Pagina 2 - Opinione del 8-8-2012

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II
POLITICA
II
Cari trentenni, non siete perduti: siete solo assenti
di
LUCA PAUTASSO
e c’è una cosa peggiore dell’essere
una generazione perduta, è dover
essere rappresentati e difesi da quelli
di Generazione Perduta. Già, perché
se c’è una cosa peggiore dell’essere
parte di una generazione di cialtroni,
e quella di essere rappresentati pro-
prio dai più cialtroni di tutti.
Ecco, non so dirvi se il presidente
del Consiglio abbia veramente detto
che la generazione dei trenta-qua-
rantenni italiana ormai è da consi-
derarsi completamente persa in par-
tenza, un po’ come la prima ondata
di fanti americani sulla battigia di
Omaha Beach, o se la frase gli sia
solo stata attribuita da una delle tan-
te voci internettiane, come ormai è
prassi consolidata in Italia. Non lo
so, e francamente non mi interessa
più di tanto. Anzi, spero che l’abbia
pronunciata per davvero. Anche se
io, al posto di Mario Monti, più che
di generazione perduta avrei parlato
proprio di generazione di cialtroni.
Perché nel mio vocabolario i perduti
sono quelli senza speranza, mentre
i cialtroni sono quelli che di speran-
ze ne hanno (magari pochissime, ok,
ma ne hanno), il problema è che
non importa loro nulla di nulla.
Diciamoci la verità, miei piccoli
amici trentenni o giù di lì: tutto
sommato non ve ne frega un cazzo
(e scusate se ho scritto la parola “ve-
rità”, visto che vi fa tanto male).
Non ve ne importa nulla né della
laurea o di quanto ci impiegherete
a conseguirla, né del lavoro o se ne
troverete mai uno decente, né di far-
vi una famiglia o se lascerete mai
quella dei vostri genitori per farvene
una per conto vostro. Perché tanto
c’è sempre una giustificazione a por-
tata di mano che potrete sventolare
alla bisogna davanti al vostro enne-
simo fallimento: la crisi economica,
Silvio Berlusconi, Mario Monti, Ma-
rio Draghi, Mario Balotelli, le ban-
che, Silvio Berlusconi, il Terzo Mon-
do con tutta la sua fame e le sue
malattie, l’omofobia di Cassano, Sil-
S
vio Berlusconi, il complotto dei ret-
tiliani, gli amici Maria De Filippi,
senza dimenticare Silvio Berlusconi.
Prova ne sia che quelli che si laurea-
no in tempo mentre contempora-
neamente lavorano otto ore al gior-
no (perché non si iscrivono su
Facebook a pagine di zecche frustra-
te facili al piagnisteo in cerca di as-
sistenzialismo da prima repubblica,
come invece piace fare a voi) si spo-
sano a 26 anni, e trovano presto un
lavoro di tutto rispetto e uno stipen-
dio dignitosissimo con il quale po-
tranno realizzare per loro e per i lo-
ro figli tutti i desideri che voi potrete
solo scrivere sul diario di Poochie.
E poi arrivano quelli di “Gene-
razione perduta”. I movimentisti
della domenica di cui non si sentiva
la mancanza, che si sbracciano per
mendicare un briciolo di attenzione
spolverando una retorica a metà tra
il Bar dello sport e l’oratorio San
Carlo, dicendo che è arrivato il mo-
mento di dire basta. A cosa non si
sa, non lo dicono mai, l’importante
è dire basta. Il presidente del Con-
siglio dice che la loro è una genera-
zione perduta e questi rispondono
che non hanno perso, è solo che non
hanno ancora cominciato a giocare.
Ma siamo seri: avete trentacinque
anni, non più uno straccio di capello
in testa, un lavoro pietoso e persino
l’esistenza dei lemming è più accat-
tivante delle vostre, e vi sentite anche
in dovere di arringare le folle an-
nunciando che non siete sfigati den-
tro, è solo che non avete ancora co-
minciato a giocare? Si può sapere,
di grazia, che cosa accidenti aspet-
tate? Che l’arbitro fischi il 90°? O
che il presidente del Consiglio di cui
sopra faccia un favore al mondo,
ma soprattutto a me, mandandovi
tutti quanti in miniera a grattare il
talco a mani nude? Queste vostre
mobilitazioni di maniera sono utili
quanto un secondo sfintere sul go-
mito. Avreste dato un esempio mi-
gliore tacendo, lavorando sodo, fa-
cendo qualche sacrificio in più e
rendendo un modello la vostra vita,
non le vostre chiacchiere.
