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ESTERI
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Il fondamentale contributo italiano sui cieli libici
di
LEONARDO TRICARICO
ltre 2.300 sortite per 8.300
ore di volo complessive, pari
al 7% del totale. Uomini e aerei di
11
nazioni ospitati e messi in grado
di operare da 5 basi nazionali, di
cui la sola Trapani responsabile del
14%
di tutte le missioni operative.
L’unica forza aerea presente in tutti
i ruoli: rifornimento in volo (uno
dei punti critici per la coalizione,
vista la scarsità di tanker), difesa
aerea (oltre 2700 ore), guerra elet-
tronica in tutte le sue forme (quasi
300
ore), controaviazione offensiva
e difensiva (oltre 1700 ore), rico-
gnizione (oltre 2000 ore), soppres-
sione difese aeree (circa 600 ore),
ma soprattutto gli unici velivoli del-
la Coalizione dotati di questa ca-
pacità, guerra psicologica, persino
Uav (unmanned aerial vehicle, i
droni senza pilota). Una rete di sa-
telliti da osservazione con capacità
uniche. Uso esclusivo di munizio-
namento di precisione, con la di-
struzione del 97% degli obiettivi
ingaggiati. Un ruolo crescente man
mano che vari paesi ritiravano i
propri assetti o esaurivano le scorte.
Da qualsiasi parte lo si guardi,
il contributo italiano alla liberazio-
ne della Libia dal dittatore Ghed-
dafi è impressionante sotto il punto
di vista qualitativo e quantitativo.
A un anno dalla fine delle opera-
zioni, questo ruolo decisivo resta
purtroppo misconosciuto.
A dimostrazione di ciò il fatto
che il presidente degli Stati Uniti
D’America, Barack Obama, nel suo
speech alle Nazioni Unite del 20
settembre 2011, citava la Danimar-
ca tra i paesi partecipanti al con-
flitto, dimenticando di menzionare
l’Italia, mentre invece, soltanto un
mese dopo, il Segretario alla Difesa
statunitense, Leon Panetta, ben più
attento alla sostanza delle cose, in
una conferenza stampa ammetteva
che «in Libia, in verità, se non fosse
stato per l’Italia, non so sincera-
mente se avremmo potuto comple-
tare la missione» (testuale: “In Li-
bya frankly, if it were not for the
Italians, we really don’t feel that we
could have completed this mis-
O
lo dell’Aeronautica Italiana, sia sta-
to percepito in maniera incompleta
e talvolta inesatta, certamente sot-
tostimata nei suoi effetti e nella sua
qualità.
Per la parte politica, che a dire
il vero ha influenzato in minima
parte le operazioni, a prescindere
dagli aspetti coreografici che hanno
contraddistinto soprattutto negli
ultimi tempi i rapporti personali
dei due leader, Berlusconi e Ghed-
dafi, le decisioni italiane sono state
dettate sempre dall’interesse nazio-
nale, che vede in una Libia stabile,
pacificata e saldamente democratica
la migliore opzione per i rapporti
tra i due paesi e per l’intera area
mediterranea.
Sempre per rimanere nella so-
stanza delle cose e non fermarsi ai
suoi aspetti esteriori, un ruolo de-
terminante per le decisioni italiane
lo ha avuto anche e soprattutto il
sentimento di amicizia tra i due po-
poli, ben più genuino e radicato di
quello dei suoi governanti, senti-
mento che ho avuto modo di toc-
care con mano nei miei ormai re-
golari viaggi in Libia.
Entriamo ora nel vivo delle ope-
razioni: il 19 marzo alle 17.45 il
primo velivolo francese dà il via
all’operazione
Odissey Dawn
,
rile-
vata dalla Nato il 31 marzo con il
nome
Unified Protector
,
che termi-
nerà il 31 di ottobre.
In apertura ho già fatto accenno
alla qualità del contributo italiano.
