II
POLITICA
II
Il casomarò tra disinformazione e propaganda
di
LUCA PAUTASSO
ul caso marò, il principale osta-
colo è la disinformazione. Specie
quella che galoppa sul web. Tesi dif-
ficilmente verificabili, spesso viziate
da opinioni di pancia, considerazioni
ideologiche, vis polemica o mero de-
siderio di fare gossip.
In questo panorama si inserisce
la sedicente inchiesta pubblicata sul
sito web di “Wu Ming Foundation”,
che negli ultimi giorni sta godendo
di una particolare fortuna in rete. Il
collettivo di scrittori, noto ai più per
le traduzioni dei romanzi di Stephen
King, non è nuovo ad abbracciare
campagne d’opinione estemporanee,
anche ai limiti dell’assurdo. Come,
ad esempio, quella contro l’enciclo-
pedia demenziale on-line “Nonci-
clopedia”, accusata dagli scrittori di
antisemitismo e «mentalità fascista».
O quella contro il Banco Alimenta-
re, boicottato perché «è di CL».
Stavolta a scatenare la fantasia
dietrologica degli scrittori è una ri-
costruzione giornalistica del sito
Web China Files”. Un articolo nel
quale si tenta di ripercorrere passo
dopo passo la vicenda che vede
coinvolti i due fucilieri di Marina,
evidenziando la superficialità dei
media nel raccontare l’accaduto, il
diffuso disinteresse della stampa na-
zionale e gli errori marchiani com-
messi dalla diplomazia italiana nel-
l’approcciarsi alle autorità indiane.
Peccato che lo stesso articolo non
resista alla tentazione di mescolare
all’analisi dei fatti una serie di con-
siderazioni a sfondo politico, rico-
struzioni imprecise e avventate, non-
ché una vera e propria campagna di
discredito delle fonti che riportano
ricostruzioni alternative. E così l’in-
tero servizio si trasforma nelle mani
del collettivo Wu Ming in un facile
grimaldello ideologico per condan-
nare senza appello i due marò e tac-
ciare di partigianeria e faziosità
chiunque sollevi qualche dubbio.
Eppure, di domande senza rispo-
sta ne restano molte. Troppe, per af-
S
fidarsi acriticamente alle ricostru-
zioni diffuse dalle autorità di Nuova
Delhi. Troppe anche per sbilanciarsi
a priori in condanne o assoluzioni
in mancanza di una seria inchiesta
giudiziaria. Anche perché sulle spalle
dei pescatori uccisi e dei loro pre-
sunti assassini si gioca una delica-
tissima partita diplomatica che va
ben oltre la sparatoria del 15 feb-
braio 2011. A cominciare dagli ap-
palti multimilionari in ballo tra le
aziende italiane e nel settore della
difesa e della cantieristica e il gover-
no indiano. Per finire con le pesanti
implicazioni politiche per un paese
come l’India, in cui una parte con-
sistente dell’opinione pubblica con-
sidera qualunque tipo di concessione
all’Italia un regalo a Sonia Gandhi,
presidente del Partito del Congresso
Indiano, accusata dagli avversari di
favoritismi” verso il suo paese
d’origine.
Su tutto questo pesa in primis il
nodo della giurisdizione. A chi com-
pete giudicare i fucilieri Massimilia-
no Latorre e Salvatore Girone? Il
comandante della petroliera Enrica
Lexie, l’equipaggio e lo stesso arma-
tore hanno sempre sostenuto che al
momento dei fatti la nave si trovava
in acque internazionali, ad oltre 30
miglia dalle coste del Kerala. Per le
autorità dello stato indiano, invece,
questa si trovava invece nella cosid-
detta “zona contigua”, all’interno
della quale lo stato ha ancora diritto
di far valere la propria giurisdizione.
In ogni caso, l’India non ha titolo
per trattenere i due militari italiani:
secondo la convenzione di Montego
Bay del 1982, infatti, «uno stato
non può fermare o abbordare navi
battenti bandiera straniera». Inoltre,
in forza del Codice Militare di Pace
e della legge 131/11, i due marò del
San Marco sono a tutti gli effetti or-
gani dello stato italiano, e pertanto
intoccabili dalla giurisdizione stra-
niera.
Ma non basta: come riportato
dal giornalista Fausto Biloslavo, la
stessa cattura della petroliera italiana
e dei militari imbarcati sarebbe frut-
to di un tranello. S.P.S. Basra, co-
mandante della Guardia Costiera
dell’India occidentale, si è pubblica-
mente vantato di aver attuato «una
tattica ingegnosa», per attirare la
Enrica Lexie nel porto di Kochi:
«
Eravamo nel buio più completo ri-
guardo a chi avesse potuto sparare
ai pescatori. Grazie ai sistemi radar
abbiamo localizzato quattro navi
che si trovavano in un raggio fra 40
e 60 miglia nautiche dal luogo del-
l’incidente», ha spiegato l’alto uffi-
ciale. Gli indiani, riporta Biloslavo,
avrebbero dapprima chiesto via ra-
dio se qualcuno «avesse respinto per
caso un attacco dei pirati», doman-
da alla quale solo gli italiani hanno
rispondono positivamente. «Quello
che Basra non dice - spiega il gior-
nalista - è l’inganno comunicato via
radio: “Tornate in porto per rico-
noscere i pirati”».
