Page 2 - Opinione del 09-11-2012

enzi ministro di un futuro go-
verno Bersani? Certo non po-
chi seguaci del segretario del Pd sa-
ranno sobbalzati sulle sedie nel
leggere dell’offerta di Pier Luigi al
rivale rottamatore. Giusto il tempo
di trasecolare, e la notizia lanciata
dall’
Ansa
nel primo pomeriggio di
lunedì 5 novembre dopo pochi mi-
nuti viene rettificata – o meglio, ri-
tirata – dalla stessa agenzia di stam-
pa. Nessuna offerta dunque, anche
se in mattinata, nel forum del quo-
tidiano torinese
La Stampa
,
Bersani
aveva detto qualcosa di simile ma
in modo più prudente: ovvero che
Renzi e i suoi elettori rimaranno
una risorsa anche dopo le prima-
rie.
Per Matteo Orfini, responsabile
cultura e informazione del Pd ed
esponente dei cosiddetti “giovani
turchi” del partito, ovvero l’ala dei
Fassina, degli Orlando e degli altri
trenta-quarantenni che voteranno
per il segretario il 25 novembre,
Renzi «potrebbe fare il ministro,
come tanti altri nel partito».
«
Siamo tutti d’accordo sul fatto
che Renzi possa essere una risorsa
per il Paese – dice Orfini – però non
mi sembra il caso di mettersi a fare
il totoministri quando ancora non
si sono vinte le elezioni. Inoltre –
aggiunge – penso che nella nascita
del governo dovremmo coinvolgere
anche forze che sono esterne alla
politica». Perché il punto, secondo
l’Orfini-pensiero, è ricostruire il
rapporto con la parte di italiani che
non si sentono rappresentati dalla
politica e che alle prossime elezioni
«
rischiano di non andare a votare».
Bersani ha poi dichiarato di non
volersi ripresentare come candidato
segretario al prossimo congresso
del Pd, previsto nell’ottobre del
2013. «
Credo che al prossimo con-
gresso ci debba essere un giro della
ruota», ha detto Bersani sempre al
R
direttore Mario Calabresi. Qui, pe-
rò, Orfini è in disaccordo con il
proprio candidato alle primarie.
«
Bersani – dice il giovane turco –
vincerà le primarie perché è segre-
tario del Pd, il principale partito
della coalizione. E se vogliamo usci-
re da una visione personalistica del-
la politica, quella è la sua principale
fonte di legittimazione». Insomma,
«
leadership e premiership devono
coincidere» e «rompere quel rap-
porto rischia di perpetuare un er-
rore già fatto in passato, si pensi ai
governi Prodi e D’Alema». «Prima
di ripetere quell’errore – è dunque
l’invito al segretario – io ci pense-
rei».
A Nichi Vendola, che ha chiesto
a Bersani di scegliere se allearsi con
la sua Sel o con l’Udc di Casini, il
responsabile cultura e informazione
Pd ricorda che «ha sottoscritto una
carta d’intenti, dove si dice che si
valuteranno le condizioni per un’al-
leanza coi moderati». «Penso che
dovremmo allearci con entrambi»,
aggiunge Orfini, che comunque
ammette di sentirsi più vicino al
programma di Vendola. «È eviden-
te che il leader di Sel faccia parte
del nostro campo, quello dei pro-
gressisti, del resto le primarie non
le facciamo con Casini. Però – ag-
giunge – è inaccettabile porre questi
aut aut. Partire dicendo non se ne
parla è un atteggiamento fanciul-
lesco, sia che lo metta in campo
Vendola sia che lo metta in campo
Casini».
Infine quando gli si chiede un
pronostico sulla percentuale di voti
che Bersani otterrà alle primarie,
Orfini risponde con un «non so,
però so che vincerà». Sotto il 40%
sarà una mezza sconfitta? «Dare
percentuali è pericolosissimo. Ma
non penso, vince chi prende un vo-
to in più dell’altro».
CHRISTIAN GOLDONI
di
FEDERICO PUNZI
enato Brunetta è tornato a
confermarlo anche ieri: nella
legge di stabilità ci sarà spazio per
un “fondo Giavazzi” in cui far con-
fluire le risorse provenienti dal rior-
dino del sistema dei sussidi pubblici
alle imprese per finanziare un cre-
dito d’imposta per ricerca e inno-
vazione e la riduzione dell’Irap, se-
condo lo schema suggerito dal
professore bocconiano.