Giurin giurello, ci ho provato ad
essere accomodante con voi. Sono
andato addirittura a leggermi il vo-
sto manifesto. Solo per scoprire poi
che non solo avevo ragione a dare
di matto, ma che non l’avevo fatto
a sufficienza. È tutto un profluvio
di “impegniamoci”, “prendiamo in
mano il nostro destino”, “facciamo
la nostra parte”, “è il nostro mo-
mento”, “tocca a noi”, “a chi, a
me?”, “no, prima tu”, “vabbè, fac-
ciamo che partiamo insieme”, “ok,
al mio tre: uno, due…no aspetta” e
così via. Scusate, ma fino ad oggi
dove accidenti siete stati? A lambic-
carvi il cerebro chiusi dentro una
cassapanca in arte povera? Avete
dovuto aspettare le soglie dell’an-
dropausa perché tra la segatura che
riempie gli spazi vuoti della vostra
scatola cranica si insinuasse il tarlo
del dubbio che forse tutti quanti al
mondo hanno uno scopo che va ben
oltre l’happy hour del venerdì? Non
uno straccio di proposta concreta,
non uno che almeno mostri un po’
di coraggio e dica: «Mi sento pronto
a cambiare le cose, se credete in me
votatemi». Eh, no. Sarebbe troppo
complicato, troppo impegnativo,
troppo concreto. Troppo vero.
Ma andiamo avanti. Perché par-
late anche di merito, meritocrazia e
altre cose belle di quel tipo lì. Con
un tono, però, che lascia un retro-
gusto cattivo: nel senso che il “me-
rito”, così come sembra lo intendia-
te voi, è “quella cosa che fa sì che io
lavori e abbia uno stipendio, e poi
chissenefrega di cosa so fare o quan-
to sono capace”. E la vostra mobi-
litazione ha tutta l’aria del mero ten-
tativo di saltare qualche posto nella
fila per arrivare prima, e basta. Eh
già.
E poi avete anche il coraggio di
mettere al primo punto del manife-
sto che pretendete rispetto. Ma ri-
spetto per che cosa? Perché riuscite
a non scoppiarvi a ridere in faccia
ogni volta che vi guardate riflessi
dentro l’acqua del water? Siete quelli
che hanno paura del precariato, che
temono di dover lavorare tutta una
vita a 800 euro al mese e poi twit-
tano i loro crucci esistenziali da un
iPhone che ne costa 700, o che ma-
gari avete anche comprato a rate,
pagandolo 900. Se 140 caratteri non
vi bastassero per sfogare tutta la vo-
stra frustrazione, sareste addirittura
capaci di sfanalarcela in morse dai
fari della vostra Mini Cooper (ma
solo perché la Panda vi fa schifo).
Ho sempre detestato quelli che
dicono: «Mi vergogno di essere ita-
liano, questo paese fa schifo, voglio
andarmene all’estero e non tornare
mai più», e poi però restano sempre
qui fra i piedi, a rubarci l’aria buona
delle nostre belle Alpi e del nostro
bel Mediterraneo, perché la verità è
che non hanno nessuna soluzione
in tasca, ma sono solo parte del pro-
blema. E poi all’estero chi li vorreb-
be? Non li prenderebbero nemmeno
in Sudan per allenarsi nelle lapida-
zioni. Ho sempre detestato quelli
che odiano il proprio paese, figurarsi
cosa penso di quelli che lo amano
solo a parole. E comincio ad essere
un po’ stufo di tutti questi ggggio-
vani con tante g e nessuna proposta
decente.
