Pagina 1 - Opinione del 4-8-2012

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Direttore ARTURO DIACONALE
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Sabato 4 Agosto 2012
delle Libertà
Se la sorte di Casini è quella di finire come Follini
arco Follini ha cercato di ri-
consolare Pierferdinando Ca-
sini ricordando al leader dell’Udc di
aver subito le stesse critiche di stam-
po maccartista da parte della destra
al tempo in cui ruppe l’alleanza con
Silvio Berlusconi e passò dall’altra
parte della barricata. Ma questa ma-
nifestazione di solidarietà da parte
dell’antico sodale del movimento
giovanile democristiano e della co-
mune militanza nelle formazioni po-
litiche del centro post-scudocrociato
alleato fino al 2006 con il partito
berlusconiano, non deve aver ricon-
solato eccessivamente il “caro amico
Pier”. E non perché il maccartismo
evocato da Follini c’entri come i ca-
M
voli a merenda in una vicenda in cui
i critici contestano a Casini non il
proposito di passare al nemico post-
comunista, e neppure l’intento di ri-
costruire con quarant’anni di ritardo
il vecchio compromesso storico di
Moro e di Berlinguer, ma solo l’idea
di vendersi a Bersani in cambio della
promessa del Quirinale. Ma soprat-
tutto perché l’esempio offerto dalla
conversione al Pd di Follini costi-
tuisce un pessimo viatico per il per-
corso che il leader dell’Udc intende
fare per contribuire a creare una
maggioranza di centrosinistra dopo
le elezioni che, oltre a spedire Ber-
sani a Palazzo Chigi, lo porti spedito
sul più alto Colle della Presidenza
della Repubblica. Fino a quando è
stato nell’alleanza di centrodestra,
infatti, Marco Follini, ha avuto un
ruolo politico di grande rilevanza.
È stato vicepresidente del Consiglio
e fattore frenante di tutte le riforme
d’ispirazione liberale che il Cavaliere
avrebbe voluto realizzare dal 2001
al 2006. Uscito dal centrodestra ed
entrato a far parte del Partito De-
mocratico, invece, il povero Follini
è scomparso. E non perché i suoi
vecchi amici lo avevano subissato
di insulti maccartisti per la folgora-
zione sulla via post-comunista. Ma
perché i nuovi compagni di strada
lo hanno prima fagocitato e poi
marginalizzato e totalmente azzera-
to. Non per perfidia e cattiveria. Ma
perché il passaggio di campo gli ave-
va tolto qualsiasi ruolo politico in
un Partito Democratico dove l’unica
sorte concessa ai cattolici è quella
di imitare il partito dei contadini
nella Polonia comunista. Cioè di in-
terpretare il compito di semplice fo-
glia di fico e di contare meno del
nulla assoluto.
La prospettiva di fare la fine di
Follini, dunque, dovrebbe spingere
Casini a compiere ogni genere di
scongiuro. E riflettere attentamente
sulla circostanza che ogni qual volta
i cattolici si sono alleati con i comu-
nisti senza lo scudo
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Fermiamo il declino,ma senza chiedere abiure
he il liberismo sia, in tutto o in
parte, “qualcosa di sinistra” or-
mai non lo pensano neppure Alesi-
na e Giavazzi. La destra, invece,
berlusconiana e non, ce l’ha messa
tutta per dare ragione a chi nega
che il liberismo possa diventare l’ar-
chitrave su cui costruire un blocco
liberale, conservatore e moderato
in grado di modernizzare l’Italia.
In questo vuoto pneumatico si
è inserito da alcuni giorni il bel ma-
nifesto liberal-liberista “Fermare il
declino”. Poche cose, ma dette con
chiarezza. E dieci proposte dalle
quali - con trascurabili eccezioni -
è davvero difficile dissociarsi: ridu-
zione del debito pubblico, riduzione
C
della spesa pubblica, liberalizzazio-
ni, federalismo, privatizzazioni, ab-
battimento della pressione fiscale.
Sono argomenti convincenti ed è
inutile ripetere che nelle coscienze
di molti quel manifesto sfonda una
porta aperta. Tra il dire e il fare, pe-
rò, c’è la stessa differenza che passa
tra un editoriale illuminato del Cor-
sera e i disegni di legge che lo do-
vrebbero tradurre in realtà. Imporre
un’agenda liberista (ma anche sol-
tanto di buonsenso) a questo paese
richiede uno sforzo ulteriore rispet-
to alla semplice testimonianza.
Quello che serve all’Italia è ormai
chiaro da decenni. Quello che non
è chiaro è come - e con chi - tra-
sformare quei dieci punti in qual-
cosa di più di una dichiarazione di
principi.
Il primo pregiudizio evidente del
manifesto (e traspare da un numero
consistente dei suoi firmatari) è
quello anti-berlusconiano. Non è
questione da poco. E dovrebbe in-
teressare anche a chi, con Berlusco-
ni o i berlusconiani, non ha mai
avuto a che fare, o se n’è dissociato
in tempi non sospetti. Il rischio, an-
cora una volta, è quello di rendere
assolutamente impossibile ogni ten-
tativo di scrivere un’agenda anti-
statalista per l’Italia.
Silvio Berlusconi ha rappresen-
tato per molti, con alterne fortune,
l’unico catalizzatore in grado di te-
nere insieme una maggioranza co-
struita attorno a parole d’ordine e
suggestioni che, almeno fino al
2001, erano molto simili a quelle
di “Fermare il declino”. Scegliere
di superare il berlusconismo è idea
saggia. Chiedere a tutti quelli che
con Berlusconi e il centrodestra ita-
liano hanno condiviso un pezzo di
strada di accettare l’idea che il Cav
sia stato solo «un brigante»...
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di
ANDREA MANCIA
e
SIMONE BRESSAN
Se i liberisti vogliono
uscire dal comodo
angolo dell’accademia
per conquistare
l’egemonia culturale,
devono farsi capire
dalla gente comune.
Senza la solita spocchia
che li contraddistingue
di
ARTURO DIACONALE
Il leader dell’Udc è
in grado di stringere
un’alleanza con il rinato
Pci di Bersani senza
perdere autonomia,
indipendenza, ruolo
ed elettori? Dovrebbe
essere un De Gasperi,
ed avere alle spalle
gli americani
Casini sfinge tra Bersani eVendola
K
Ma c’è davvero posto per l’Udc
di Casini in un centrosinistra sogna di
dare vita ad un nuovo-vecchio Pci? Ber-
sani brama la grande alleanza tra Pd e
Sel per riportare agli antichi fasti una
compagine politica che pur non avendo
falce e martello nel simbolo, ne avrebbe
comunque le idee, i programmi, il retag-
gio, e persino i nomi e i volti.
E lo scudo crociato, traghettato oltre il
maremoto della Prima repubblica e il
tentativo fallito di Silvio Berlusconi di
passare una mano di azzurro su tutti i
partiti di centrodestra, che fine farebbe?
Di sicuro Pierferdinando Casini la do-
manda se l’è posta.
Se già nel moderato Pd i cattolici rico-
prono il ruolo dei panda nello zoo di Pe-
chino, e vengono sistematicamente
usati per tiro al bersaglio dai “compa-
gni” dell’ala più oltranzista, figuriamoci
cosa potrebbe accadere in una coali-
zione ancor più pesantemente orientata
a sinistra. È chiaro che al tandem Ber-
sani-Vendola interessino molto più i voti
dell’Udc, che non le proposte. Sempre
ammesso che, se Casini scegliesse di
svoltare a sinistra, i voti ci siano ancora.