Pagina 1 - Opinione del 14-8-2012

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Direttore ARTURO DIACONALE
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Martedì 14 Agosto 2012
delle Libertà
Il governo tecnico e la riforma della giustizia
l caso Ingroia-Napolitano ha ri-
proposto la necessità di una
nuova normativa sulle intercetta-
zioni telefoniche. A sua volta, il
caso Ilva impone di riconsiderare
il tema generale del rapporto tra
potere esecutivo ed ordine giudi-
ziario. Se al governo ci fosse stato
ancora Silvio Berlusconi, è proba-
bile che il Quirinale avrebbe ac-
curatamente evitato di entrare in
rotta di collisione con la procura
di Palermo per non dare l’impres-
sione di giocare politicamente di
sponda con il Cavaliere. Ed è si-
curo che la vicenda dell’Ilva sa-
rebbe stata trasformata, dal coro
compatto dei media conformisti
I
italiani, nell’ennesima occasione
per lanciare la solita campagna di
denigrazione nei confronti di un
centrodestra incapace di garantire
lavoro e salute alla popolazione
di Taranto e capace dolo di entra-
re in contrasto con una magistra-
tura dipinta con l’aureola salvifica
e vendicatrice.
Sono otto mesi, però, che Ber-
lusconi non esercita le funzioni di
Capo del governo. E l’esplosione
del caso Napolitano e del caso Il-
va, in un campo sgomberato da
qualsiasi pretesto o motivo di stru-
mentalizzazione, rende fin troppo
evidente che il problema della giu-
stizia non è una invenzione perso-
nale del Cavaliere ma una delle
emergenze più gravi del paese, dal-
la cui soluzione non dipende solo
la tutela dei diritti individuali dei
cittadini ma la stessa possibilità
di uscire dalla crisi economica e
spezzare la spirale del declino.
Se la posta in palio del mo-
mento riguardasse solo Napolita-
no o la sorte dell’ex prefetto Fer-
rante è facile prevedere che l’intera
questione diventerebbe argomento
di campagna elettorale. Con le so-
lite divisioni sterili tra garantisti
e giustizialisti, tra centrodestra e
centrosinistra, tra fautori dello sta-
to di diritto ed i sostenitori della
Repubblica delle toghe.
Ma sopra ogni forma di dialet-
tica politica o teorica incombe un
problema concreto gigantesco.
Che è quello del lavoro e del fu-
turo materiale dei lavoratori degli
stabilimenti siderurgici dell’Ilva.
Non solo quelli di Taranto, ma di
tutti gli altri impianti dislocati nel-
le altre zone del paese. La partita
ingaggiata tra il governo e la “du-
ra” gip, Paola Todisco, in altri ter-
mini, non riguarda più solo il rap-
porto tra politica e magistratura
ma anche la sopravvivenza del set-
tore siderurgico nazionale e, di
conseguenza, dei lavoratori e delle
loro famiglie.
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2
Con Paul Ryan, finalmente una scelta di campo
olti (compreso chi scrive) si
aspettavano il senatore del-
l’Ohio, Rob Portman. David Axel-
rod, stratega di Obama, scommet-
teva sull’ex governatore del
Minnesota, Tim Pawlenty. La mag-
gioranza degli elettori repubblicani
preferiva il senatore della Florida,
Marco Rubio. Ma quando ad alzare
contemporaneamente la voce sono
Wall Street Journal
,
Weekly Stan-
dard
e
New York Post
, vuol dire che
qualcosa di grosso si sta muovendo.
E questo sospetto,negli ultimi giorni,
si è velocemente traducendo in cer-
tezza. Il deputato del 1° distretto
congressuale del Wisconsin, Paul
Ryan, sarà il candidato alla vicepre-
M
sidenza per il ticket repubblicano.
Si tratta, infatti, di una scelta rischio-
sa, ma potenzialmente in grado di
regalare al ticket repubblicano una
spinta non indifferente. Per comin-
ciare, quella di Ryan è una risposta
forte a tutti coloro che si aspettava-
no da Romney una
“vanilla choice”
,
tesa più a limitare eventuali danni
che ad aprire nuove opportunità.
Paul Ryan, che una testata non certo
simpatizzante per il Gop come
The
New Yorker
definisce come il leader
della
“attack-and-propose faction”
del Partito repubblicano, è uomo di
visione e di idee. Non certo adatto
a ricoprire il ruolo di scarno surro-
gato del candidato alla presidenza.
Qualsiasi opinione si possa avere
della sua
“Roadmap for America’s
Future”
, elaborata nel 2008 e ag-
giornata nel 2010, o dei
budget
al-
ternativi presentati nel 2009 e nel
2010, Ryan è l’esatto contrario del
repubblicano-tipo su cui i democra-
tici stanno cercando di ritagliare la
loro narrazione elettorale, quello che
si limita ad operazioni di ostruzio-
nismo nei confronti dell’amministra-
zione Obama.
Il presidente dell’House Budget
Committee, al contrario, non è sol-
tanto genericamente un
fiscal con-
servative
, ma è molto chiaro e det-
tagliato sulle opzioni possibili per
arrivare ad una riduzione del deficit.
Questa è, allo stesso tempo, una de-
bolezza (perché lo espone più facil-
mente agli attacchi degli avversari)
ma anche una grande forza, in un
ciclo elettorale in cui i temi econo-
mici stanno giocando un ruolo da
assoluti protagonisti.
Eletto già sette volte nel suo di-
stretto, a soli 42 anni, Paul Ryan è
un eccellente
campaigner
(non ha
mai perso un elezione) e un
fundrai-
ser
ancora migliore.
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2
di
ANDREA MANCIA
Mai come quest’anno
i cittadini americani
sono chiamati a scegliere
tra due modelli di stato.
Il candidato del Gop
alla vicepresidenza
è il modo migliore
per sottolineare
da che parte scelgono
di stare i repubblicani
di
ARTURO DIACONALE
In una democrazia
liberale ed in uno stato
di diritto la legge
deve essere interpretata,
in ultima istanza,
da chi è autorizzato
dal consenso popolare
a legiferare. E non certo
da chi deve limitarsi
ad applicare le norme
Ilva, il governo sfida i magistrati
K
«Questa acciaieria non s’ha da
chiudere». Scomodando Manzoni, è
questo il succo del messaggio lanciato
dal premier Mario Monti ai suoi ministri,
sguinzagliati a Taranto in caccia di un
appiglio legale per scongiurare la chiu-
sura dell’Ilva.
In gioco non ci sono soltanto (si fa per
dire) migliaia di posti di lavoro in un
sud dove la disoccupazione è fattore
endemico, ma anche la difesa di un set-
tore, quello siderurgico, che nono-
stante la crisi stava imboccando negli
ultimi tempi la via della ripresa, conqui-
stando fette importanti del mercato in-
ternazionale. Un mercato che non
possiamo permetterci di perdere, e sul
quale, dopo lo stop all’Ilva imposto
dalla procura tarantina, Cina e Germa-
nia stanno già lanciando occhiatacce
lubriche.
L’ordine di Monti è un segno dei tempi
che cambiano: finché una certa frangia
di magistratura limitava la propria bat-
taglia suprematista alla politica, si po-
teva anche chiudere un occhio. Ma
quando si tratta di economia è tutto un
altro discorso.