Pagina 3 - Opinione del 08-9-2012

Versione HTML di base

elettori escludono una spartizione
a metà delle percentuali a livello na-
zionale. Senza soffermarsi sulle dif-
ferenze tra eletto e nominato
un’istantanea del genere non fa, ov-
viamente, che avvalorare l’idea di
un collegamento diretto tra qualità
della politica e modalità con cui il
candidato accede alle istituzioni e
confermare quanto la natura della
personalizzazione dei rapporti tra
elettore e candidato insita nel siste-
ma delle preferenze sia per lo più di
scambio reciproco, clanico-cliente-
lare e di condizionamento spesso
mafioso. Eppure i dati sulla distri-
buzione geografica delle inclinazioni
degli elettori al ricorso alle prefe-
renze non dovrebbero restringere
gli argini della discussione tanto da
presentare la scelta tra voto di pre-
ferenza e lista bloccata come l’an-
titesi risolutiva tra il bene ed il male.
Anche perché l’effettiva rappresen-
tatività tra cittadino ed eletti rap-
presenta una chimera, un’illusione
sulla di qualità dei rappresentanti
politici stessi. Più utile sganciare il
dibattito dalla logica dell’antinomia
tra “preferenza sì/ preferenza no” e
iniziare a parlare di “preferenza co-
me” sulla opzioni precorribili nel-
l’uso di questo strumento elettorale.
Prendendo come punto di inizio
quelle liste flessibili che consentono
all’elettore di esprimere un voto di
preferenza per un candidato fermo
restando che l’ordine della lista può
essere modificato a favore di uno o
più candidati soltanto a certe con-
dizioni: o, come accade in Austria,
se un nome raccoglie metà dei voti
necessari ad ottenere un quoziente
o un sesto dei voti raccolti dal par-
tito in una circoscrizione. Oppure,
nel caso del Belgio, a patto che il
numero dei voti personali sia pari
al totale dei voti ottenuti dal partito
diviso i seggi da distribuire più uno.
Più rigido il sistema in Finlandia e
in Polonia in cui è addirittura esclu-
so il voto di lista a favore di un uni-
co candidato presente nella lista
stessa. Il ventaglio di soluzioni tec-
niche percorribili, è senz’altro molto
ampio ma un tentativo di riflettere
seriamente su alcuni correttivi o ac-
corgimenti che salvino il salvabile
delle preferenze, salvaguardando de-
mocraticamente la responsabilità
del patito, la volontà dell’elettore e
di conseguenza la maggiore legitti-
mità dell’eletto, senza a avvilire il
voto politico e di opinione della li-
sta, è un esercizio, questo sì, per nul-
la ozioso.
stiche, frutto delle condizioni strut-
turali e culturali che informano il
rapporto tra elettorato e politici.
Anche i dati specifici regionali pun-
tellano la rappresentazione di un
paese uno e trino: «In Lombardia
– riporta il documento - su 100 elet-
tori che esprimono un voto di lista
valido solo 23 lo esprimono accom-
pagnandolo con l’indicazione di una
preferenza per un candidato. I tassi
di preferenza del Piemonte e del Ve-
neto sono invece piuttosto simili, ri-
spettivamente 35% e 35,2%. Il dato
della Liguria è, al ccontrario, più al-
to, precisamente del 42%». Interes-
sante e in apparenza incongruo il
dato sull’Emilia Romagna dove il
25,7% di assegnazione della prefe-
renza risente della passata tradizio-
nale presenza del Partito comunista
Italiano in cui la preferenza ideolo-
gica per il partito ha sempre preval-
so. Una percentuale non molto in-
feriore a quella della Toscana dove
l’ultima votazione regionale del
2000 ha registrato un 28,6%. In
Umbria e Marche, al contrario, i va-
lori si impennano rispettivamente
al 53% e al 49%, nel Lazio al 51%.
Il sud si conferma il territorio d’ado-
zione delle preferenze: in Campania
si è arrivati al 90,6%, in Calabria e
in Basilicata all’84% e all’85,9%,
per finire con un 75,7% della Pu-
glia. Sebbene, quindi, l’aggregazione
dei tassi di preferenza dell’elettorato
di tutte le regioni in cui si è votato
raggiunga un totale del 54,2% le
notevoli differenze geografiche nel
ricorso alla preferenza da parte degli
II
POLITICA
II
Preferenze sì, preferenze no:
l’Italia davanti ad un bivio
di
BARBARA ALESSANDRINI
a trattativa sul sistema elettorale
è ben lontana dall’avvicinarsi
ad un approdo certo. Nel ginepraio
delle rispettive convenienze, il Pd,
dopo l’uscita di Prodi («mai il pro-
porzionale»), in vista dell’alleanza
con Sel di Vendola, cerca di ottenere
un alto premio di maggioranza per
la coalizione vincente, mentre la cer-
tezza del Pdl di non riuscire alle
prossime elezioni ad impugnare la
vittoria spinge Berlusconi, tornato
per l’occasione a braccetto di Casini,
a puntare sul sistema tedesco pro-
porzionale che gli garantirebbe co-
munque di partecipare alla forma-
zione di un governo di larga
coalizione. Tanto più che, nell’ipo-
tesi di portare la votazione in aula
a palazzo Madama, alcuni parla-
mentari del Pd, potrebbero dare il
loro voto favorevole al ritorno al
