Pagina 2 - Opinione del 10-8-2012

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II
POLITICA
II
di
LUCA PAUTASSO
a diagnosi di Mediobanca sullo
stato di salute dell’impresa ita-
liana è quella che si riserva ad un
malato terminale. Fare impresa in
Italia, infatti, secondo l’indagine
“Dati cumulativi di 2.032 imprese
italiane” dell’ufficio studi di Piaz-
zetta Cuccia, non è remunerativo,
«perché il guadagno non è suffi-
ciente a ripagare il costo del capi-
tale». Insomma, fare impresa oggi
non ripaga nemmeno l’investimen-
to iniziale. «Tanto è vero - spiegano
da Mediobanca - che nelle attività
industriali vi è stata una distruzione
di ricchezza pari a 1,4 punti».
E tutto questo nonostante l’in-
dustria italiana abbia segnato nel
2011 un’ulteriore ripresa del fattu-
rato, pari a 9,2 punti percentuali
ispetto al 2010. Una crescita che
però non è stata sufficiente nem-
meno per arrivare a sfiorare i nu-
meri del livello pre-crisi, quello del
2008: colpa proprio della tremenda
flessione del 2009, l’anno in cui la
crisi ha mostrato il suo volto peg-
giore, troppo forte per rendere utili
anche i numeri positivi dell’ultimo
anno.
E di numeri positivi si è trattato
sul serio: le esportazioni, infatti, si
sono mosse nel 2011 a velocità più
che tripla rispetto alle vendite do-
mestiche (+18,3% contro +5,5%).
In particolare, è cresciuto il fattu-
rato dei settori che hanno benefi-
ciato degli aumenti dei prezzi delle
materie prime di riferimento (ad
esempio il +20,2% nel settore della
metallurgia e il +17,6% del settore
energetico) e di quelli che hanno
invece agganciato una crescente do-
manda estera (come gomma e cavi,
con un +20,2%). Sono andati male
elettrodomestici (-3,4%), stampa
editoria (-1,7%), farmaceutico e co-
smetico (-0,7%). E sul fronte occu-
pazionale, per il quarto anno con-
secutivo, si è assistito ad un calo
(-0,2% nel 2011), anche se in mi-
sura inferiore al 2010 quando ave-
L
va perduto l’1,6% e soprattutto al
2009 (-2,7%). Ma il peggio sembra
debba ancora venire. E a dirlo sta-
volta è il ministro del Lavoro, Elsa
Fornero, che preannuncia un au-
tunno difficilissimo e parla di un
futuro industriale del paese messo
a serio rischio dalla crisi.
Il ministro Fornero parla della
necessità di «puntare» sull’indu-
stria. Ma come? In Italia, investire
nell’impresa è addirittura meno
conveniente che acquistare con gli
stessi soldi titoli di stato (che paga-
no l’1,5% in più). Anche assumere
un dipendente diventa un’impresa:
uno stipendio netto mensile di 2mi-
la euro, ad esempio, corrisponde ad
uno stipendio lordo di 2.963 euro,
cui vanno ad aggiungersi ogni mese
altri 929 euro di Inps, 220 euro di
Tfr, 185 euro di Irap (una tassa dal
meccanismo quasi perverso, che au-
menta più l’imprenditore assume
personale e/o investe nell’impresa),
247 euro per la tredicesima, 15euro
per l’Inail. Ergo, un dipendente pa-
gato 2mila euro netti costa alla sua
azienda qualcosa come 4.559 euro
ogni mese.
Ma non è il solo ostacolo per
chi sull’industria vuole «puntare»
per davvero. Nel 2012, infatti, la
pressione fiscale effettiva in Italia,
cioè quella che mediamente grava
su ogni euro prodotto legalmente
e totalmente dichiarato, è pari al
55% del Pil. Non solo la più eleva-
ta di sempre della nostra storia eco-
nomica, ma un record mondiale as-
soluto. Poi c’è la pressione fiscale
“reale”, quella che grava sul con-
tribuente riconsiderando il fatto che
il “sommerso” non paga tasse, e
che quindi la pressione fiscale si
concentra sui “soliti noti”: non a
caso, di recente, molti imprenditori
hanno lamentato un pressing da
parte del fisco pari a quasi il 70%
del proprio fatturato.
Se non bastassero i disincentivi
“monetari”, si può aggiungere al
novero delle magagne quell’1% di
Pil che si perde ogni anno a causa
della cronica inefficienza della no-
stra giustizia civile. Il rapporto
Doing Business 2012
redatto dalla
Banca Mondiale piazza l’Italia al-
l’ultimo posto in Europa, e al 158
posto su 183 paesi, per l’efficienza
del sistema giudiziario nella risolu-
zione delle controversie commer-
ciale: i procedimenti sono costosis-
simi, e servono mediamente 1.210
giorni per una sentenza, contro i
515 della Spagna, i 394 della Ger-
mania o i 300 degli Usa.
E poi c’è la burocrazia. Onni-
presente, invasiva, barocca. Siamo
ancora ben lontani dal sogno del-
l’ex ministro Renato Brunetta di
poter aprire un’impresa in un gior-
no: sempre secondo
Doing Busi-
ness
, se da un lato è vero che per
aprire un’impresa in Italia serve lo
stesso tempo che negli Usa, dall’al-
tro si affronta un costo 18 volte su-
periore per espletare le stesse, iden-
tiche procedure amministrative.
