II
POLITICA
II
Sarà il web a detronizzare ilmonarcaBeppeGrillo
di
LUCA PAUTASSO
rima ancora delle urne, sarà il
web a punire Beppe Grillo. Il
media che più di ogni altro Grillo
ha cavalcato (dimostrando però a
più riprese di non conoscerlo affat-
to), sta cominciando a fare terra
bruciata attorno al comico genovese
che voleva giocare a fare il Masa-
niello dell’era digitale. Perché nono-
stante la folgorazione sulla via di
Damasco 2.0, Grillo è sempre rima-
sto quello che i computer li prende-
va a mazzate sui palchi dei teatri di
mezza Italia, quasi fossero l’incar-
nazione del male assoluto.
Grillo aveva paura dei computer
perché non li capiva. E nonostante
la conversione internettiana dell’ul-
timo decennio continua a non ca-
pirli tutt’ora. È rimasto fermo alla
cultura dei blog e dei forum vecchio
stampo, quelli dove bastava un clic
per cancellare il dissenso, o un ban
per mettere a tacere l’apostasia. Ma
da allora sono passati dieci anni, che
per il web rappresentano un’eternità.
E Beppe Grillo si ritrova ad essere
l’allegoria digitale di un medico che
voglia curare il cancro coi salassi.
La stampa tradizionale, si sa, non
è mai stata generosa con il Grillo
politico. Il sentimento è sempre stato
reciproco, e a onor del vero il Mo-
vimento 5 Stelle non ha avuto pro-
prio tutti i torti a lamentare un pes-
simo trattamento da parte di tv e
giornali mainstream, che non hanno
mai perso occasione per prenderlo
di petto. Ma è proprio da Internet
che adesso arriva la mazzata più pe-
P
sante. Forse, l’inizio della fine.
In principio furono le parodie.
Dalla pagina Siamo la gente, il po-
tere ci temono su Facebook al twit-
teriano Movimento dei Caproni
(@
movimentcaproni), con le quali i
derisori sono diventati i derisi.
Poi sono arrivate le primarie del
centrosinistra. Una ventata di de-
mocrazia partecipata (checché se ne
pensi in merito ai candidati) che è
stata in grado di mettere in ombra
le sparate di Grillo persino sul suo
terreno di gioco preferito: internet
e i social network. Il comico urlatore
non l’ha proprio mandata giù, e si
è visto costretto a sbrodolare una
sfilza di livorosi comunicati anti-pri-
marie che non hanno ottenuto altro
risultato se non inimicargli ulterior-
mente quella piazza virtuale che da-
va segno di ignorarlo.
Ecco allora le parlamentarie.
Avrebbero dovuto rappresentare
l’asso nella manica del M5S.
L’espressione della vera vox populi
attraverso al web. Gratuite, pulite,
aperte a tutti, imparziali, nuovissime
sia nel metodo che nella scelta dei
candidati. E invece no. Ottenere il
diritto di voto digitale si è rivelato
più complicato che richiedere una
copia del proprio stato civile all’uf-
ficio anagrafe. La carrellata dei vi-
deocurruculum dei candidati è di-
ventata un’agghiacciante amalgama
tra le selezioni per un reality show
e una carrellata naive di fenomeni
da baraccone. In breve, una Capo-
retto mediatica senza precedenti.
Appena 95mila i votanti comples-
sivi, e candidati ammessi in lista con
appena 300 preferenze. Le stesse con
le quali non si ha la garanzia di ap-
prodare nemmeno nel consiglio co-
munale di una città con meno di
50
mila abitanti. Solo per rendere
l’idea: la giovane cantante Chiara
Galiazzo ha vinto l’edizione 2012
di XFactor con 718.658 voti.