proporzionale. La materia resta
dunque tutta sul tavolo delle trat-
tative e lo è anche un dibattito che,
dietro il nobile intento di interro-
garsi su come coniugare la riforma
elettorale e la qualità della politica,
nasconde i rispettivi appetiti parti-
tici e, a maggior ragione, dovrebbe
affrancarsi da un approccio miope
e dalle strettoie della semplicistica
contrapposizione tra lista bloccata
e voto di preferenza. Le scorciatoie
ideologiche e opportunistiche, di cui
fisiologicamente la politica si nutre,
conducono soltanto alla disinfor-
mazione, e troppo spesso strizzano
l’occhio alla richiesta da parte del-
l’elettorato di comode catalogazioni
manichee che stabiliscano illusori
paletti sulla modalità di voto mi-
gliore e più rappresentativa. Ovun-
que, tra i paladini del voto di pre-
ferenza, di cui la Regione Toscana
ha rappresentato l’avanguardia do-
po aver per prima inventato i ‘no-
minati’ dei listini bloccati, è un le-
vare di scudi a favore della
partecipazione dei votanti, del di-
ritto di accedere a strumenti che
consentano la scelta diretta dei loro
rappresentanti in Parlamento. Nel
2010 il presidente della Toscana En-
rico Rossi si dichiarava pronto sia
ad affossare l’esperienza delle pri-
marie che a spendersi personalmen-
te per la «riforma che consenta
l’espressione della preferenza unica»
o il collegio uninominale. Dichiara-
zione di intenti rilanciata a stretto
giro dall’Idv toscano che, con la
proposta di legge 21 prevede
l’abrogazione delle leggi elettorali
L
precedenti a favore della preferenza
unica e a scapito dello strumento
delle primarie definito «gravido di
costi che potrebbero essere evitati
proprio con il ripristino del voto di
preferenza». Sul perché mai si deb-
ba “affidare la scelta degli eletti alle
segreterie dei partiti e non ai citta-
dini” si è interrogato da subito il su-
per sindaco rottamatore Matteo
Renzi, il cui slogan “Un voto, una
preferenza, la mia nuova legge elet-
torale” ha cementato la strada del-
l’alternativa manichea fra il sistema
della preferenza e quello a scheda
bloccata. Un interessante tentativo
di strappare il confronto dall’ab-
beveratoio dei luoghi comuni pseu-
doriformatori è contenuto in un do-
cumento, curato dall’ex sindaco di
Grosseto del Pdl Alessandro Antichi,
che meriterebbe attenzione e do-
vrebbe uscire dall’ambito del dibat-
tito interno al gruppo consiliare del
Pdl toscano per accedere a quello
nazionale. I curatori del testo pon-
gono un quesito concreto: “Quanta
attinenza ha con la realtà e l’espe-
rienza pratica dell’uso della prefe-
renza in Italia l’assunto teorico che
la addita come il migliore strumento
alla partecipazione diretta dei vo-
tanti?” La risposta è che ci si dimen-
tica di considerare è che «gli elettori
italiani non si comportano nello
stesso modo di fronte alla possibilità
di far uso del voto di preferenza
personale. Poiché si tratta di prefe-
renza “facoltativa” (ovvero che
l’elettore può decidere di esprimere
o non esprimere a favore di un can-
didato, senza che la mancata espres-
sione abbia conseguenze sulla vali-
dità del voto di lista), di fatto accade
che l’elettorato abbia comportamen-
ti molto diversi secondo dell’area
geografica in cui risiede». Interes-
sante lo spaccato che ci viene resti-
tuito proprio dalle elezioni regionali
del 2010 che, ad eccezione della To-
scana e della Campania, fotografa
un’Italia ancora una volta spacchet-
tata in tre realtà: Un Nord in cui il
tasso di preferenza è arrivato al
30,2%, un Centro con il 41,5% e
il Sud che ha toccato la punta mas-
sima dell’80,3%. È più che legittimo
azzardare l’ipotesi che l’inclinazione
dell’elettore settentrionale e centrale
a premiare la lista con un voto di
opinione generalista tutt’al più con-
centrato sul candidato premier, man
mano che si scende lungo lo stivale,
ceda il passo alle scelte personali-
Alle ultime regionali,
al Nord il tasso
di preferenze è arrivato
al 30,2%, al Centro
al 41,5%, al Sud
ha toccato la punta
massima dell’80,3%.
È più che legittimo
azzardare l’ipotesi
che l’inclinazione
dell’elettore
settentrionale e centrale
a premiare la lista
con un voto di opinione
generalista, man mano
che si scende lungo
lo Stivale, ceda il passo
a scelte che sono frutto
delle condizioni
strutturali e culturali
che regolano il rapporto
tra elettorato e politici
TASSO DI PREFERENZE ESPRESSE (1995 - 2010)
1995 2000 2005
2010
PIEMONTE
16,8
34,4
41,3
35,0
LOMBARDIA
11,6
23,9
26,6
23,3
VENETO
16,3
33,4
39,1
35,2
LIGURIA
26,3
41,6
46,2
42,0
EMILIAROMAGNA
11,1
22,4
28,2
25,7
TOSCANA
15,4
28,6
0,0
0,0
UMBRIA
30,7
51,2
55,7
53,0
MARCHE
28,6
44,6
49,5
49,4
LAZIO
26,6
47,0
54,4
50,9
CAMPANIA
46,4
70,6
76,8
(90,6)*
PUGLIA
41,0
69,8
78,5
75,7
BASILICATA
63,4
85,8
89,6
85,9
CALABRIA
61,5
82,3
87,4
84,1
Media 12 regioni
56,1
54,2
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 8 SETTEMBRE 2012
3