rà a pure attività di lobby a costo
di naufragare eroicamente. Una
battaglia la si può anche perdere
ma esser orgogliosi per averla
combattuta, soprattutto se è una
battaglia culturale prima ancora
che politica.
Dopo anni di voto polarizzato,
il nobile tentativo di aprirsi a per-
sone con esperienze diverse sulla ba-
se di un programma comune mi di-
sorienta ma è sostanzialmente un
problema mio (ed eventualmente di
una parte dell’elettorato) ma resta
un tentativo nobile che rischia di
crear qualche difficoltà in termini
di voti e di organizzazione interna.
Ad essere pessimisti, invece, l’ini-
ziativa corre il rischio di divenire fo-
glia di fico dei tre personaggi ombra
che non si decidono ad entrare in
campo e non vogliono esporsi. Se
la cosa andrà bene, si prenderanno
il movimento esercitando un’opzio-
ne d’acquisto, e se andrà male non
metteranno la faccia.
Le presunte distanze da Confin-
dustria forse altro non sono che le
corrispondenze di una lotta interna
già iniziata nell’associazione indu-
striali e che si ripropone oggi sotto
nuove forme.
Probabilmente basterebbe chia-
rire qualche punto che nella fretta
sarà sfuggito per rassicurare quelli
che come me son tentati di dare un
contributo per quanto possibile ad
una iniziativa che vuole aiutare que-
sto Paese a rialzarsi.
Forse le aspettative erano tali da
creare per forza una qualche delu-
sione. Forse on-line si creano rap-
porti cosi diretti che ci si aspetta
quasi un “su misura”. Sicuramente,
oggi, al di là dei facili entusiasmi sul
pagare meno tasse, non riesco bene
a comprendere i confini del proget-
to. Il che, come ho chiarito sopra,
può essere un bene come un male.
Lo snobismo liberale poi fa il re-
sto. È un peccato originale dichia-
rato in maniera manifesta e di cui
spero il lettore vorrà tener conto.
Per un partito servono
soldi ed organizzazione
ma è meglio giocare
a carte scoperte
Una battaglia si può
anche perdere,
ma con l’orgoglio
di averla combattuta
L’OPINIONE delle Libertà
VENERDÌ 3 AGOSTO 2012
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