Ieri, l’ultimo exploit. Ma proba-
bilmente ultimo solo in ordine di
tempo. Ovvero la cacciata di Salsi e
Favia con il laconico comunicato di
quattro righe pubblicato sul blog:
«
A Federica Salsi e Giovanni Favia
è ritirato l’utilizzo del logo del Mo-
Vimento 5 Stelle. Li prego di aste-
nersi per il futuro a qualificare la lo-
ro azione politica con riferimento al
M5S o alla mia figura ». Il pallone
è mio e decido io, insomma. E ora
il fantomatico “popolo della rete”
si interrogherà se sia più scioccante
l’arbitrarietà di una simile decisione,
rimarcata ulteriormente dall’utilizzo
della prima persona singolare, o la
bizzarra espressione «ritirato l’uti-
lizzo del logo», quasi si trattasse
davvero solo e soltanto di marke-
ting.
Persino sul blog beppegrillo.it,
dove il grillopensiero ha sempre re-
gnato incontrastato al riparo da
qualsiasi forma di contestazione, ora
la macchina del consenso asservito
al Caro Leader comincia a scricchio-
lare. Basta leggere i commenti dei
visitatori al breve post con il quale
ieri mattina il comico genovese ha
annunciato l’epurazione dei due Sal-
si e Favia. Certo, non mancano gli
yesman pronti a giustificare sempre
e comunque le sentenze inappellabili
di Mr. Vaffa, ma a spiccare nel nu-
mero e nei toni sono i giudizi esa-
sperati di chi non è più disposto a
lasciar correre dispotismo grillino.
«
Queste sparate non sono più
tollerabili, non ti puoi permettere di
cacciare via chi dissente dal tuo pen-
siero» scrive tale Marcello Poleti.
«
Hai perso un voto e molti altri a
cascata» dice ancora l’ormai ex gril-
lino. «Ovviamente in tutto questo i
media tradizionali sguazzeranno e
le percentuali di votanti scenderanno
drasticamente. Sono veramente ram-
maricato, credevo nel progetto di
una democrazia dal basso dove
ognuno vale uno e tutti hanno di-
ritto di dissentire. Ma tu da mega-
fono , come ti sei proclamato, sei di-
ventato un dittatore. Spero -
conclude Poleti nel suo sfogo-fiume
-
che i gruppi di attivisti lo capiscano
e incomincino a sganciarsi da te, stai
diventando purtroppo un grosso pe-
so».
«
I cittadini li avevano riconfer-
mati durante l’ultimo tour per
l’Emilia, e tu li cacci? Solo una pa-
rola: vergognati» rincara Dario Billi.
«
Complimenti!!! Un ottimo esempio
di pluralità e democrazia, siccome
il logo è di Beppe Grillo e il movi-
mento è di Beppe Grillo se due non
mi piacciono non li voglio più, que-
sto purtroppo è diventato il movi-
mento, dal 2010 l’ho sempre vota-
to...sarò costretto a non farlo più...»
si lamenta invece Francesco Maria
Bandoli. E un laconico Filippo Ga-
speri saluta la cacciata dei dissidenti
come «L’inizio della fine...».
«
Sarebbe giusto e completo scri-
vere anche le motivazioni» chiede
Andrea S., da Genova. E mauro Ci-
teroni, da Lapedona, fa timidamente
notare al comico: «Probabilmente
stavolta hai toppato...alla grande.
Mi dispiace Beppe». «Sono esterre-
fatto!!! E quali sarebbero le moti-
vazioni? Quale punto del non sta-
tuto non hanno rispettato? Pensavo
che tu Beppe facessi da garante per
il rispetto del non statuto , non im-
maginavo certo ti permettessi di
espellere attivisti o ancor peggio elet-
ti senza motivazione valida e arti-
colata nei minimi dettagli. Che de-
lusione...» dice Gabriele Mannelli,
da Prato. O ancora Cristiano Co-
stanzo: «Stai facendo un po’ troppo
il monarca illuminato».
E per colui che dalle piazze in-
vocava il ritorno della ghigliottina
virtuale, arriva il contrappasso di
una detronizzazione a colpi di clic.