Senza contare che per un passaggio
basilare come l’allacciamento alla
rete elettrica possono volerci più di
6 mesi, a fronte delle due settimane
che servirebbero in Germania. Un
altro esempio? Un imprenditore ita-
liano può arrivare a buttare via 285
soltanto per pagare le tasse. Ce n’è
abbastanza per tenere lontano qual-
siasi investitore straniero, oltre che
per convincere gli italiani ad andar-
sene.
E agli imprenditori italiani resta
solo la disillusione. Emblematico,
a questo proposito, il tweet di ieri
di un piccolo imprenditore geno-
vese: «Lo stato italiano ci ha messo
ben sedic’anni a farmi passare la
voglia di fare impresa. È stato mol-
to tenace, lo riconosco».
Per aprire un’impresa
in Italia serve lo stesso
tempo che negli Usa,
ma con un costo 18
volte superiore
per compiere le stesse,
identiche procedure
amministrative
Anche assumere diventa
un’impresa: tra tasse,
Inps,Tfr, 13ª, Irap e Inail,
un dipendente pagato
2mila euro netti in busta
costa alla sua azienda
4.559 euro ogni mese.
Più del doppio, quindi
segue dalla prima
I tavoli di Pierfurby
(...) La debolezza, in sostanza, è che in un
momento di crisi devastante i futuri “patroni
del vapore” non hanno alcuna idea di quale
direzione dare al vapore in questione. E non
perché incapaci ma perché portatori consa-
pevoli (o anche inconsapevoli) di idee che,
come quella del ritorno al sistema tolemaico
doroteo o alla versione morotea del com-
promesso storico, sono vecchie di almeno
cinquanta anni e solo alla radice del declino
del paese da combattere. Certo, sarebbe fa-
cile uscire dalla crisi riproponendo l’alleanza
tra le grandi famiglie industriali e le grandi
confederazioni sindacali scaricandone i costi
sull’aumento del debito pubblico. Ma le
grandi famiglie non ci sono più, le grandi
confederazioni sono formate solo da pen-
sionati ed il debito pubblico ha raggiunto
un tetto oltre il quale c’è solo il fallimento.
Sarebbe ancora più facile invertire il declino
pensando che la patrimoniale sia la panacea
di tutti i mali e che lo stato dei privilegi dei
lottizzati, delle corporazioni e delle caste bu-
rocratiche possa essere ancora finanziato
dall’aumento della pressione fiscale. Ma la
patrimoniale genera recessione e la pressione
fiscale ha raggiunto livelli da rivolta sociale.
Casini ed i suoi, però, non si pongono il pro-
blema. Intanto cercano di conquistare le pol-
trone. Poi si vedrà. Sempre che gli elettori
siano tanto disperati da affidare il proprio
futuro agli stessi che hanno compromesso
il loro presente.
ARTURO DIACONALE
Battaglia dei radicali
(...) Lo spiega perfettamente proprio Gerar-
di: «L’ordinamento penitenziario assegna
poche ma importanti funzioni al magistrato
di sorveglianza», tra cui «quella di vigilare
sulla organizzazione degli istituti di preven-
zione e pena anche al fine di assicurare che
la custodia degli imputati e dei condannati
sia attuata in conformità con leggi e rego-
lamenti». Ciò nonostante «capita spessissi-
mo di visitare carceri in cui i detenuti non
hanno mai visto il magistrato di sorveglianza
competente, il quale peraltro non si reca da
loro nemmeno per i colloqui richiesti, e non
evade le istanze che gli vengono rivolte».
Sui gip, spiega sempre Gerardi, «occorre ri-
cordare che il 42% dei detenuti italiani è in
attesa di giudizio», un «dato abnorme», una
«percentuale che non ha eguali nel panora-
ma europeo». «Sono i gip ad emettere le or-
dinanze che dispongono la custodia caute-
lare in carcere – precisa sempre Gerardi - e
quindi abbiamo deciso di inviare a tutti i
capi degli uffici gip una diffida: non si ricor-
ra al carcere come misura cautelare estrema
ogni qual volta non si sia in grado di garan-
tire al destinatario del provvedimento un
trattamento carcerario giusto, conforme a
principi e leggi. In caso contrario, alla diffida
seguirà la relativa denuncia presso le procure
della Repubblica». D’altronde a mali estre-
mi, estremi rimedi: quella della giustizia è
la prima riforma da affrontare in Italia e il
primo passo a questo punto non può che
passare per l’amnistia. L’attuale situazione
delle carceri e e della giustizia in genere la
portano le scelte sbagliate e demagogiche
del passato e non si può per quieto vivere
politico continuare a fare finta di niente. I
radicali così come non esitano a mettere in
gioco il proprio corpo per mandare avanti
le proprie battaglie, alla stessa maniera non
esiteranno a inondare di denunce i magi-
strati italiani contro quei loro colleghi che
se la cavano nascondendosi dietro la buro-
crazia. E anche per il Capo dello stato, anzi
contro di lui, si preannunciano clamorose
iniziative in Europa per il ripristino della le-
galità costituzionale. Insomma Pannella ha
deciso: «A la guerre comme a la guerre».
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Fornero: «Puntare sull’industria».Già,ma come?
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VENERDÌ 10 AGOSTO 2012
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