Enormi contraddizioni emergono
poi dalla ricostruzione dei fatti. Co-
me riferisce Arduino Paniccia, pro-
fessore di Studi Strategici all’Univer-
sità di Trieste, «i verbali della polizia
e della Guardia Costiera di Kochi
riportano che il peschereccio St. An-
tony con le due vittime a bordo è
rientrato in porto alle 18:20. A quel-
l’ora il sole a Kochi era ancora ab-
bastanza alto, essendo tramontato
alle 19:47. Dunque, secondo le au-
torità il mesto ritorno del pesche-
reccio sarebbe avvenuto alla luce del
sole. Peccato che i filmati delle tele-
visioni locali che registravano l’even-
to siano stati girati alle 22:30, in pie-
na notte, come attestato dagli stessi
reporter indiani e riscontrabile su
YouTube
».
Grosse inconguenze anche sul
numerodi colpi sparati. Per l’India,
sul peschereccio (poi affondato in
un incidente poco chiaro nelle set-
timane successive alla sparatoria,
rendendo quindi impossibile ogni
successivo rilievo) si sarebbero tro-
vati i fori di 16 proiettili, oltre ai
quattro che hanno ucciso i due pe-
scatori, su un totale di oltre 60 colpi
che sarebbero stati sparati dai mili-
tari italiani. Latorre e Girone, però,
hanno esploso complessivamente 20
colpi a scopo di avvertimento, in
aria e in acqua, a distanze di 500,
300
e 100 metri, così come prevede
il protocollo di ingaggio in caso di
sospetto attacco pirata. Il numero
dei colpi esplosi è confermato dalle
registrazioni di bordo e dalle suc-
cessive verifiche sul munizionamen-
to. E risulta alquanto improbabile
che due militari d’esperienza perfet-
tamente addestrati possano aver col-
pito accidentalmente il natante so-
spetto con tutti e 20 i colpi esplosi
in aria e in acqua.
Le autorità indiane, inoltre, si so-
no rifiutate di mostrare i corpi pe-
scatori, poi cremati dopo breve tem-
po in ossequio alle usanze locali.
Dubbi anche sugli esiti dell’autopsia
commissionata dal tribunale, che ri-
porta il rinvenimento di un proiettile
di un calibro riferibile al 7,62 x 54,
di fabbricazione sovietica, totalmen-
te diverso dunque dal 5,56 x 45
adottato dalle forze armate della
Nato, Italia compresa. Eppure, la
perizia conclusiva depositata in tri-
bunale fa inspiegabilmente riferi-
mento al nuovissimo fucile d’assalto
Arx 160, in dotazione sperimentale
alle forze speciali italiane, ma non
ai fucilieri del San Marco, armati in-
vece con i più vecchi Ar 70/90. Cu-
rioso anche il fatto che ai maggiori
dell’Arma dei Carabinieri Paolo Fra-
tini e Luca Flebus, periti balistici di
parte italiana, sia stato concesso di
assistere solo ai test di tiro sulle armi
prelevate a bordo dell’Enrica Lexie.
Dieci indizi non fanno una pro-
va, ma l’atteggiamento delle autorità
indiane dovrebbe far sorgere più di
un dubbio circa l’effettiva buona fe-
de. E imporre una linea più ferma
di quella adottata finora, che ha
fruttato solo dilazioni e figuracce.
Invece a sfavore dei due marò ha
giocato anche l’atteggiamento re-
missivo della diplomazia italiana,
che nell’intento di mostrarsi colla-
borativa nei confronti delle autorità
del Kerala ha finito per rivelarsi au-
tolesionista. Come nel caso dei 10
milioni di rupie versati alle famiglie
dei pescatori uccisi: «Un atto di ge-
nerosità», come ha spiegato il mi-
nistro della Difesa, Giampaolo Di
Paola, interpretato però dai media
indiani come una palese ammissione
di colpa. O come per il “riscatto” di
30
milioni per il rientro in patria
della Enrica Lexie. Un errore anche
non presentare una controperizia,
avallando pedissequamente quella
dell’accusa, forse nel goffo tentativo
di apparire concilianti e affrettare
così lo scioglimento del nodo giuri-
sdizionale. Senza contare l’autogol
diplomatico di affidare la trattativa
al sottosegretario di stato Staffan
De Mistura, considerato dall’India
un “amico del Pakistan”, acerrimo
rivale di Nuova Delhi. Gravissimo,
poi, non aver esercitato poi la giusta
pressione in sede europea, alle Na-
zioni Unite, o con gli Stati Uniti,
usando la leva politica della parte-
cipazione alle missioni internazionali
per richiedere un supporto fattivo
contro le palesi violazioni del Diritto
Internazionale da parte indiana. Pro-
verbiale in proposito la gaffe della
baronessa Ashton, capo della diplo-
mazia di Bruxelles, talmente disin-
formata sui fatti da definire i due
marò
«
contractors»
.