Mezzo secolo di lotta tra giudici e imprenditori
di
RUGGIERO CAPONE
en 50 anni fa andava in crisi il
monocolore democristiano: ave-
va traghettato l’Italia del dopoguerra
verso il benessere, il boom econo-
mico degli anni ‘50. Soprattutto ave-
va funto da cuscinetto tra l’impren-
ditoria italiana (nata e rafforzatasi
sotto il fascismo) e quei comunisti
che volevamo una sorta di Norim-
berga per i facoltosi capitani d’in-
dustria. Era un’Italia assai diversa
da quella odierna. La Polizia aveva
carta bianca contro operai e conte-
statori politici. I sindacati dovevano
difendere torme di diseredati, sco-
larizzandoli per evitare fossero solo
strumenti di produzione. In quel-
l’Italia delle buone speranze, gli
Agnelli e i vari Emilio Riva, Attilio
Monti, Serafino Ferruzzi, Nino Ro-
velli, Eugenio Cefis, Enrico Mattei...
potevano ben dirsi i padroni della
politica e, naturalmente, i restaura-
tori d’una sorta di fissità sociale delle
classi: le carriere erano precluse ai
B
più, ma c’era lavoro per tutti, e le
forze dell’ordine avevano ordini su-
periori di chiudere più d’un occhio.
L’esempio è ben narrato ne
Il mae-
stro di Vigevano
,
dove emerge come
evasione fiscale e lavoro nero abbia-
no non poco contribuito al boom
economico italiano. Contro questo
inaspettato benessere s’era schierata
a metà anni ‘50 una fazione intel-
lettuale vicina all’allora Pci, la stessa
che poté poi contare sulla massiva
entrata di giovani laureati nei gangli
dello stato, tra magistratura ed in-
segnamento. Era nelle cose che ma-
gistrati robustamente di sinistra as-
surgessero (e per dottrina) a nemici
dell’imprenditoria italiana che aveva
interpretato lo spirito di quel tempo.
Una lotta che s’è sempre più incan-
crenita man mano che la Dc cedeva
spicchi di potere alla compagine di
centrosinistra, nata dalle ceneri tri-
partitiche nel 1962 ed estintasi con
Tangentopoli nel 1992. Natural-
mente i capitani d’industria (corag-
giosi?) sopravvivevano a “Mani pu-
lite”, e barcamenandosi tra Prodi,
Berlusconi e D’Alema raggiungeva-
no il nostro 2012. Ma, dopo 50 di
guerra tra magistratura ed impresa,
il ministro Corrado Clini afferma:
«
Non vedo il braccio di ferro sul de-
creto per l’Ilva con la Magistratura,
le norme del decreto sono legge e la
legge va applicata». È evidente che
Clini ometta che le leggi le applica
il potere giudiziario, lo stesso che da
50
anni è in guerra con quello im-
prenditoriale. Evidentemente il mi-
nistro non vuole dare a vedere al
paese che, in fondo in fondo, Berlu-
sconi ha ragione quando dice che
da decenni c’è una guerra (non tan-
to sotterranea) tra giudici ed im-
prenditori. «L’emendamento presen-
tato oggi per integrare il decreto con
un’interpretazione autentica delle
norme - spiega Clini - con le quali
abbiamo voluto coniugare la tutela
dell’ambiente, del lavoro, e la con-
tinuità produttiva». Inoltre, in que-
sto modo, «abbiamo voluto chiarire
che il decreto è finalizzato alla con-
tinuità produttiva e alla disponibilità
dei prodotti a condizione che l’Ilva
applichi le disposizioni previste... Se
ci sono interpretazioni del decreto
diverse le chiarisce il legislatore. È
questo il senso dell’emendamento».
In pratica è stato risolto tutto e non
è stato risolto nulla... solo parole,
nei fatti questa battaglia l’hanno vin-
ta i magistrati sequestrando il pro-
dotto finito (l’acciaio). L’hanno persa
gli operai, i cittadini di Taranto, la
classe politica e naturalmente gli im-
prenditori. «Siamo stati allora co-
stretti - spiega il ministro - a depo-
sitare l’emendamento al decreto per
chiarire, con una interpretazione au-
tentica, che i prodotti finiti devono
essere nella disponibilità dell’impresa
per la commercializzazione. Questa
-
aggiunge - è una delle condizioni
individuate per fare in modo che l’Il-
va possa realizzare gli interventi e
gli investimenti per il risanamento».