La disponibilità di così variegate
capacità pregiate, seppur di dimen-
sioni contenute, è il risultato delle
lezioni apprese nella nostra siste-
matica partecipazione alle coalizio-
ni internazionali che ci hanno con-
sentito di disegnare uno strumento
militare dotato di capacità di nor-
ma deficitarie nei pacchetti di forza
impegnati nei vari teatri; abbiamo
appreso ormai che a volte, som-
mando le capacita di più forze ae-
ree anche progredite, non ne risulta
una forza aerea completa e ben ar-
ticolata nelle sue capacità indispen-
sabili, e che quindi sempre, senza
l’apporto statunitense, si rischia di
avventurarsi in imprese senza fine,
anche disponendo della migliore e
più aggiornata tecnologia. Ed è
esattamente ciò che è accaduto in
Libia, dove, pur in presenza di un
sostanziale disimpegno statunitense,
se non ci fosse stato dietro le quinte
il loro contributo in specifici assetti,
il risultato finale sarebbe stato
quanto meno problematico se non
compromesso.
Ma noi la nostra parte l’abbia-
mo fatta abbondantemente: abbia-
mo potuto immettere nei “pacchet-
ti” di forza la capacità AAR (Air to
Air Refueling) da sempre deficitaria
nelle coalizioni aeree, qualificando
in tutta fretta i nuovissimi KC767
A che hanno avvicendato nel ruolo
i C130 J, i Tornado ECR (Electro-
nic Combat Reconnaissance) ad in-
tegrazione, nei primi giorni del con-
flitto, della poderosa capacità Usa
in quest’altra specialità insufficiente,
la SEAD (Suppression of Enemy
Air Defence ).
Nel seconda parte del conflitto
sono entrati in teatro anche gli
UAV, nella più recente e capace ver-
sione di cui si è di recente dotata
l’Aeronautica Italiana, il Predator
B: il contributo alle attività di sor-
veglianza di questi mezzi è stato
utilissimo se non determinante, so-
prattutto verso la fine delle opera-
zioni, nell’area di Bani Walid. Si è
rivelata in questo caso particolar-
mente preziosa l’esperienza messa
a punto dagli operatori dell’AMI
in ormai otto anni di operazioni in
Iraq ed Afghanistan che fanno del-
l’Italia, insieme ad Israele e Stati
Uniti, una delle aviazioni più esper-
te nel settore.
Altra capacità poco conosciuta
ma di significativo pregio quando
in assenza degli Stati Uniti, l’intel-
ligence satellitare. Un altro sistema
quindi indispensabile, questa volta
anche di concezione e tecnologia
interamente italiani, a disposizione
della coalizione, il Cosmo SKY
Med, una costellazione di 4 satelliti
radar ad apertura sintetica di per-
formances molto spinte, con ripas-
so sulla Libia quattro, cinque volte
al giorno.
E poi la Difesa Aerea, con i Ty-
phoon EF 2000 ed F16, gli strikers
AMX e Tornado, (questi ultimi
hanno impiegato anche missili
stand-off), gli AV-8B della Marina
Militare da bordo della portaerei
Garibaldi.
Quantitativamente l’Italia ha ef-
fettuato circa il 7% del totale delle
sortite, qualitativamente, con il
97%
della precisione a bersaglio,
si è collocata a pari merito della
Gran Bretagna e appena prima del-
la Francia.
Ma i veri assetti enablers, cioè
quelli senza i quali l’operazione non
sarebbe stata possibile, sono state
le basi aeree che il governo italiano
ha messo a disposizione degli alleati
senza la minima esitazione e fin
dalle primissime fasi del conflitto.
Senza di esse molti paesi e molte
aeronautiche non sarebbero stati
così generosi di fronte alla prospet-
tiva di faticosi e lunghi voli di tra-
sferimento per raggiungere l’area
di operazioni, e soprattutto in as-
senza cronica di velivoli cisterna
per il rifornimento in volo.
Insomma, senza il fondamentale
contributo italiano tutto sarebbe
stato più complicato, di più lunga
durata, più costoso e di esito tut-
t’altro che certo.