Così, a dispetto della contraddit-
torietà dell’impianto accusatorio, la
traballante tesi indiana continua ad
essere l’unica contemplata tanto dal-
la diplomazia quanto dai media. An-
che se qualcuno, come il giornalista
Biloslavo, ha provato a percorrere
la pista cingalese. Dal 1980 ad oggi,
infatti, sono stati 530 i pescatori in-
diani uccisi dalla marina dello Sri
Lanka in una guerra mai dichiarata
per il controllo delle zone di pesca,
tra odio etnico, interessi economici,
ragioni strategiche e realpolitik. E
l’insistenza indiana nel dissimulare
questa crisi perseguendo i due marò
anche a fronte dell’inconsistenza del-
le accuse, avrebbe dovuto per lo me-
no suscitare qualche perplessità.
segue dalla prima
Il progetto di Monti
(...)
Monti, invece, punta su uno schema
esattamente opposto. Che non è quello dei
suoi alleati nostalgici del centrismo demo-
cristiano della Prima Repubblica ma che
è ispirato ad una visione, per la verità ab-
bastanza confusa, di una Terza Repubblica
fondata non solo sul superamento del bi-
polarismo ma sul superamento dello stesso
sistema dei partiti.
Monti, in altri termini, cerca di conquistare
consensi nell’area dell’astensione lanciando
un messaggio di antipolitica che propone
di ridurre il ruolo dei partiti nella demo-
crazia italiana (a partire da quelli della sua
stessa coalizione che mortifica con richieste
destinate in altri tempi ad essere definite
di stampo bonapartista) e prospetta la ne-
cessità di creare una Terza Repubblica in
cui le forze politiche tradizionali vengano
progressivamente sostituite non da tutti i
corpi intermedi della società nazionale
(
neo-corporativismo) ma solo da quelli che
per censo, ruolo e potere possono permet-
tersi di fare a meno di qualsiasi investitura
popolare. Non è un caso che una parte dei
consensi attribuiti a Monti, secondo i son-
daggisti, provenga dall’area dei simpatiz-
zanti di Beppe Grillo. Perché il vero soste-
nitore dell’antipolitica non è il comico ge-
novese ma il professore della Bocconi. Che
propone di liquidare la Repubblica dei par-
titi e di sostituirla con la Repubblica degli
ottimati. Purché, ovviamente, scelti da lui!
ARTURO DIACONALE
I marò e la Carta
(...)
Inoltre la Corte Costituzionale con
Sentenza n. 223 del 27 giugno 1996 ha ri-
tenuto che la semplice garanzia formale
che non verrà applicata la pena di morte
è insufficiente alla concessione dell’estra-
dizione. Più nello specifico la Suprema
Corte si è espressa attraverso la Sezione
VI, Sentenza n. 45253 del 22/11/2005, af-
fermando che «ai fini della pronunzia fa-
vorevole all’estradizione, è richiesta la do-
cumentata sussistenza e la valutazione dei
gravi indizi di colpevolezza a carico del-
l’estradando (...) che essa espressamente
condizioni l’estradizione alla sussistenza
dei gravi indizi: in regime convenzionale,
invero, la sussistenza dei gravi indizi di rei-
tà va incontrovertibilmente presunta dai
documenti che la Convenzione indica».
Di conseguenza l’accordo di riconsegna
all’India di Massimiliano Latorre e Salva-
tore Girone era nullo, in quanto in aperto
contrasto con il Dettato costituzionale,
consolidato dalla prassi. Chi se ne assunto
la responsabilità potrebbe essere incorso
reati di “attentato alla Costituzione” e/o
alto tradimento”. Non parliamo, poi,
del giudizio creativo della magistratura
che non ha ravvisato pericolo di fuga,
quando era noto che i due militari dopo
l’interrogatorio” si sarebbero imbarcati
per l’India. In un sol colpo si è di fatto ri-
conosciuta la competenza indiana sul caso
e, rinunziando alla giurisdizione, si è leso
il concetto di sovranità di cui essa è
espressione.
Naturalmente la stampa filogovernativa
si è già scatenata, cercando di sminuire la
portata e la valenza della analisi tecnica
di Luigi Di Stefano, che, smontando pezzo
per pezzo le manipolazioni della “giustizia”
del Kerala, ne mette in evidenza la totale
strumentalizzazione per finalità spurie alle
quali l’Italia per “superiori ragioni” sembra
con “basso profilo” essere succube e prona,
disposta a sacrificare due suoi cittadini in
uniforme, la sua dignità nazionale, la sua
stessa sovranità. Nel merito dell’eccellente
lavoro di Luigi Di Stefano torneremo con
altri articoli.
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MARTEDÌ 8 GENNAIO 2013
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