II
POLITICA
II
Come riformare (ora) l’architettura delle Regioni
di
PIER ERNESTO IRMICI
*
l paradigma che più connota
l’Italia è Pinocchio perché, co-
me il burattino di Collodi che
sempre promette di fare il bravo
ragazzo, ma poi ogni volta smar-
risce la retta via, così in questo
nostro Paese capita spesso che ai
buoni propositi non corrisponda-
no realizzazioni effettive. È quello
che stiamo vedendo anche con il
governo Monti, che aveva pro-
messo insieme al rigore misure
per la crescita e l’equità, ma dopo
un anno gli italiani stanno pro-
vando sulla loro pelle solo gli ef-
fetti del rigore. Oggi, dunque,
dobbiamo essere incisivi e fare
quello che per troppo tempo non
abbiamo fatto, ma con assoluto
equilibrio altrimenti si raggiun-
geranno effetti opposti a quelli
sperati. In particolare dobbiamo
fare riforme strutturali profonde.
L’impegno che questo governo sta
sviluppando sulla
spending re-
view
rischia di diventare asfittico
se non inserito in un intervento
più ampio di modernizzazione del
sistema istituzionale e del paese
in generale. Anche le novità sugli
enti locali inserite nel decreto leg-
ge recentemente approvato senza
un rinnovamento profondo del-
l’intera architettura delle Regioni
e degli enti subregionali non
avranno l’impatto sperato. Pur-
troppo torna qui la metafora di
Pinocchio perché ad oggi, un po’
come il burattino, che non solo
non va più a scuola per andare a
I
divertirsi ma si vende per quattro
soldi pure l’abbecedario, le Re-
gioni non solo non hanno rispet-
tato lo spirito che nel 1970 le vo-
leva esclusivamente come enti di
programmazioni, ma anzi esse so-
no diventate centri di spesa a
pioggia, incontrollata, e per giun-
ta con la conservazione di tutte
le Province, che adesso in modo
un po’ maldestro il governo
Monti ha accorpato.
In quest’ottica, limitandoci alle
Regioni, che sono oggi gli enti
maggiormente posti sotto accusa,
si devono seriamente considerare
tre linee di intervento: 1) la loro
riduzione sulla base di criteri di
omogeneità territoriale con con-
fini socio-economico razionali (lo
studio della Fondazione Agnelli
che risale al 1996 ne prevede 12,
ma si potrebbe arrivare ad una
riduzione più drastica, vale a dire
sino a 4 macroregioni: Nord
Ovest, Nord Est, Italia Centrale
con la Sardegna e l’Italia Meri-
dionale con la Sicilia); 2) ricon-
durle alla loro funzione originaria
di enti legislativi e programmatori
(
tutta la parte gestionale deve es-
sere data in via esclusiva a comu-
ni, unioni di comuni, aree metro-
politane, etc, tutti enti
subregionali che, comunque, de-
vono essere ricondotti al numero
minimo essenziale); 3) renderle
fortemente sburocratizzate e sot-
toporle a effettivi e rigorosi con-
trolli contabili.
Questa riforma deve compor-
tare sia l’eliminazione completa
delle Province, che, pur ridotte,
continuano a rappresentare enti-
tà obsolete e dispendiose, sia il
superamento delle Regioni a Sta-
tuto speciale, che costituiscono
una ingiustizia sul piano giuri-
dico ed economico rispetto alle
altre Regioni.
I vantaggi di questi interventi,
sono evidenti. Le Regioni finireb-
bero di essere centri di spesa in-
controllati e potrebbero interve-
nire con efficacia avendo un
campo d’azione unitario del ter-
ritorio; infine, si realizzerebbero
ulteriori economie con la ridu-
zione dei 20 consigli con relativi
organi (commissioni, giunte, ap-
parati burocratici, etc) a 12 o,
addirittura, a 4. In ultimo, si trat-
ta di rivedere anche il Titolo V
della Costituzione, un prodotto
che ci ha lasciato il centrosinistra
in nome di un mal digerito ed af-
frettato federalismo. Occorre ri-
scrivere con assoluta chiarezza,
per evitare costosi contenziosi, le
materie di competenza regionale
e quelle di competenza dello Sta-
to, eliminando le contraddizioni
che derivano da quelle che oggi
sono concorrenti. È questo un
passaggio fondamentale e non
rinviabile: in assenza di una nuo-
va architettura regionale, anche
la migliore iniziativa potrebbe
appannarsi o, addirittura, vani-
ficarsi.
*
Consigliere regionale del Pdl
Le Regioni, dal 1970
ad oggi, sono diventate
centri di spesa a pioggia
ormai incontrollabili
Occorre riscrivere
con assoluta chiarezza
le materie di competenza
regionale e quelle statali
AAAnuova offerta politica di centrodestra cercasi
di
FEDERICO PUNZI
anno avuto un anno di tempo
per manifestarsi. Un anno in
cui Berlusconi – tra passi indietro,
avanti e di lato – e il Pdl sono rima-
sti nel totale immobilismo, anzi im-
pegnati in un’incessante opera di
autolesionismo, travolti dagli scan-
dali, in verticale perdita di consensi.
Mai momento fu più propizio. Il
Cav. era all’angolo, il suo partito al-
lo stremo. Perché non si è (ancora)
manifestata questa nuova offerta?
