II
POLITICA
II
segue dalla prima
Monti e la casta
(...)
Almeno di quella erede della grande
tradizione interclassista del vecchio par-
tito che oltre all’unità politica dei cattolici
aveva rappresentato anche la maggioran-
za moderata degli italiani. Senza quell’ap-
porto la percezione popolare della lista
Monti diventa totalmente diversa. Ed as-
sume l’aspetto non solo e non tanto della
zattera di salvataggio dei residuati politici
della Prima Repubblica (Casini e Fini),
quanto di quel tipo di nomenklatura bu-
rocratico-parassitaria che è riuscita nel-
l’impresa di galleggiare in qualsiasi situa-
zione politica conservando un potere a
cui non vuole in ogni caso rinunciare.
Agli occhi dell’elettorato, dunque, si scrive
Monti ma si legge “casta”. Che non è solo
quella dei vecchi politici alla disperata ri-
cerca del posto in Parlamento ma che è
anche e soprattutto quella degli alti bu-
rocrati e di un notabilato inamovibile che
oltre ad aver avuto la sua parte di respon-
sabilità nella determinazione del debito
pubblico e della crisi attuale ha sempre
costituito un freno insormontabile a qual-
siasi progetto di riforma. Monti, che di
questa casta ha sempre fatto parte e che
non ha un rapporto effettivo con la realtà
del paese, non può rendersi neppure conto
di questa percezione popolare.
Anzi, con ogni probabilità è anche sod-
disfatto di rappresentare i notabili ed i
burocrati e di non avere rapporto alcuno
con tutti gli altri considerati dei volgari
populisti. Ma questa irrealtà, resa evidente
della circostanza che la vera campagna
elettorale del Professore è quella che viene
fatta sbandierando sotto gli occhi degli
italiani la minaccia di un redditometro
autoritario e demenziale, non sarà senza
conseguenze.
Dopo il Saragat dei tempi passati avremo
anche un Monti a prendersela dopo le ele-
zioni con “il destino cinico e baro”.
ARTURO DIACONALE
Vergogna italiana
(...)
molto a venire, la Corte europea dei
diritti dell’uomo procederà a irrogare pe-
ne esemplari all’imputato Italia. Ad esem-
pio da centomila euro o anche più a testa
da risarcire ai singoli detenuti. Siccome
pendono già 550 ricorsi in fase esecutiva,
cui ne andrebbero aggiunti oltre seimila
in fase iniziale, è facile capire che si rischia
una nuova tassa per coprire un buco a bi-
lancio che potrebbe anche superare i tre-
cento milioni di euro. Insomma la dema-
gogia delle forze manettare d’Italia rischia
di essere pagata due volte dal cittadino:
la prima in termini di insicurezza e di in-
civiltà, dato che chi viene recluso in que-
ste condizioni di solito moltiplica il pro-
prio tasso di recidiva, e la seconda come
esborso a carico del contribuente.
D’altronde da noi è tradizione indelebile
della politica all’italiana quella di fare ri-
pagare le miopi scelte di governo, e so-
prattutto quelle che maturano in campa-
gne elettorali da film dell’orrore come
quella in corso, all’anello debole della ca-
tena istituzionale: il cittadino contribuen-
te. La battaglia di Pannella per l’amnistia
e la giustizia, che ora è diventata anche il
simbolo di una lista, è quindi esattamente
tutto il contrario di, come osa dire la Se-
verino, «una campagna elettorale sulla
pelle dei detenuti».
È invece un potente campanello di allarme
su quello che ci aspetta se continuiamo a
dare retta a politici pavidi e opportunisti
come quelli visti in questo esecutivo bluff
dei tecnici o a demagoghi cialtroni e ur-
lanti come quelli eletti in questa strama-
ledetta tredicesima legislatura.
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Registrazione al Tribunale di Roma n.8/96 del 17/01/’96
Per un’Italia liberale.Anzi, nazional-liberale
di
GIUSEPPE MELE
l termine Nazionaliberale evo-
cato da Arturo Diaconale, nel
suo ultimo libro, sembra opporsi
ad altre espressioni politiche. Per
esempio, Nazionalpopolare; oppu-
re Socialismo Nazionale. Ed anche
NazionalSocialismo, un termine
che fa risuonare paura al solo sen-
tirlo. Nazional popolare, prima di
essere demonizzato come populi-
smo, a suo tempo venne ridicoliz-
zato come un subpensiero, espres-
so nelle domeniche pomeriggio tv
dei Pippo Baudo.
Socialismo Nazionale fu, per un
tempo brevissimo, intuizione di
Stefania che colse l’aspetto patriot-
tico del padre Craxi che non a ca-
so fu, nella sinistra moderata, l’uni-
co ad amare più il patriottico
Risorgimento che la Resistenza.
Quanto al Nazionalsocialismo, fu
la realtà storica della Russia sovie-
tica, ebbe i suo natali ideologici
nel NazionalStatalismo dell’Italia
fascista ed è la realtà di oggi delle
grandi economie dirigiste soprat-
tutto della Cina comunista ma an-
che dell’India e del Sudafrica.
È una grande ipocrisia avere
paura più delle parole che dei fatti.
La Nazione, invocata da Diacona-
le, è un
fil rouge
,
il flusso ininter-
rotto della storia del popolo che
non ammette crasi, interruzioni,
stasi. Durante l’enfasi patriottica
prerisorgimentale si cercavano i
fondamenti dell’identità nazionale.
Avevano ragione a trovarli nei di-
versi regni longobardi, città stato,
signorie. La nazione c’era (come
in Germania) in un contesto sepa-
ratista.