Dite che il mondo non è solo
bianco o nero, giusto o sbagliato,
ma che ci sono anche tante sfuma-
ture di grigio, e questo grigio è il vo-
stro alibi per non essere mai né
l’uno né l’altro. Quando il vostro
mojito ha poco ghiaccio o troppa
menta sapete farvi valere, ma quan-
do si tratta di cose serie vi sentite in
diritto di aspettare che siano gli altri
a risolvere i problemi al posto vo-
stro, mentre voi ostentate discese in
campo fittizie che durano quanto
un post su un blog. Avete più rispet-
to persino per i beagle di Green Hill
che per le vostre battaglie. E tutto
sommato non dovreste lamentarvi,
visto che nonostante tutto la vostra
sorte è immeritatamente migliore
della loro.
Non mi sono mai sentito perdu-
to, ma ho cominciato a farlo quan-
do vi ho sentiti parlare. Quando vi
ho sentito dire che vorreste essere la
spina dorsale del paese, senza però
mostrare un briciolo di midollo. Mi
sono sentito stanco, sfiduciato, ab-
battuto, e anche un po’ depresso.
Tranquilli, mi farò una ragione an-
che di questo. Quello che mi manda
in bestia per davvero non è tanto
che piangiate ma non abbiate voglia
di fare niente per risollevarvi, perché
niente è quello che sapete fare. Mi
urta soltanto il pensiero che fra dieci
anni potrei anche dovervi pagare il
Tavernello con i sussidi presi dalle
mie tasse.
segue dalla prima
I riti bizantini
del proporzionale
(...) Chi si lamentava della scarsa coesione
delle coalizioni del maggioritario sarà dunque
costretto a registrare la conflittualità ende-
mica delle coalizioni del proporzionale. Come
e peggio di quelle della Prima Repubblica,
che perlomeno operavano in un quadro di
certezze internazionali imposto dalla guerra
fredda e della divisione dei blocchi e non nel-
la bufera delle incertezze provocata dalla dis-
soluzione dell’Europa, dalla fine dell’egemo-
nia americana e dal ritorno agli egoismi
nazionali.
E non basta. Perché oltre alla conflittualità
tra partiti condannati alla collaborazione go-
vernativa prima del voto, il ritorno al pro-
porzionale renderà, come avveniva nella Pri-
ma Repubblica, lenta, faticosa e tormentata
la fase della formazione del nuovo governo.
Dopo essersi insultati per mesi e mesi Bersani,
Casini ed Alfano e Berlusconi dovranno con-
cordare la composizione dell’esecutivo de-
stinato a guidare il paese nel pieno della crisi
economica. Qualche furbacchione da stra-
pazzo sogna il ritorno ai riti estenuanti del
vecchio regime democristiano nella convin-
zione di poter strappare qualche privilegio
personale. Ma ha sbagliato epoca. Perché i
mercati non staranno a guardare i riti bizan-
tini dell’Italia dei vecchi marpioni. E quando
approfitteranno per speculare sul vuoto po-
litico italiano dovuto al ritorno al passato,
la democrazia nel nostro paese sarà fatal-
mente compromessa.
ARTURO DIACONALE
La tentazione
della popolarità
(...) Con l’unica eccezione di una riforma pre-
videnziale che, ahinoi, al momento rappre-
senta l’unica provvedimento serio nel campo
della riduzione della spesa pubblica, seppur
a regime. Ma per il resto, il fritto misto di
misure adottate in questi ultimi mesi, espres-
sione evidente di un continuo ed estenuante
compromesso con i partiti della strana mag-
gioranza che sostiene il governo, non ha si-
curamente gettato le basi per, quanto meno,
alleggerire il nostro traballante sistema eco-
nomico. Ed il fatto che pure Monti, seguendo
in questo la nefasta tradizione delle prece-
denti amministrazioni di qualunque colore,
abbia spalmato nel tempo molti provvedi-
menti concernenti la cosiddetta spending re-
view, posticipando gran parte dei tagli alla
prossima legislatura, segnala l’intenzione di
continuare a dare un colpo al cerchio ed uno
alla botte, con lo scopo di guardare più al
tasso di popolarità che non a quello dei nostri
proibitivi interessi da pagare. Un risultato
ben misero rispetto a ciò che il celebrato ac-
cademico sembrava voler realizzare.
CLAUDIO ROMITI
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L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 8 AGOSTO 2012
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