Direttore ARTURO DIACONALE
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Mercoledì 7 Novembre 2012
delle Libertà
Legge elettorale: accordo in forse
In commissione al senato passa la proposta del 42,5% come soglia per il premio di maggioranza.
L’emendamento, firmato Francesco Rutelli, ha avuto l’ok di Lega, Pdl, Udc, Fli e Mpa. Niet di Pd e Idv
Non bastano le critiche, ai moderati servono idee
Il volto di dueAmeriche in attesa del loro destino
Quell’immenso oceano che separa noi e gli Usa
i si stupisce della mancata cre-
scita dei movimenti e dei grup-
pi che si richiamano all’esperienza
del governo tecnico e si collocano
al centro dello schieramento politico
italiano con il dichiarato intento di
realizzare un Monti bis all’indomani
delle prossime elezioni politiche. A
stretto rigore di logica queste forze
dovrebbero intercettare i consensi
in libera uscita da un Pdl ancora im-
merso nella propria crisi di uomini
e di indirizzo. E diventare, non solo
sul piano ideale ma anche su quello
numerico, il fulcro di una schiera-
mento moderato e di centrodestra
capace di rappresentare l’alternativa
credibile alla sinistra o di trattare
C
da pari a pari con la sinistra stessa
la prosecuzione della grande coali-
zione tenuta inseme dalle ragioni
superiori dell’emergenza.
Invece i vecchi ed i neo centristi,
dall’Udc di Pierferdinando Casini
ai gruppi che fanno capo a Luca di
Montezemolo, a Raffaele Bonanni
e ad alcuni ministri dell’esecutivo in
carica ( da Passera a Riccardi) , non
riescono ad intercettare un bel nulla.
Le elezioni siciliane hanno dimo-
strato che l’Udc di Casini non solo
non guadagna niente dalle lacera-
zioni del Pdl ma perde addirittura
una larga fetta dei voti che aveva
conquista nelle passate tornate elet-
torali. Ed i sondaggi aggiungono che
come i vetero-centristi anche quelli
di nuovo conio non riescono ad ac-
cendere un minimo di entusiasmo
o di semplice attenzione tra gli elet-
tori del centro destra spinti dalla de-
lusione a finire nell’astensione o dal-
la rabbia a sostenere la protesta di
Beppe Grillo.
Secondo Luigi Zingales, l’econo-
mista che insieme ad Oscar Gian-
nino e ad altri professori ed intel-
lettuali ha dato vita all’associazione
Fermare il Declino”, la ragione è
che questi vecchi e nuovi centristi
sono portatori di una sorta di
montismo disperato” che non può
in alcun modo fare breccia sul cor-
po elettorale. L’analisi è condivisi-
bile. Non si può offrire ad un pae-
se che ha bisogno di poter sperare
nel superamento della crisi la pro-
spettiva di sostituire Monti con
Monti perpetuando all’infinito
uno stato di emergenza che lo stes-
so Presidente del Consiglio defini-
sce “doloroso”. Ma non basta de-
nunciare il “montismo disperato”
di chi non ha altro progetto da
proporre al paese oltre la prose-
cuzione acritica dell’esperimento
dei tecnici al governo. Bisogna che
chi contesta la carenze progettuali
altrui affianchi alla propria legit-
tima critica anche un minimo ac-
cenno ad una qualche idea di...
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oro non sapevano ancora
quale fosse il risultato delle
elezioni presidenziali americane.
La cronaca dell’ultimo giorno pri-
ma del voto è un frenetico susse-
guirsi di notizie, comizi, trasferte
dei candidati negli stati in bilico,
lunghe code ai seggi della Florida
(
precipitata nel caos per un enne-
simo cambio di regole sul voto
anticipato).
Nonostante la tensione e il ca-
os, l’America riesce a reagire con
estrema disciplina. Non c’è biso-
gno di un Duce: i treni arrivano
in orario, anche quelli che attra-
versano le aree alluvionate arriva-
no precisi da spaccare il minuto.
L
E anche i candidati sono puntua-
lissimi, sui loro pullman itineranti.
Obama ha già tenuto il suo discor-
so finale in Virginia, sabato scorso.
«
È stata un emozione fortissima.
C’erano almeno 25mila persone,
tutto lo stadio pieno. Fuori, il traf-
fico delle auto era tale che si sten-
tava a raggiungere l’evento eletto-
rale, andando avanti a passo
d’uomo» ci raccontano due ragaz-
zi olandesi. Come tutti gli europei,
voterebbero subito il presidente in
carica se solo fossero cittadini
americani. Sono qui negli Usa per
curiosità elettorale”. Non sono
gli unici che, dal Vecchio Conti-
nente, arrivano in America per as-
sistere all’evento, o parteciparvi
direttamente. Nei servizi d’ordine,
fra i volontari dei due partiti, si
trovano anche cittadini di altri
paesi europei. Obama, come nel
2008,
catalizza maggiormente l’at-
tenzione degli stranieri, sia occi-
dentali che mediorientali. «Si può
contestare quanto si vuole la po-
litica estera del presidente, ma è
sempre meglio del vuoto che c’è
nel programma di Romney» – ci
dice una ragazza egiziana, di pro-
fessione reporter, temporaneamen-
te negli Usa per studio.
