Page 1 - Opinione del 6-10-2012

Direttore ARTURO DIACONALE
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Sabato 6 Ottobre 2012
delle Libertà
Macroregioni: l’ultimamoda della casta anticasta
è stato un momento in cui
sembrava che se non si abo-
livano di colpo o si riducevano
sensibilmente le province non sa-
rebbe stato possibile salvare l’Italia
dalla crisi. La moda del momento,
alimentata da media irresponsabili
e da politici privi di una qualsiasi
capacità di giudizio non gregario,
lo imponeva. Ed allora via alla
campagna contro le provincie! Che
non era solo contro quelle inutili,
quelle ingiustificate dalla storia,
quelle eccessivamente dispendiose,
quelle realizzate solo per ragioni
poco commendevoli di brutale
clientela. Era contro l’istituzione
in sé. Senza uno studio preventivo,
C’
una qualsiasi approfondimento,
una qualche valutazione un mini-
mo ponderata sulla conservazione
o meno di una istituzione che nel
nostro paese risale ai secoli passati
e che rispecchia storie e tradizioni
antiche. Sappiamo tutti come sia
andata a finire questa moda contro
le province. Adesso che è esploso
il caso delle regioni e degli invere-
condi e criminali sprechi che vi si
consumavano, nessuno pensa più
alla loro abolizione. Adesso è di
moda sui media che contano, e
sempre con l’immediata adesione
dei politici privi di capacità di giu-
dizio autonomo e carichi solo di
incontenibile tendenza gregaria, di
lanciare la campagne della ridu-
zione dei costi delle regioni attra-
verso il loro accorpamento in tre
macroregioni specifiche: quella del
Nord, quella del Centro e quella
del Sud e delle isole.
Su quali ricerche, studi, appro-
fondimenti e valutazioni poggia
questa campagna per la formazio-
ne di tre macroregioni? I più atten-
ti ricordano uno studio della Fon-
dazione Agnelli risalente all’inizio
degli anni ‘90 in cui in cui si pro-
poneva la formazione di grandi ag-
gregazioni tra regioni omologhe o,
più semplicemente vicine. I più ac-
culturati citano Miglio o Cattaneo.
Ma nessuno esamina la questione
con un minimo di discernimento,
tenendo conto della storia, della
geografia e, soprattutto, delle enor-
mi trasformazioni subite dal nostro
paese da quando Miglio e la Fon-
dazione Agnelli (lasciamo da parte
Cattaneo che fa parte di un secolo
diverso ) pensavano alla triparti-
zione del territorio.
Ma chi teorizza le macroregio-
ni tiene solo conto della preoccu-
pazione di risparmiare, guarda
casa proprio quella preoccupa-
zione di cui i teorizzatori non si
sono mai preoccupati in tutti gli
anni del regionalismo dissennato
e clientelare.
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Caro B, è troppo tardi per rottamare il partito
inalmente una buona notizia. Sil-
vio Berlusconi rottama il Pdl.
Purtroppo con colpevole ritardo.
Ma meglio tardi che mai, come si
sa. Avrebbe potuto farlo prima ed
in tempo utile a cercare nuove stra-
de per incanalare un centrodestra
allo sbando, ma l’incrollabile fiducia
nella sua buona stella forse lo ha
dissuaso. Adesso è in mezzo al gua-
do. Non sa che fare, non sa dove
andare. Facile, infatti, dire che il par-
tito nato su un predellino è morto
prematuramente. Bisognerebbe ac-
compagnare le esequie con una
qualche sensata proposta. Per quanti
sforzi faccia, francamente non ne
vedo. Se si fosse preso per tempo il
F
toro per le corna probabilmente non
saremmo a questo punto. Acqua
passata.
Lo sconcerto, comunque, non fi-
nisce qui, alla presa d’atto cioè di
un progetto (progetto?) fallito. Ci
sarebbe bisogno di una energica au-
tocritica o almeno che Berlusconi e
la classe dirigente del Pdl enumeras-
sero ed analizzassero gli errori com-
messi, individuassero i responsabili
di certe candidature e di numerose
cooptazioni nell’empireo del potere,
ammettessero che la meritocrazia è
stata esiliata e che i mediocri, i servi,
i cortigiani e perfino le cocottes han-
no avuto tanta di quell’influenza nel
partito da determinarne il crollo.
È quantomeno indecente che ci
si accorga soltanto adesso che un
Fiorito qualunque abbia dato la stu-
ra a quella fogna intasata dalla qua-
le sono venuti fuori i nauseanti mia-
smi di questi giorni: chi lo ha
proposto, fatto eleggere, nominato
capogruppo, presidente della Com-
missione Bilancio (addirittura!)? E
non mi sembra molto serio che mo-
ralisti della venticinquesima ora
chiedano alla signorina Minetti di
lasciare il suo scranno al Consiglio
regionale lombardo: ma chi ce l’ha
messa, chi l’ha condotta per mano
attraverso i corridoi della politica,
chi ha preteso che venisse inserita
nel listino bloccato del governatore
togliendo il posto a qualche autore-
vole esponente della società civile
non proprio in grado di accaparrarsi
le preferenze, ma quanto utile a dare
un apporto costruttivo alla politica
regionale?
Ecco, due casi che in altri tempi,
quando i partiti erano “veri”, cioè
strumenti di attivazione del consen-
so e costruttori di democrazia, dei
quali si sarebbe a lungo discusso a
lungo negli organismi interni.
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2
di
GENNARO MALGIERI
Se si è praticata a lungo
la politica delle parole
senza idee,
non supportata cioè
da una cultura
che rispecchiasse
riferimenti sociali
ed individuali radicati,
è difficile riprendere
il bandolo della matassa
di
ARTURO DIACONALE
Dopo l’abolizione
delle province,
arriva la moda
delle macroregioni.
Ma chi le teorizza pensa
in realtà solo a quella
del Nord e del resto
del paese se ne infischia
allegramente, lasciandolo
in balia di se stesso
Elettori Pdl: il 32%vuole la scissione
K
«
Non sarebbe opportuno
presentarsi, almeno su Roma, con la
lista Pdl. Soprattutto nel Lazio ci
sono segnali negativi e quindi biso-
gna presentarsi con una situazione
rinnovata». Lo ha detto Gianni Ale-
manno, esprimendosi ancora più
chiaramente di Silvio Berlusconi. Il
Cavaliere infatti fa ormai circolare la
notizia di essere pronto a dismettere
il Pdl. Il sindaco di Roma, invece, lo
dichiara direttamente alla stampa.
L’istituto di sondaggi Spincon.it ha chie-
sto perciò agli elettori che nel 2009
hanno votato per il Pdl cosa pensano
della possibile “scissione” del Popolo
della Libertà. Più della metà (il 50,7%) ri-
tiene che si debba insistere in quella che
molti analisti hanno chiamato “fusione a
freddo tra Forza Italia e Alleanza Nazio-
nale”. Mentre il 32,2% ritiene ormai fallito
l’esperimento e preferirebbe vedere due
partiti separati presentarsi alle elezioni. Il
17,1%
non si esprime. Una percentuale
piuttosto alta, che sottolinea l’enorme
confusione che alberga nei cuori degli
elettori (e non solo) di quello che è stato
il primo partito italiano.