Pagina 5 - Opinione del 8-8-2012

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II
ESTERI
II
Come islamizzare la Nigeria
a suon di massacri di cristiani
di
STEFANO MAGNI
oko Haram, la setta fonda-
mentalista islamica della Ni-
geria, alza il tiro, minacciando il
presidente e colpendo una chiesa
evangelica in uno stato del Sud,
ben al di fuori del territorio a mag-
gioranza musulmana.
La chiesa colpita si trova a Oti-
te, nei pressi della città di Okene,
nello stato di Kogi, Nigeria meri-
dionale. Non si tratta, naturalmen-
te, di una zona del tutto libera dal
terrorismo islamico. L’aprile scorso,
nei dintorni di Okene, la polizia
aveva trovato e distrutto una fab-
brica di armi di Boko Haram. Nel-
lo scontro erano morti 9 jihadisti.
Sempre nello stato di Kogi, lo scor-
so febbraio, l’organizzazione ter-
rorista aveva attaccato un carcere,
liberando 119 detenuti. Tuttavia,
il Sud nigeriano si era, finora, di-
mostrato immune ai numerosi at-
tacchi contro i fedeli cristiani. Que-
sta volta, invece, un gruppo di
uomini armati ha fatto irruzione
nella chiesa evangelica di Otite,
sparando a bruciapelo sul pastore
e sui fedeli, provocando almeno 19
morti. E il bilancio è ancora prov-
visorio.
Il massacro segue di soli 3 gior-
ni un vero e proprio ultimatum
lanciato da Boko Haram al presi-
dente della Nigeria, Goodluck Jo-
nathan, cristiano. Con un video,
B
mandato online sabato scorso, il
leader della setta fondamentalista,
Mallam Abubakar Shekau, intima-
va al capo di Stato di convertirsi
all’Islam e lasciare il potere: «Mi
rivolgo a te, presidente Goodluck
Jonathan: devi lasciare questo po-
tere senza Dio, devi pentirti e rin-
negare la Cristianità, compreso il
presidente Obama, secondo il qua-
le io ho interessi negli Stati Uniti».
Quest’ultimo passaggio del mes-
saggio si riferisce all’inclusione di
Shekau nella lista nera dei terroristi
del Dipartimento di Stato, cosa che
comporta il congelamento di tutti
i suoi beni eventualmente indivi-
duati negli Usa. Washington, tut-
tavia, non ha incluso Boko Haram
nella lista nera delle organizzazioni
terroriste. Cosa che ha sollevato
non pochi risentimenti fra i cristia-
ni nigeriani, che si sentono abban-
donati. Il governo federale, inter-
rogato in merito dal Congresso, ha
risposto in termini sociologici:
«Boko Haram cresce a causa dei
problemi economici e sociali delle
regioni del Nord, che il governo
della Nigeria deve trovare il modo
di risolvere», ha dichiarato Johnny
Carson, vicesegretario agli Affari
Esteri del Dipartimento di Stato.
Se gli Usa di Barack Obama la-
titano, l’Europa che fa? «Esprimo
stupore e sconforto per l’esorta-
zione del gruppo fondamentalista
islamico Boko Haram al Presidente
della Nigeria Goodluck Jonathan
a dimettersi e a convertirsi all’islam
– scrive la deputata del PdL e gior-
nalista Fiamma Nirenstein in una
nota pubblicata ieri - Sono passate
solo poche settimane da quando
con le colleghe Souad Sbai ed Eu-
genia Roccella ho presentato una
risoluzione alla Camera nella quale
si impegna il governo italiano a
chiedere all’Onu di ricorrere all’in-
tervento dei Caschi blu per fermare
la mattanza di cristiani in Africa e
per proteggerne i luoghi di culto».
La Nirenstein ricorda che Boko
Haram ha già provocato 1600
morti dal 2009. E che «Non esi-
stono monete di scambio o tran-
sazioni valide con ideologie così
violente dove per le quali l’anta-
gonismo religioso è un carattere
fondamentale».
Damasco: eccola di nuovo, l’Asse del Male
K
Quel che avviene in Siria «Non è una questione interna ma
una lotta tra l’asse della resistenza (anti-Israele, ndr) e i nemici di
questo asse»: lo ha detto ieri, ad Assad, Said Jalili, inviato dell’Iran
Taranto oltre l’Ilva
Un’offerta dall’Asia
Ennesima strage
in una chiesa nigeriana.
Boko Haramminaccia
il presidente Jonathan.
Per Obama, la violenza
è solo un“problema
sociale”. Nuovo appello
di Fiamma Nirenstein
Romney sorpassa Obama
almeno nella raccolta fondi
lecito che i tarantini manifesti-
no per l’Ilva. Ma se quello che
cercano è la garanzia di un futuro,
dovrebbero mobilitarsi anche per
qualcos’altro. Ha fatto meno scal-
pore di quanto avrebbe meritato,
la notizia - uscita alla fine di aprile
- che un gigante di Hong Kong, la
multinazionale dei trasporti Hut-
chinson Whampoa, ha scelto Ta-
ranto per farne la propria porta
d’accesso all’Europa: un enorme
hub portuale deputato ad essere la
base logistica e il punto d’approdo
per l’enorme quantità di merce (4
milioni di container) che Hw vei-
cola ogni anno dall’Asia verso i
mercati europei. Per portarsi a casa
questo straordinario appalto l’Italia
ha giocato - e vinto - una partita
senza esclusione di colpi contro la
Grecia, che offriva agli asiatici un
porto, il Pireo, troppo ridotto. Ta-
ranto al contrario ha spazio per
molte banchine ed ha alle spalle
una pianura che può essere trasfor-
mata in una base per l’industria di
trasformazione. A convincere defi-
nitivamente i cinesi poi, è stato l’im-
pegno formalmente assunto dal go-
verno a potenziare quelle
infrastrutture (scalo, ferrovie ed au-
tostrade), ritenute strategiche per
la funzionalità del porto e per il col-
legamento con il Nord. Un investi-
mento di circa 400 milioni di euro
che deve seguire una tabella di mar-
cia predeterminata: 24 mesi per
È
dragare ad almeno 16 metri e rea-
lizzare una nuova diga in grado di
ospitare le ultime generazioni di
portacontainers. Una nuova ban-
china in tempi appena più lunghi.