Passi il fatto che il rapporto
Giavazzi non contemplava l’enne-
simo credito d’imposta, della pro-
posta originaria sembra essere ri-
masto solo il nome del suo autore,
il quale a questo punto dovrebbe
dire la sua. Il rapporto che il gover-
no stesso gli ha commissionato, in-
fatti, si è perso per quasi sei mesi
nelle stanze dei ministeri per rie-
mergere, infine, completamente
svuotato. I 10 miliardi di risparmi
ipotizzati, passati al vaglio dei tec-
nici dei ministeri, sono diventati
prima 3, poi 500 milioni, secondo
quanto riporta Alessandro Barbera
su
La Stampa
:
un ventesimo
(
l’1,5% della spesa totale).
I fondi erogati attraverso le Re-
gioni – oltre la metà del totale – si
è persino rinunciato a catalogarli e
a pretendere di sapere per quali
scopi e in quali modalità vengono
spesi. Poi sono stati esclusi tutti i
contratti di servizio con Ferrovie
(5
miliardi), Poste (500 milioni),
Anas, le commesse militari (1,7 mi-
liardi), i sussidi per le aziende del
trasporto pubblico locale. In tutto
circa 12 miliardi. Passi per i con-
tratti di servizio e le commesse (che
però si possono sempre riesaminare
e ricontrattare), ma se si escludono
anche contributi vari e crediti d’im-
posta (questi ultimi valgono 2,2 mi-
liardi), che dovrebbero costituire
l’oggetto principale della revisione,
R
cosa rimane? Rimangono 3,2 mi-
liardi, rubricati sotto la beffarda
voce «da approfondire», dai quali
però, secondo l’ultimo esame di co-
loro incaricati di approfondire, si
potrebbero ottenere solo 500 mi-
lioni. Un po’ poco perché si possa
ritenere credibile lo sforzo compiu-
to e perché si possa parlare di una
vera
spending review
,
che per de-
finizione di chi l’ha inventata do-
vrebbe portare a rigiustificare da
zero euro ogni singolo programma
di spesa. E qui si tratta di mille mi-
nuscoli rivoli, alcuni tra l’altro con
denominazioni talmente oscure e
incomprensibili da legittimare il so-
spetto che chi li gestisce, nei mini-
steri, abbia interesse a non condi-
videre lealmente le informazioni e
a lasciare tutto com’è.
I poteri forti che si oppongono,
evidentemente con successo, ad
ogni taglio ai cosiddetti contributi
alle imprese si possono distinguere
in tre diverse categorie. Ci sono i
grandi gruppi pubblici, che grazie
ai trasferimenti statali si garanti-
scono una posizione di monopolio,
o comunque di forza, nei loro ri-
spettivi mercati. Le aziende muni-
cipalizzate, quindi gli enti locali, e
le Regioni, che attraverso l’elargi-
zione dei fondi, in forme più o me-
no velate, più o meno spudorate,
controllano il consenso sul territo-
rio. E infine, a livello centrale e api-
cale della pubblica amministrazio-
ne, i vertici dei ministeri, dove il
gioco si fa più sottile e inafferrabile.
È enorme, infatti, nei decenni, ac-
celerata dal rapido susseguirsi dei
governi, la stratificazione di fondi
e crediti d’imposta di cui i politici
non possono avere memoria ma
certo la conservano gli apparati bu-
rocratici, che li conoscono e, di fat-
to, li gestiscono. Il rischio è che
questa miriade di minuscoli fondi,
dalla denominazione incomprensi-
bile e dagli scopi ancor più ambi-
gui, vengano utilizzati con estrema
discrezionalità, e spesso come stru-
menti di autopromozione presso i
politici e dei ministri di turno, dagli
alti e inamovibili burocrati dei mi-
nisteri. Gli stessi guarda caso chia-
mati a verificare la fattibilità di un
rapporto che propone di tagliarli.
E che con un’opacità più che so-
spetta, una padronanza della ma-
teria un po’ sacerdotale, ci spiegano
che servono, anche se non a cosa,
e che si possono tagliare solo 500
milioni.
Possibile che il professor Gia-
vazzi e il suo team siano stati così
imprecisi nella stima dei fondi da
tagliare? È questa la cifra che con-
fluirà nel fondo dei volenterosi Bru-
netta e Baretta? E dei 6,7 miliardi
liberati dalla rinuncia alla riduzione
dell’Irpef (1 miliardo nel 2013, 3,2
nel 2014 e altri 2,5 nel 2015), cosa
rimane per il taglio dell’Irap se nei
primi due anni se ne spendono 2
per lavoro e famiglia, come previsto
dall’accordo tra i relatori, e se re-
stano da finanziare la salvaguardia
di altri “esodati”, minori tagli ai
Comuni, alla scuola e al comparto
sicurezza, e altre misure «per il so-
ciale»? Resta una goccia, o piutto-
sto una lacrima. Nominare “Gia-
vazzi” un fondo così finanziato e
concepito sarebbe solo un modo
per confondere le acque. Far cre-
dere che si è agito laddove non si
è mosso un dito è il miglior modo
per difendere lo status quo.