Lo Stato infine arrivò come co-
strizione storica indotta dal per-
corso degli altri popoli che nello
Stato avevano trovato una forza
moltiplicatrice delle proprie ener-
gie. Problema che oggi ha l’Europa
nel suo tentativo di farsi patria. Ri-
dotto ad un unico territorio, na-
I
zione, stato, dalla globalizzazione,
il Vecchio continente, finora pun-
tellato agli Usa, ha fatto dell’euro-
peismo una ideologia, ha puntato
sulla governance autocratica caro-
lingia imperiale. Per esistere, l’Eu-
ropa deve faticosamente diventare
patria, espressione dei suoi terri-
tori, anche se nel mondo nessuno
ad Ovest, Est e Sud la vuole così.
Il fascismo si celebrava come
l’epopea del Risorgimento sottoli-
neando come lo stile da camicia
dark mazziniana anticipasse i suoi
colori. Non aveva torto, poiché
all’origine dello schianto in cui finì
il Paese, c’era anche l’esplosione
delle tante esagerate speranze e
delle missioni intelletualmente
troppo alate della Pandora risor-
gimentale, la non misura di risorse
e obiiettivi. Nondimeno pregi e di-
fetti del fascismo passarono nel-
l’Italia antifascista, come nel fasci-
smo erano state presenti le forze
ad esso antecedenti. A fare la storia
delle patrie, delle nazioni e degli
Stati, furono quelli che oggi chia-
miamo liberali e che furono nota-
bili e massoni. Coloro che in nome
di territori e popoli, combatterono
l’apolidismo dell’unica grande fa-
miglia astocratica tutta imparen-
tatasi n Europa, e l’universalità
delle religioni e degli imperi ideo-
logici.
Di quei liberali che privilegia-
rono equilibrio e senso di soprav-
vivenza dello stato ad ogni costo,
per il bene più prezioso della coe-
sione sociale e della reciproca sop-
portazione, ad un certo punto qua-
si non c’era più traccia. Nella
debacle del senso di Paese e nella
ripresa della perenne guerra civile
italica, i liberali, per non passare
da reazionari, si diedero a rincor-
rere i diritti, inuovi diritti, diritti
sempre più particolari, sempre più
astrusi, sommamente artistocratici
senza avvedersi che ogni nuovo di-
ritto comportava l’abolizione di
mille altre libertà, e che dava fiato
e risorse a nuove polizie e buricra-
zie intente a vigilare sulla folla di
diritti teorici.
Tanti sono divenuti liberali pro-
venendo da fazioni avverse, tanti
altri da liberali si sono sparsi in
tutte le direzioni, soprattutto di si-
nistra, alla ricerca di consenso non
trovato in casa propria. Per testi-
moniare di essere liberali, i profes-
sori, giunti al potere, hanno cerca-
to di emulare il periodo di governo
postunitario della Destra Storica
che in onore del rientro dei debito
pubblico, disamorò sostanzialmen-
te un popolo dall’idea di nazione,
di per sé già poco popolare.
Tra tutti questi liberali, neo,
post,-ari, -isti, Diaconale si è di-
stinto come fosse rimasto fermo,
un passo, due, cento indietro; ma
non è così. Se si rovescia il cannoc-
chiale, ponendolo in maniera cor-
retta (e non come dicono i media
alla Capuzzo), ci si accorgerà che
Diaconale è semplicemente un li-
berale classico. Nazionaliberali
erano i fondatori del Paese. Tra-
dotti nell’oggi, i propugnatori della
libertà per i produttori, inizialmen-
te dei borghesi contro clero e ari-
stocrazia, poi di tutti i produttori,
investitori e lavoratori, e dei diversi
tipi di lavoratori, inseriti nel loro
contesto territoriale e nazionale.
Oggi la grande area del centro-
destra italiano viene definita rias-
suntivamente dei moderati, termi-
ne quanto mai infelice e poco
adatto. Non è certo il moderati-
smo che accomuna tante minoran-
ze, quali le cattoliche valoriali, le
andreottiste del senso comune mi-
schiato al religioso, le nazionaliste
del tutto o di alcune parti regiona-
li, le socialdemocratiche, le tecno-
logiche e stataliste. Ad accomunar-
le è il patriottismo unico limite alla
tolleranza tra le diverse posizioni,
necessario per la coesione; spirito
di compromesso che ha il suo vul-
nus nell’antica malattia del trasfor-
mismo. C’è un motivo se, tra le
non molte voci espressioni del cen-
trodestra, quella di “Orso di Pie-
tra” e dei dintorni, sia rimasta ne-
gli anni un riferimento stabile.
Diaconale è rimasto lontano
dagli isterismi liberali, dalle finte
sedizioni di vertice, dalle confusio-
ni dei termini, comprendendo la
natura e la bontà del populismo
italiano, accostandoglisi con umil-
tà, dando spazio a tutte le voci del
patriota, sia che lo fosse dei valori,
del tricolore, del Nord o del Sud,
vedendoci l’unico vero rivoluzio-
nario, il vero laico che si batte con-
tro la distruzione della società. Il
recupero di sovranità e patriotti-
smo evocati da Diaconale, potreb-
bero, si spera, portare alla richiesta
della restaurazione del senso co-
mune con l’abbattimento anche di
molti mostri sacri, come la Costi-
tuzione legata ad un momento sto-
rico preciso. La via indicata dal di-
rettore de
L’Opinione
,
trascurata
dai politici di area che non si sono
preoccupati di capire l’animo del
loro elettore, incoraggia l’area a
non vergognarsi di essere quello
che è - nazionaliberale, nazional-
sociale, nazionalproduttrice - a vo-
lere sì meno Stato, ma solido; ed
a vedere il lato peggiore dell’av-
versario, quello dell’eversore desi-
deroso di distruggere, ieri come og-
gi, dal basso come dall’alto, senza
costruire, il paese.
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 10 GENNAIO 2013
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