Miglioramento dei collegamenti
ferroviari con il Nord. E rimane da
risolvere anche la questione della
nuova pianificazione territoriale,
che l’accordo comporta. A fronte
di questo, i cinesi si sono impegnati
a garantire una cospicua movimen-
tazione merce (un milione di con-
tainer) anche a lavori in corso. Ma
intanto il tempo passa e, ad oggi,
di come stiano procedendo i lavori
non si sa nulla. E, vista la mole di
lavori da compiere e il limitato las-
so di tempo previsto dal contratto,
ogni settimana deve essere sfruttata.
Occorre vigilare affinché la storica
conflittualità locale e contorti im-
pedimenti burocrati non facciano
saltare il banco, come è già successo
con altri accordi firmati al vertice
dello Stato (su tutti, il ponte sullo
stretto di Messina). Se questo do-
vesse ripetersi sarebbe un vero pec-
cato: il nuovo porto trasformerebbe
Taranto, una città di 200mila abi-
tanti, in una metropoli da 800mila
persone. In un clima di tanta fru-
strazione, il progetto Hutchinson,
con le sue potenzialità economiche
ed occupazionali, è un faro di spe-
ranza per l’intero Mezzogiorno.
ELISA BORGHI
www.analisicina.it
a campagna presidenziale ne-
gli Usa sta per diventare la
più costosa della storia: 6 miliar-
di di dollari, secondo le ultime
proiezioni, potrebbero essere spe-
si di qui a novembre. Soldi, pri-
vati, sia chiaro: non c’è alcuno
spreco dei risparmi del contri-
buente, nessun aumento del de-
bito pubblico.
Quando il piccolo donatore o
il grande mecenate decide di tirar
fuori il portafogli, a chi preferisce
dare i suoi dollari? In termini as-
soluti, la campagna per la riele-
zione del presidente Barack Oba-
ma ha raccolto il doppio rispetto
a quella dello sfidante repubbli-
cano Mitt Romney. Il democra-
tico ha, infatti, raccolto 300 mi-
lioni e 135mila dollari, contro i
153 milioni e 537mila dollari di
Romney. Quanto ai soldi già spe-
si, la campagna democratica ha
già sborsato circa 205 milioni di
dollari, contro i circa 131 milioni
di dollari della campagna repub-
blicana. Certo, i democratici han-
no anche più debiti: 2 milioni e
400mila dollari, mentre il bilan-
cio dei repubblicani è in pareg-
gio. Ma la cassa della sinistra è
comunque più cospicua (97 mi-
lioni e mezzo di dollari a dispo-
sizione) rispetto a quella della de-
stra (22 milioni e mezzo).
Questa che abbiamo visto, pe-
rò, è solo una fotografia. Dob-
L
biamo invece guardare al “film”,
cioè alla tendenza della raccolta
fondi. E qui non possiamo fare
a meno di constatare un vantag-
gio crescente di Mitt Romney. A
luglio, per il terzo mese di fila, il
candidato repubblicano ha col-
lezionato più donazioni rispetto
al presidente uscente: 101 milioni
di dollari contro i 75 milioni del
rivale. In quest’ultimo mese, il
94% delle donazioni a favore di
Romney vengono da privati cit-
tadini e ammontano a meno di
250 dollari l’una. Certo sono sta-
ti determinanti i grandi donatori,
i Super Pacs (acronimo di Comi-
tati di Azione Politica), il cui ap-
porto costituisce il 75% del de-
naro complessivamente raccolto.
Obama vanta un maggior nume-
ro (sia in termini assoluti che re-
lativi) di piccoli donatori indivi-
duali: il 98% del totale, pari a
54 milioni di dollari, dunque i
due terzi della raccolta fondi.
Chi sono i grandi finanziato-
ri?
Secondo
il
sito
OpenSecrets.org “dietro a” Ba-
rack Obama vi sarebbero soprat-
tutto i colossi dell’informatica
(Microsoft e Google) e due uni-
versità (California e Harvard),
oltre allo studio legale interna-
zionale Dla Piper. “Dietro a”
Mitt Romney, invece, sono schie-
rate le tanto demonizzate grandi
banche: Goldman Sachs, JP Mor-
gan, Morgan Stanley, Bank of
America, Credit Suisse.
Nei prossimi giorni, Obama
cercherà di sfondare nel mondo
di Hollywood. Dopo l’endor-
sment dato da Clint Eastwood a
Mitt Romney, c’è da aspettarsi
che tutti gli altri registi, attori e
produttori lo diano a Obama.
Harvey Weinstein, uno dei mag-
giori produttori e distributori
mondiali, è in procinto di dare
un party per la raccolta fondi a
favore del presidente. Madrina
dell’evento sarà la popolarissima
attrice Anne Hathaway. Romney,
invece, resterà più coi piedi per
terra. È in procinto di iniziare un
tour di comizi negli stati ancora
indecisi: Virginia, Carolina del
Nord, Florida e Ohio.
(ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 8 AGOSTO 2012
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