Sui 33 miliardi che lo Stato
spende ogni anno occorre chiedere,
e ottenere, assoluta chiarezza, per-
ché le troppe voci inserite nella co-
lonna «non eliminabili» sembrano
nascondere semplicemente la vo-
lontà di non agire. Ed è il momento
di capire se almeno è una volontà
politica, o l’inerzia di vari interessi
costituiti.
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Sì alle primarie,
ma non all’italiana
È molto difficile, allora, che le primarie
del Pdl possano diventare uno stimolo
per la ripresa ed il rilancio del partito.
Ed è quasi certo che non riescano ad
accendere l’attenzione dell’opinione
pubblica risvegliando gli entusiasmi so-
piti di un popolo del centro destra che
non è solo deluso per il declino del ber-
lusconismo ma che è anche frastornato
dai segnali di impotenza e di contrad-
dittorietà che vengono giornalmente
dai massimi dirigenti del partito.
Sia per il Pd , sia per il Pdl, quindi, le
primarie rappresentano un pericolo e
non una opportunità.
Il ché può far riflettere sullo sfalda-
mento in atto del modello dei partiti
della Seconda Repubblica ma non può
provocare l’interruzione di una corsa
ormai avviata.
Ognuno si affretti a celebrare il più ce-
lermente possibile le proprie primarie.
Ma con l’idea della riduzione del dan-
no e non con la pretesa di imitare
Obama!
ARTURO DIACONALE
Il ritorno della
Prima Repubblica
(...)
ulteriormente, dilazionando semplicemen-
te nel tempo lo stesso prelievo aggiuntivo.
Ma in tutti i casi, come dimostra a iosa l’espe-
rienza di chiunque abbia tentato la strada bu-
rocratica per il benessere e la felicità, il saldo
tra risorse rastrellate nella società spontanea
e quelle realizzate dai piani economici in que-
sto finanziati è sempre stato drammaticamen-
te negativo. Per questo la nostra piccola ma
agguerrita riserva indiana liberale continua
ad invocare meno Stato, meno spesa e meno
tasse per tutti, nessuno escluso.
CLAUDIO ROMITI
È tornato Obama
il pifferaio magico
(...)
prese in giro europee per aver destinato
i loro dollari a difenderci anziché dotarsi di
sanità pubblica apparentemente gratuita; af-
fascinati dalle sirene del comodo modello sta-
talista che dice di sì a tutti e si spaccia per so-
lidale, gli americani sono stati colpiti dal
ciclone Obama e si sono perdutamente inna-
morati del mondo parallelo che ha raccontato
loro. Molti lo hanno rivotato per principio di
coerenza, per il quale difendiamo le nostre
scelte con intensità e testardaggine proporzio-
nali all’entusiasmo col quale le abbiamo fatte.
Molti hanno accettato senza problemi che,
manco fosse un decreto omnibus della nostra
seconda repubblica, comprando il semidio
afroamericano cool si beccassero anche la de-
pressione dell’economia, la disoccupazione, le
scuse al mondo per il passato americano, il
rancore verso successo e ricchezza, l’imposi-
zione dello Stato tra i fattori di successo della
prima economia mondiale. L’importante era
la strapagata attricetta o lo straviziato rapper
che si permettessero di twittare come si do-
vesse comportare gente che lavorando dieci
volte di più guadagna in un anno quello che
loro fanno in un giorno. Battere tutto questo
sarebbe stato impossibile.
La prima reazione alla vittoria di Obama è
stato il sollievo per il limite dei due mandati.
Ma c’è Michelle, e nel 2016 sarebbe perfetta.
Se non scoppia questa bolla di sapone, questo
grande e pericoloso matrix in cui siamo piom-
bati, dopo 8 anni di Barack rischiamo 8 anni
di Michelle. E speriamo che non salti fuori
che la figlia più grande è gay (con tutto l’ovvio
rispetto, ci mancherebbe), perché altrimenti
ne riparliamo nel 2032.
UMBERTO MUCCI
Il Fondo del prof.Giavazzi?
Non una goccia, una lacrima
Orfini: «Bersani sia
segretario-premier»
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VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2012
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