Per Clini è «evidente che nel mo-
mento in cui continuano ad essere
bloccati i prodotti finiti non si assi-
cura la continuità produttiva» del-
l’azienda; così si garantisce la com-
mercializzazione dei prodotti. È
ovvio che, senza acciaio nella dispo-
nibilità dell’impresa, il patron Riva
avvierà la produzione siderurgica in
altri paesi ben lieti d’accogliere il ric-
co capitano d’industria. Nel frat-
tempo il decreto di Clini è stato as-
segnato alle commissioni di
competenza, il tempo passa ed il
muro contro muro vede soccombere
l’impresa italiana.
Un film già visto e girato da Di-
no Risi nel 1971,
In nome del po-
polo italiano
,
aveva come filo con-
duttore proprio lo scontro italiano
tra magistratura ed impresa. E lo
stesso Risi, intervistato negli anni di
Tangentopoli, (ovverosia circa ven-
t’anni dopo la realizzazione del
film), ricordava di aver realizzato la
pellicola «per riflettere già allora sul-
l’ampiezza del potere discrezionale
di cui i magistrati dispongono, e di
cui forse talvolta potrebbero abusare
in nome di un fine di giustizia che
giustificherebbe l’uso di mezzi non
ortodossi».
Nel film di Risi gli ingredienti ci
sono tutti: Tognazzi interpreta il
prototipo del magistrato inquirente,
profondamente amareggiato della
corruzione che egli percepisce prima
di tutto nella pubblica amministra-
zione e più in generale nella società
italiana. A parere del magistrato di
Risi «sempre più inquinata dall’avi-
dità decadente e immorale del capi-
talismo becero e senza scrupoli».
Così il magistrato Tognazzi scopre
che l’imprenditore interpretato da
Gasman è l’archetipo del capitano
d’industria disonesto (del Riva del-
l’epoca): elargitore di tangenti ai po-
litici compiacenti, avvelenatore della
flora, della fauna e delle falde acqui-
fere con le sue industrie chimiche,
costruttore di scempi edilizi e detur-
patore dell’agreste paesaggio itali-
co... Così il magistrato ipotizza po-
trebbe essere implicato nella morte
d’una giovane escort, ragazza che
spesso accompagnava persone ric-
che e facoltose a cene e festini per
conto di una sedicente agenzia di
pubbliche relazioni (qui l’archetipo
berlusconian-imprenditorial-politico
c’è tutto). Il film evidenzia l’antipatia
sia antropologica che politica tra
magistrati ed imprenditori: si mani-
festa fin dall’inizio del film, quando
l’imprenditore Gasman usa come
mezzo di trasporto una rombante
automobile sportiva (la Maserati) e
il magistrato Tognazzi s’arrabatta
con un Ciao della Piaggio. Natural-
mente il magistrato si reca al lavoro
portando sottobraccio il quotidiano
L’Unità (allora organo del Pci),
mentre l’imprenditore non nasconde
d’essere un fascista prestato alla Dic-
cì dell’epoca. Il magistrato del film
vede nell’imprenditore un concen-
trato dei peggiori vizi comportamen-
tali dell’italiano medio, secondo la
sua scuola di pensiero va punito
l’imprenditore, perché cialtrone e
poco di buono. Così Tognazzi di-
strugge le prove a discolpa di Gas-
sman: l’innocenza dell’avversario
politico non è più dimostrabile e
pertanto lo fa condannare. Così
l’imprenditore del film s’estingue nel
1970,
al pari delle storie vere di Ro-
velli, Riva, Gardini... la lista è lunga
e la guerra non è finita.
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 13 DICEMBRE 2012
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