Mitt Romney e Paul Ryan sono
dei fenomeni americani. È difficile
capirli da questa parte dell’Ocea-
no. Fra i filo-repubblicani che fan-
no la coda per sentire l’ultimo co-
mizio del candidato alla Casa
Bianca, in uno stadio della George
Mason University, a Fairfax (Vir-
ginia), non c’era alcuna certezza
sui risultati usciti oggi. Nessuno
che ci abbia risposto con un «vin-
ceremo noi». La risposta tipica è
sempre stata: «Too close». Troppa
vicinanza fra i candidati per az-
zardare una previsione. Nonostan-
te l’incertezza sui risultati, su chi
potesse essere vincente o perdente,
i motivi per votare Romney invece
di Obama esistevano ed erano sen-
titi in modo molto viscerale.
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omunque vadano a finire, per
noi italiani queste elezioni ame-
ricane rimarranno una specie di mi-
stero insoluto. Per quanto avvincen-
te, appassionante, coinvolgente
possa essere l’agone elettorale a stel-
le e strisce, ci sarà sempre un oceano
di mezzo tra il nostro modo di con-
cepire la politica e l’
American way
.
Impossibile, infatti, non guardare al
di là dell’Atlantico senza provare un
briciolo d’invidia, o al contrario un
malcelato senso di superiorità, a se-
conda di quanto l’osservatore di-
sprezzi o idolatri quell’onnipresenza
ramificata dello stato nella vita quo-
tidiana che caratterizza la Vecchia
Europa, l’Italia soprattutto.
C
Da italiani politicamente corretti,
non potevamo fare a meno di tifare
per Barack Obama, il presidente che
forse più di ogni altro ha cercato di
europeizzare gli Stati Uniti introdu-
cendo un concetto di welfare state
che ben poco si attaglia al sogno
americano. Obama è il presidente
nero eletto per riscattare le mino-
ranze, gli oppressi, i deboli, gli ulti-
mi. Contro i ricchi crapuloni, cui
non potremo mai perdonare di es-
sere più ricchi di noi. Contro la fi-
nanza brutta e cattiva, dalla quale
non possiamo accettare la lezione
che non si può vivere al di sopra
delle proprie possibilità, tantomeno
con i soldi pubblici. Contro ogni
self made man
,
che, come lo stesso
Obama ha involontariamente riba-
dito in una delle sua gaffe più ce-
lebri, non avrebbero mai potuto
costruire nulla da soli senza uno
stato ad aiutarli. O, perché no?, a
limitarli nelle loro incomprensibili
manie di grandezza.
Sarà forse il nostro retaggio da
medioevo feudale a farci battere il
cuore per il cavaliere senza macchia
che difende le vedove e gli orfani,
e la nostra cultura ancora così ra-
dicatamente cattolica a mandarci
in sollucchero per ogni Madre Te-
resa in doppiopetto che ci indottri-
ni alla morale della condivisione
caritatevole. Non comprenderemo
mai fino in fondo le ragioni dell’al-
tro, Mitt Romney, l’uomo d’affari
ricco e di successo (entrambe colpe
gravissime) che difende a spada
tratta quel “diritto alla felicità” dal
sapore così tanto americano. Trop-
po americano, per non preferirgli
la versione edulcorata e buonista
di un Obama qualunque.
Ci apparirà sempre come un re-
bus il diritto di ogni cittadino ad in-
seguire i propri sogni e realizzarli
con le sole proprie forze, senza che
qualche grigio burocrate venga a
mettergli i bastoni tra le ruote in no-
me di un non meglio specificato be-
ne comune o, ancora peggio...
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2
di
ARTURO DIACONALE
Servirebbe un centrismo
in grado di raccolgliere
i frutti dell’attuale
governo. Queste forze
dovrebbero intercettare
i consensi in uscita
dal centrodestra
per diventare una forza
capace di rappresentare
l’alternativa alla sinistra
di
STEFANO MAGNI
Notte prima degli esami.
Ecco come i supporter
del partito democratico
e di quello repubblicano
hanno vissuto la vigilia
del voto presidenziale.
Tutti i sogni, le speranze,
le emozioni e le paure
del “giorno più lungo”
per gli Stati Uniti
di
LUCA PAUTASSO
Non comprenderemo
mai Mitt Romney,
il manager di successo
che difende quel “diritto
alla felicità”dal sapore
così tanto americano.
Troppo americano,
per non preferirgli
la versione edulcorata
e buonista di Obama