Uno sguardo infine ai costi della
partecipazione nazionale, alcuni in-
tuitivi, altri poco conosciuti dalla
stessa opinione pubblica italiana.
L’operazione
Unified Protector
ha
colto i paesi partecipanti nel pieno
di una crisi economica generale e
nella necessità associata, anche per
i paesi come la Gran Bretagna dove
la cultura della sicurezza e della di-
fesa ha radici più profonde, di con-
tenere o ridurre drasticamente le
spese per le Forze Armate. Ciò no-
nostante, l’Italia ha fatto puntual-
mente la sua parte e molto più: si
calcola che l’operazione sia costata
intorno a 150 milioni di euro. Inol-
tre, il fatto di essere ad immediato
ridosso dell’area del conflitto, ha
causato inconvenienti aggiuntivi di
vario tipo.
La circolazione aerea generale
è stata modificata, il traffico com-
merciale è stato reindirizzato verso
rotte non interferenti con l’area del
conflitto. Si calcola in qualche de-
cina di milioni l’ulteriore costo so-
stenuto dall’Italia per i mancati
proventi delle tasse di sorvolo. La
base di Trapani, in Sicilia, ha do-
vuto chiudere lo scalo al traffico ci-
vile, divenuto incompatibile con
quello militare di particolare inten-
sità. Lo stato ha dovuto rifondere
la Società di gestione dell’aeroporto
con 10 milioni e si è inoltre aperto
un contenzioso antipatico sull’uso
civile di strutture militari che è de-
stinato a riverberarsi su altri aero-
porti di uso misto. Ed ancora, il nu-
mero di immigranti irregolari sulle
coste del sud Italia è aumentato a
dismisura, con il concreto pericolo
che tra i profughi si celasse qualche
terrorista infiltrato ad hoc, quale
misura di rappresaglia di Gheddafi
ormai incapace di contenere i bom-
bardamenti ed il suo popolo in ri-
volta.
Questo in sintesi lo scenario nel
quale è stata immersa l’Italia du-
rante la rivoluzione libica, uno sce-
nario coerente con le scelte di fon-
do dell’Italia in materia di politica
estera e di sicurezza (e ribadite per
l’ennesima volta nell’ultimo Con-
siglio Supremo di Difesa), in base
alla quale quest’ultima va preser-
vata ovunque sia messa a rischio.
Il Segretario alla Difesa
statunitense,
Leon Panetta,
ha dichiarato
in conferenza stampa:
«
In Libya, frankly, if it
were not for the Italians,
we really don’t feel that
we could have
completed this mission».
«
In Libia, in verità,
se non fosse stato
per l’Italia, non so
sinceramente
se avremmo potuto
completare
la missione»
sion”). Cosa questa invece ben co-
nosciuta dalla comunità internazio-
nale degli addetti ai lavori cui, an-
cora una volta, non è sfuggito il
ruolo centrale dell’Italia e la pun-
tualità ed efficacia dei suoi contin-
genti nel rispetto degli impegni di
coalizione.
Questo sintetico scritto vuole di
conseguenza colmare, in parte, la
diffusa ignoranza sui drammatici
fatti della rivoluzione libica, fermo
restando che gli eventi, nella loro
interezza e nel loro dettaglio, a co-
minciare dal primo attacco france-
se, saranno descritti in un docu-
mento esaustivo e rigoroso che la
prestigiosa Rand Corporation sta
assemblando con il contributo di
illustri esperti dei paesi partecipanti,
documento che vedrà la luce nel-
l’arco di pochi mesi, e che conse-
gnerà alla storia ciò che la cronaca
ha mancato di registrare.
Un altro motivo giustifica que-
sta prima finestra aperta sulla par-
tecipazione italiana: si è avuta la
sensazione, nei contatti con i colle-
ghi libici, aviatori inclusi, che il ruo-
L’OPINIONE delle Libertà
SABATO 8 DICEMBRE 2012
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