Dov’è quel Ppe italiano che avrebbe
dovuto aprire l’era post-berlusco-
niana? E non si risponda finché Ber-
lusconi è in campo eccetera eccetera.
Cosa bisogna aspettare per farsi
avanti, che muoia? Mai le truppe
berlusconiane sono state così sban-
date e il loro generale così lontano
dal campo di battaglia. Eppure...
Tutti coloro che con ottime ragioni
hanno manifestato la necessità di li-
quidare il fallimentare berlusconi-
smo sostituendolo con una forza
popolare, moderna, europea, hanno
commesso un errore fatale. Invece
di rivolgersi direttamente al “popo-
lo” deluso e disgregato di centrode-
stra – come fece con successo Ber-
lusconi nel 1994, durante la prima
grave cesura del nostro sistema po-
litico repubblicano – si sono gingil-
lati in esasperati tatticismi, intestar-
diti in manovre tutte interne al ceto
politico, ignorando un dato fonda-
mentale nel paese: in questo venten-
nio gli elettori di centrodestra, pur
con tutte le loro differenze, sono sta-
ti abituati a ragionare in termini bi-
H
polari e alternativi al centrosinistra.
Questa “alternatività” i milioni di
elettori lasciati per 12 mesi in libera
uscita da una forza che dal 38% è
scesa al 15, non l’hanno vista in Ca-
sini, di cui già non si fidavano, né
in Montezemolo e nella sua Italia-
Futura, né in Monti, e addirittura
nemmeno nei liberisti duri e puri di
FermareilDeclino. Non credono più
a Berlusconi, sono disgustati dal Pdl,
ma i sondaggi e le parziali scadenze
elettorali di quest’anno dimostrano
che non si sono spostati a sinistra,
né sono attratti dal Terzo polo o da
Grillo. Sono sì in attesa di una nuo-
va offerta politica, ma chiaramente
di centrodestra. Gettare le fonda-
menta di un Ppe italiano attorno al-
la personalità di Mario Monti
avrebbe potuto (potrebbe ancora?)
funzionare se il professore avesse
accettato – non subito, ovviamente,
ma sul finire della legislatura – di
giocare un simile ruolo politico, vi-
sto che lui stesso si è definito cultu-
ralmente vicino al popolarismo eu-
ropeo. Il premier, insomma, doveva
decidere se diventare un Ciampi, un
Dini o un De Gasperi. Ma se Monti
preferisce restare super partes, riser-
va della Repubblica, per i soggetti
che a lui si richiamano (Casini e
Montezemolo) si fa dura: significa
di fatto rendersi disponibili a fare
le “stampelle centriste” di un Mon-
ti-bis sostenuto da una maggioranza
egemonizzata dalla sinistra Bersa-
ni-Cgil. Una prospettiva che non
può allettare gli elettori di centro-
destra. Per Casini si trattava di la-
vorarsi i “montiani” del Pdl affinché
spingessero Alfano a rottamare Ber-
lusconi. E per poco non gli riusciva.
Ma a parte il fatto che gli elettori
di centrodestra non avrebbero af-
fatto seguito una classe dirigente,
quella del Pdl, di cui non hanno al-
cuna stima, verso un “centrismo
montiano” non chiaramente alter-
nativo alla sinistra, visto che il pro-
fessore non si schiera, c’è anche da
dubitare che Casini a quel punto
avrebbe dato seguito alla chimera
dell’“unità dei moderati”, visto che
ha sempre lavorato a destrutturare
il bipolarismo, per un sistema in cui
il centro possa di volta in volta, do-
po il voto, allearsi con chi esce vin-
citore dalle urne. Anche Monteze-
molo, pur respingendo qualsiasi
avance” di pezzi del vecchio ceto
politico, ha ceduto però ad alcuni
autoproclamati (e molto interessati)
rappresentanti della cosiddetta “so-
cietà civile”. Timoroso di scendere
in campo in prima persona, anche
lui ha dato il nome di Monti alla
sua lista e lanciato un’alleanza con
il mondo del socialismo cattolico –
Acli, Sant’Egidio, Cisl – che, come
ripete da un paio di giorni uno dei
suoi più autorevoli esponenti, guar-
da al Pd. FermareilDeclino è l’unica
potenziale nuova offerta che non ha
peccato di politicismo e si è concen-
trata sui contenuti. Ma ha ecceduto
in anti-berlusconismo – viscerale,
sconfinato in un atteggiamento di
colpevolizzazione dell’elettorato di
centrodestra – e in intellettualismo.
Tipico dell’intellettuale è il gusto
della provocazione e il voler con-
vincere tutti delle proprie tesi – così
si spiegano gli appelli a Renzi e ai
suoi elettori scambiati per liberisti
in sonno” – mentre l’iniziativa po-
litica richiede di individuare la tipo-
logia di elettori cui rivolgersi per af-
finare il messaggio. Insomma, per
ragioni diverse – nobili quelle di
Monti e dei promotori di Ferma-
reilDeclino, “politiciste” quelle di
Casini e Montezemolo – nessuno fi-
nora ha davvero messo in campo
una nuova offerta politica di cen-
trodestra. Dunque, se oggi Berlu-
sconi può osare ri-discendere in
campo, è soprattutto per il vuoto
creato dall’esasperato tatticismo di
chi, probabilmente, non ha mai avu-
to in mente un’idea di centrodestra
maggioritario a cui gli elettori po-
tessero sintonizzarsi.
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 8 DICEMBRE 2012
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